(un
grazie di cuore a Roberto per la consulenza scientifica.)
L’impatto fu terrificante, il piccolo asteroide si schiantò sulla
superficie di Marte ad una velocità di 50 chilometri al secondo,
trasformando l’energia cinetica in un botto da migliaia di bombe
“H” lasciando un cratere del diametro di tre chilometri. Frammenti
di roccia marziana furono eiettate nello spazio infinito, se non
infinito comunque bello grande. Uno di questi frammenti, un ammasso
di cristalli multicolore grosso come una tanica da 20 litri, luccicando
nel terribile vento solare, prese una direzione orbitale che l’avrebbe
portato al pianeta di fronte, un bel pianeta, azzurro, verde, silenzioso,
pulito, sereno. Proprio un bel pianeta, si parla di circa … hmmm…
vediamo un po’, circa 20 milioni di anni fa, mese più mese meno.
Adesso le cose sono un pò cambiate, adesso che la meteorite marziana
precipita inesorabile in direzione dell’Africa, del Nord Africa,
di un paesino sperduto del Marocco vicino ad Akka, dove diventerà
un’acondrite Zagami, rarissima, introvabile. Quasi introvabile!
…… “Non esistono luoghi noiosi ma solo viaggiatori impreparati”,
però bisogna riconoscere che ci sono posti dove non c’e’ niente
da vedere, dove non val la pena fermarsi, dove anche una sola fotografia
è uno spreco, dove ci si ferma solo per una foratura, una sosta
ecologica (complicazioni batteriche intestinali varie…) o perché
avete con voi un cercatore di sassi, di fossili o, peggio ancora,
di meteoriti, e dico peggio perchè i primi due qualche volta almeno
si trovano. Io ce l’ho, ho un cercatore di meteoriti, e questo,
ve l’assicuro può sconvolgere qualsiasi programma di viaggio accuratamente
preparato, figuratevi uno non accuratamente preparato. Quando sale
sull’aereo per Marrakech, Ammada Jones è un uomo felice, ha 48 anni,
un buon conto in banca, un colesterolo sotto la media e grandi aspettative
per il futuro. Sulla scaletta del volo Royal Maroc 401, il professore
non immagina che il suo avvenire cambierà drasticamente nel giro
di una quindicina di giorni, che il suo conto in banca scenderà
sotto zero e il suo colesterolo salirà sopra quattrocento. Ammada
Jones, detto anche “professore”, non è uno qualunque, è un cercatore
di meteoriti, quelle pietre che arrivano dallo spazio a velocità
pazzesche e se non si disintegrano in romantiche stelle cadenti,
si schiantano restando li per anni, che dico anni, centinaia di
anni, migliaia di anni, milioni di anni! Per terra, dove a tutti
sembrano sassi qualsiasi. Non a tutti. Capita ogni tanto che un
matto, armato di lente d’ingrandimento, microscopio portatile e
supercalamita, le riconosca, le raccolga e le faccia sue. In fondo
sono state stelle, magari per un attimo, il tempo di un desiderio,
però lo sono state, cadenti e’ vero, ma se non cadessero nessuno
le cercherebbe, non esisterebbe Ammada e sarebbe un peccato accidenti,
un peccato per i suoi compagni di viaggio. In attesa di partire
verso il Sud, Ammada gironzola spavaldo nel suk di Marrakech alla
ricerca comunque di qualcosa di raro: il dattero nero “Bonito” da
35 dirham al chilo, non e’ facile, costano tutti meno, ma gira e
rigira alla fine lo trova. Sarebbe quello da 32 ma contrattando
con l’incredulo fruttivendolo riesce a strappare il prezzo “target”
di 35 dirham. Ebbene, nonostante quanto riferito dalle biografie
ufficiali è questo il momento catartico per il colesterolo di Ammada
che nella mezz’ora successiva comincia l’ascesa inarrestabile verso
valori mai misurati in nessuna sede dell’AVIS. La strada per Ouarzazate
scavalca il Tizi nTichka, una barriera naturale di oltre 2000 metri
tra le spianate digradanti verso l’Atlantico e le dune digradanti
verso il Sahara. Il valico invece di essere coperto di ghiaccio
e neve (come previsto da Ammada che è vestito come per una sciata
a Livigno) è una piccola Hong-Kong di negozi che espongono tutti
le stesse cose, in particolare le stesse pietre: quarzi scintillanti
di vernice, fossili color cemento, cemento color fossile e forse,
forse rovistando tra le casse piene di cianfrusaglie potrebbe anche
nascondersi una … no non e’ possibile. Ammada prova a chiedere;
chiedendo si trova qualsiasi cosa. Dimmi quanti soldi hai e cosa
cerchi, non c’è problema (a spenderli tutti) non c’e problema, amico.
Nessun problema. Mentre passa di fianco ad uno scaffale Ammada sente
qualcosa che tira nei pantaloni. Non può essere che la calamita,
la impugna e comincia a far passare le mensole fino alla fatale
attrazione magnetica, poi esce dal negozio stringendo tra le mani
un pacchetto, lo deposita nello zaino con una delicatezza esagerata
per un sasso che ha resistito milioni di anni in giro per l’universo
e dovrebbe resistere anche alle sospensioni della Uno e alla guida
paris-dakariana di Ammada. - Quanti anni avrà? - - Penso una trentina.
- - Trent’anni?! Ma se hai detto che le meteoriti… - - E’ una teiera
per mia madre, gliel’avevo promessa. Non c’era niente d’interessante,
qualche fossile… i soliti quarzi dipinti. Pero’ il tizio del negozio
mi ha raccontato di uno ad Erfoud, uno che ha trovato delle… cose
rare. Non so ... ho qui l’indirizzo: signor Mohammed del negozio
“Les Turistes”. - - Mohammed eh!? Non dovrebbe essere difficile
trovarne uno.- Ammada inforca gli occhiali da sole, tira su il collo
della giacca multitask, di quelle che ci vuole mezz’ora a trovare
le chiavi della macchina, calca in testa il cappello da esploratore,
una passata di crema protettiva in faccia, fazzoletto tirato sul
naso, guanti da autista di autobus e via sparati per Ait Benhaddou.
Solito tramonto e solita alba alla casba del Gladiatore, uno spettacolo
da finale proiezione di diapositive, ma meteoriti neanche l’ombra.
Sulla strada delle cento casbe, facciamo scorta di creme alla rosa
e datteri da 32 dirham per la dose quotidiana di colesterolo. Ammada
è già col pensiero nel deserto di Merzouga. Un’occhiata distratta
alle casbe rosse della Valle del Dades, alle pareti nere del Todhra,
al verde polveroso del palmeto di Tinerhir, alla foggara di Jorf,
al sedere di Michela (che soffre di meteorismo) ed ecco Erfoud:
la porta del deserto, il punto di partenza per le dune, la sede
della festa dei datteri (e dei ditteri), che pero’ e’ finita da
una paio di settimane, accidenti! Dunque … vediamo, Les Turistes…
Les Turistes …. Niente. Dopo un’ora a girare per il paese trascinandoci
dietro una trentina di guide, tutte Mohammed e tutte amiche di qualche
capogruppo di Avventure, decidiamo che e’ meglio chiedere. Ne approfittiamo
per far benzina alla stazione Ziz dove con un colpo di tergicristalli
ci liberiamo dei Mohammed sbagliati e con un colpo di culo troviamo
il Mohammed giusto. Le Turistes infatti e’ proprio di fianco al
distributore. Ammada scompare all’interno del negozio mentre il
resto della truppa si ferma ai tavolini del ristorante Dunes per
fare il pieno di omelettes e patatine alla faccia del Ramadam che
qui svuota le strade e gli stomaci, due cose che invece da noi son
fin troppo piene, specialmente in Quaresima. Mentre tagliamo l’anguria
riappare Ammada avvolto in un mantello azzurro da tuareg, confabula
con due brutti ceffi che l’aspettano fuori dal negozio e poi tutti
e tre scompaiono nelle stradine. Ne esce da solo circa mezz’ora
piu’ tardi, mentre ci stiamo leccando dalle mani i residui mielosi
dei dolci del Ramadam. Ammada salta in macchina senza toccare cibo.
Non si è convertito all’Islam, ha solo fretta di ripartire:”mangiare
è un’abitudine!”. Ha avuto notizia di ritrovamenti nella zona del
deserto nero, sulla strada per Taouz. Io a Taouz non ci volevo neanche
andare. La pista per Merzouga comincia una decina di chilometri
fuori da Erfoud; non servono guide, basta seguire il traffico: dove
e’ più intenso siete sulla strada giusta. Ammada da il meglio di
sè alla guida della Uno, finalmente una pista. I segnali non sono
facili da seguire, e’ vero che ci sono i pali della luce, ma mica
per tutto il tragitto, gli altri segnali sono piu’ difficili da
interpretare. Ecco un cartello tra la nuvola di polvere lasciata
dalla jeep davanti: hotel Jasmine, diritti, proprio dietro la Nissan,
un altro segnale, hotel Soleil Bleu, a sinistra, accidenti alla
sabbia, ce n’e di piu’ in aria che in terra. L’orizzonte è increspato
dalle dune rosa dell’erg, come si arriva fin là? Altro cartello,
hotel ksar Sania, speriamo bene. Ammada e’ tesissimo, concentrato,
la pista e’ battutissima, sembra asfalto, poi finalmente un avvallamento,
un mucchio di sabbia, una dunetta, Ammada si esalta, gli occhi fissi
sull’ostacolo, le mani strette sul volante. E’ solo un mucchietto
di sabbia ma ce la facciamo: insabbiati. Tutti a spingere, con calma
che dobbiamo fare la foto di rito. Quelli davanti hanno visto nello
specchietto, parcheggiano e tornano indietro, quelli dietro scendono
dalle jeep e dai bus e si precipitano a guardare, decine di macchine
fotografiche puntano sulla ruota semi sommersa della Uno e sul suo
pilota imbacuccato nello cheche azzurro, col gomito appoggiato al
tettino dell’auto, il piede sul cofano, lo sguardo fisso verso il
Sahara, il sorriso beffardo di che ce la fatta. Dieci minuti e siamo
al Toumbouctou, un hotel tra i più cari, ma anche tra i meglio tenuti
dell’Erg Chebbi. Ammada non capisce la smania di andare a dormire
al bivacco tra le dune per sorbirsi uno scontato tramonto rosso
sangue e un cielo che più stellato non si può, troppi romanticismi.
Lui preferisce farsi portare al “deserto nero”, laggiù, verso Taouz,
dove corre voce di “sassi strani” e da dove tornerà a piedi, solo,
occhi a terra e calamita in allerta. Ma il deserto nero, lo dice
la parola stessa, e’ troppo nero per distinguere le meteoriti, bisognerebbe
aspettare la notte e scoprire se al buio in mezzo a tutto quel nero,
non emerga qualche debole bagliore di radioattività extraterrestre.
A forza di camminare guardando per terra, Ammada perde l’orientamento,
la bussola non l’aiuta e nemmeno la tempesta di sabbia che impolvera
l’orizzonte lontano e anche l’orizzonte vicino. All’improvviso nella
nebbia emerge un bagliore giallastro, forse ci siamo, non verrà
da Marte che altrimenti sarebbe rossastro, nè da Saturno, che sarebbe
azzurrino, non viene neanche da Mercurio, che sarebbe gassoso e
nemmeno da Venere, che sarebbe tutta curve, in realtà viene da Taouz
ma la calamita impazzisce lo stesso vicino al faro del motorino
Suzuki di Assam, il cuoco del Toumbouctou. Ammada accetta un passaggio
dopo aver tirato sul prezzo come se fosse lui a fare un favore al
motociclista, che potrebbe piantarlo li’ a passare la notte tra
la sabbia e i sassi. Il giorno dopo l’insaziabile professore trascina
il gruppo nel Deserto Bianco dove i sassi dovrebbero risaltare in
mezzo a quel candore piatto. In effetti prima dei siti rupestri
si attraversa il fondo screpolato di un lago preistorico, bianco
come neve e liscio come un biliardo. L’autista della jeep, che gia’
aveva una scarsa considerazione per questo gruppo che vuole andare
nei posti piu’ deserti del deserto, guarda rassegnato e sorpreso
chi, invece di fotografare le onde dorate dell’erg, passeggia a
testa bassa prendendo a calci i sassi e, qualche volta, raccogliendone
uno per portarlo al professore che senza neanche guardarlo lo butta
via. Ma in fondo cosa credono questi qui, che noi si lasci le meteoriti
per terra quando sappiamo benissimo che c’è gente disposta a pagarle
a peso d’oro? Ritornare da Merzouga e’ più complicato del previsto
perchè non ci rassegnamo alla nuova strada asfaltata fino a Rissani
e per ripicca restiamo fuori dall’asfalto fino alla quarta foratura
poi ci pieghiamo al progresso illudendoci di correre sopra una grande
meteorite nera, lunga quasi trenta chilometri. A Rissani saccheggiamo
La Maison Tuareg mentre Ammada affoga la disperazione in un cesto
di datteri mielosi, un pò li mangia, la maggior parte se li spalma
sulle guance e sulle braccia cercando di assorbirne la polpa per
osmosi. Quando lasciamo le invisibili rovine di Sijilmassa spinti
da una violentissima tempesta di sabbia, del “professore” si vedono
solo gli occhi e i denti, unici segni di vita in mezzo ad un disgustoso
impasto di sabbia, zucchero e cocci di ceramica romana. Sulla strada
per Tazzarine la sabbia viene spazzata via da un temporale scatenato
come non si vedeva da anni. Non abbiamo incontrato anima viva da
quando siamo partiti da Rissani, non ne incontreremo fino a Nekob.
Le montagne del Saghro si intuiscono tra la pioggia, rosse, viola
marroni, sembra di essere su Marte, sarà per questo che Ammada ferma
la macchina e scende a scrutare la pianura sassosa, non si sa mai.
In questo modo sgombriamo ogni dubbio sul fatto che ci fermiamo
nei posti più assurdi, avremo foto che nessuno ha mai fatto, anche
foto di niente, soprattutto foto di niente. Una volta risalito in
macchina, Ammada, bagnato fradicio, confessa che durante il tragitto
in moto, Hassan ha parlato di uno strano personaggio, un cercatore
di meteoriti professionista che lavorerebbe in un hotel di Tamegroute,
e di una meteorite straordinaria ritrovata nel deserto oltre Mahmid,
una condrite. Ammada non e’ certo che il motociclista abbia detto
una condrite o un’acondrite, mentre si viaggia in moto su una pista
del deserto e’ difficile percepire un apostrofo, a meno che questo
coincida con un calo di potenza del motore, ma non e’ facile comunque.
Sembra che con questo apostrofo la meteorite acquisti un valore
incommensurabile. Un conto e’ una condrite, un'altra storia sarebbe
un’acondrite. Laura dal sedile posteriore azzarda una terza ipotesi,
cioè un acondrite, senza apostrofo, maschile. Ammada sbuffa, dice
che se la “a” e’ attaccata alla condrite va bene lo stesso, maschile
o femminile per lui e’ uguale. Incrocio lo sguardo attonito di Laura
e capisco che per noi c’e’ una bella differenza! Ne discuteremo
meglio dopo la Valle del Dra che e’ cosi’ bella da assorbire completamente
l’attenzione. Qualcuno scatta delle foto, poche, tanto per inserirle
quando sarà il momento tra quelle dove non si vede niente. Vorremmo
trovare dei point-view di nostra iniziativa, ma i migliori sono
quelli dove aspettano i venditori di pietre, di pugnali, di piatti,
di gioielli berberi e di datteri; quelli dove i bambini aspettano
nascosti sotto il bordo della strada per piombare attorno alle macchine
appena si fermano. Scorci fantastici si susseguono, a Tinzouline,
alle gole dell’Azlag, terrazze ricavate sui tornanti affacciate
a palmeti immensi, verdi e impolverati; quest’anno ha piovuto pochissimo.
I palmeti riempiono le pianure dalle rive del Draa fino ai piedi
delle montagne, montagne gialle, rocciose, s’intuisce che dietro
c’e’ il deserto, che sono le ultime pieghe della terra prima del
nulla. I paesaggi sono stupendi e ci aspettiamo un rifiuto di Ammada
a fermarsi e invece… invece dovete sapere che il prodotto tipico
della valle del Draa sono i datteri, che la stagione e’ appena cominciata,
che sono quasi meglio di quelli di Erfoud e che per tutta la strada
scatole e cestini vengono infilati nei finestrini. Nella foga degli
acquisti Ammada paga i consueti 35 dirham sia per il cestino da
un etto che per la scatola da un chilo. Arriviamo a Zagora con la
macchina piena di nocciolini, i denti pieni di carie e il colesterolo
di Ammada oltre i quattrocento, senza contare il volante e i sedili
cosi’ appiccicosi che non riusciamo a cambiare posizione per i successivi
tre giorni. Raggiungiamo Tamegroute, il villaggio con la biblioteca
coranica, i laboratori di ceramica, la medina sotterranea e l’hotel
della condrite (o dell’acondrite). Abbiamo scoperto la differenza:
il professore ha spiegato che una condrite ha le condrule, piccole
gocce di minerali condensati dal raffreddamento dei roventi vapori
di materia nebulosa solare, mentre un’acondrite è un pezzo di pianeta,
dove le condrule si sono fuse fino a diventare magma. Ora si tratta
di sapere il motivo per cui i sassi senza palline valgono più di
quelli con le palline, ma qui si tratta di complicate regole di
mercato. In cambio Ammada ha svelato il mistero per cui la salinità
degli oceani sia rimasta costante nel corso degli ultimi milioni
di anni, una cosa che mi chiedevo dai tempi in cui imparavo a nuotare
sulla spiaggia di Bellaria. Tamegroute è un paesotto a pochi chilometri
da Zagora, sulla strada per Mahmid. Nel villaggio c’e’ una biblioteca
coranica cosi’ famosa che molti negozi hanno preso il suo nome “biblioteque
Coranique”. Quella vera e’ dopo la piazzetta, sulla destra; a sinistra
c’e’ un buon ristorante il Jnane-Dar con alcune tende berbere e
mezza dozzina di camere, oltre ad una simpatica proprietaria bionda.
Dopo mangiato ingaggiamo un paio di bambini per visitare la medina
sotteranea, intricato dedalo di stradine buie e strette che conducono
sempre in un negozio di ceramiche. Ammada lo perdiamo alla seconda
galleria ma lo ritroviamo nella piazzetta della Zaouia dove sta
mostrando al posteggiatore il biglietto col nome dell’hotel, quello
col cercatore di meteoriti. L’hotel si chiama Repos Des Sables e
con le indicazioni di Ammada non l’avremmo mai trovato se non fosse
sulla strada per Mahmid, cinque o sei chilometri dopo Tamegroute.
L’hotel e’ davanti alle tre dune di Tinfou che si possono raggiungere
a piedi in dieci minuti, ma solo se non avete niente da fare perchè
sono molto deludenti per chi e’ stato a Merzouga. Molto meglio il
panorama lungo la strada verso sud sulla quale si rivedono dune
vere e si attraversa la graziosa oasi di Oulad Driss prima di arrivare
alla fine della strada. Insieme a Michela e Laura, aspetto davanti
all’ennesimo cafe’-au-lait che Ammada si faccia turlupinare da un
altro venditore di sassi. La notizia dell’arrivo del professore
corre più veloce delle Uno e appena ci fermiamo c’è un sassista
che ci viene incontro a colpo sicuro. Non credo stia già circolando
la foto di Ammada, quindi e’ probabile che lo riconoscano dalle
tasche della giacca piene di pietre e dai datteri appiccicati alle
dita. A Mahmid viene organizzata una delle più grandi truffe meteoritiche
nella storia del Marocco. Ammada ci raggiunge felice come una Pasqua,
ma dobbiamo pagargli il the perche’ non ha più una lira. Davanti
al bar passa un pick-up strombazzante pieno di luci e festoni multicolori,
stracarico di gente in festa nonostante il Ramadan. Ammada saluta
l’autista e un paio dei passeggeri. Sono i mercanti di meteoriti
che gli hanno appena venduto un pezzo “… molto… molto raro”. Guardo
le ragazze e nascono i primi dubbi sull’affare concluso da Ammada
che, passata la baraonda, rimane con la mano destra alzata in segno
di saluto e lo sguardo fisso sulla sinistra che stringe la meteorite.
Il dubbio disegna sul suo viso una ragnatela di rughe mentre nel
palmo della mano luccica un sasso troppo, troppo simile a quelli
dei marciapiedi…. Al Repos des Sables, una volta riusciti a venir
fuori dalle camere che hanno le serrature Dogon non perfettamente
lubrificate, troviamo Ali, il cercatore. Lo troviamo in quella che
potremmo chiamare sala da pranzo, ma potremmo chiamare in qualsiasi
modo perchè lì dentro si fa di tutto. Sui divani attorno a due tavolini
alti una spanna sono stravaccati tre ragazzi, una ragazza e un cercatore
di meteoriti berbero. Come l’ho riconosciuto? Semplice, gli altri
sono tutti biondi-nordici. Ali sta chiacchierando in berbero con
Ammada che risponde in veneziano. Il berbero lavora in hotel come
cameriere-cuoco-portiere-di-notte-cercatore di meteoriti; e’ un
bel tipo, alto quasi due metri, occhi neri, pelle olivastra, lo
cheche attorno alla testa. Ha un sorriso accattivante che biancheggia
tra il nero della barba e dei baffi e un’aria così rilassata che
vien voglia di stare ad ascoltarlo, anche senza capire una parola,
sarà per gli occhi, per il sorriso, per la voce o sarà per le canne
che distribuisce a destra e a manca. Stanno fumando tutti, sia i
ragazzi sul divano di fronte, sia le ragazze sul divano di fianco,
che poi sono le mie compagne di viaggio, mie e di Ammada, l’unico
che non fuma. Oddio, non fuma direttamente, ma da come inspira direi
che assorbe completamente il fumo passivo della camerata. Ali guarda
Ammada con una divertente espressione a metà tra l’incredulo e il
curioso, più verso l’incredulo. Ci accatastiamo in otto sul divano
e con la scusa del freddo mi stringo abbastanza da strusciare le
tette di Laura ma senza perdere un attimo della scena di fronte.
Ammada e’ eccitatissimo mentre il berbero continua ad arrotolare
una canna dopo l’altra passandole alla prima mano tesa. Acondrite
o condrite? - sta bisbigliando Ammada sul naso del berbero. Acondrite.
- ripete Ali con calma. - Acondrite, vera acondrite. Sicuro. Sicuro?
- Sicuro. Acondrite. - ripete paziente Ali, poi sussurra nell’orecchio
del professore qualcosa di straordinario, perche’ Ammada spalanca
gli occhi, spalanca la bocca, spalanca le orecchie e spalanca le
narici per tirare su un’altra nuvolata di fumo. Cosa tè ga dito?!?!?
- urla sotto voce. Zagami. - Xagami … con la xeta de xebra?!?!?!
Zagami, tu capisci italiano? - Gò capio, gò capio, ti fa davero,
xagami. - Ali si protende sul tavolo verso di noi, ci fissa uno
a uno, si toglie dalle labbra la sigaretta ammosciata dalla saliva,
e a bassa voce scandisce: Za-ga-mi. - guardiamo la sua faccia misteriosa,
tra il fumo e i resti del couscous, i nostri sguardi sembrano chiedere:
“che cazzo e’ la zagami?”. Che cazzo e’ la zagami? - chiede Michela
protendendosi anche lei sopra il tavolo e guardando Ali con occhi
spiritati. Meteorite marziana! - Michela con movimeno lentissimo,
prende la sigaretta ammosciata dalle dita di Abdul, la guarda disgustata
e me la passa. Che schifo! Fingo una tirata e la passo a Laura.
Ammada prende Ali e se lo tira di nuovo vicino: Bikam fulus…. Quanti
schei? - Tanti. - risponde il berbero. Dove xea? - chiede il professore
speranzoso. Lontano… molto lontano. - Dove? - ripete Ammada deciso
ad avere la preziosa indicazione. Akka.- Accà dove? - No qua, Akka.
- ripete Abdul tranquillo. - lontano dopo Tata, dopo Akka, dopo
Icht, verso la frontiera proibita, è un piccolo villaggio, si chiama
Tizgui. - Ammada si rilassa, s’appoggia al muro, inspira profondamente,
poi mi guarda. Ci passiamo? - Sfilo la mano da sotto il maglione
di Laura, prendo la EDT e cerco nell’indice. Nessuna traccia di
Tizgui. Boh, non e’ segnato. Vediamo la Polaris - niente, però c’è
una nota di Gaudio che consiglia di contattare un certo Khalid,
c’e’ il numero di telefono, c’e’ scritto che e’ il maggior esperto
delle incisioni rupestri della zona, c’e’ scritto che abita in un
paesino di nome Tizgui. Alle due Ammada e Ali stanno ancora chiacchierando,
i nordici dormono sul divano, le birre sono finite, le canne sono
finite. Fuori l’aria e’ fredda e limpida, c’è un cielo bellissimo,
le stelle non finiscono mai. Vado a letto con la mente rintronata
dal fumo e dalle meteoriti, non sono neanche sicuro che sia la camera
giusta, non e’ sicura neanche Laura. Il giorno dopo è una corsa
tra le meraviglie del Marocco. La valle del Draa sembra ancora piu’
bella al mattino. Ad Agdz attraversiamo la piazza e dopo la porta
prendiamo una strada a sinistra che dopo una dozzina di chilometri
diventa pista e sfiora un paio di villaggi intrufolati tra la terra
rossa e il verde polveroso delle palme. A Foum Zguid pranziamo con
formaggini, datteri e dolci del Ramadan. Mrihimina manco la vediamo
e a Tissint cerchiamo un paio d’erbe miracolose per abbassare il
colesterolo di Ammada. Solo dopo Tissint, il paesaggio lunare attira
l’attenzione anche del professore. Sulla destra della strada si
stende un un tavolato di roccia biancastra, tuttafrastagliata in
canyon dendritici e pinnacoli pennellati dalla viva luce del sole
e dalle relative ombre.. E’ un posto affascinante, ci fermiamo per
forza perche’ il sole negli occhi impedisce di vedere la strada
e un paio di volte ci troviamo contromano. Ammada vaga estasiato
tra le insenature e le crepe del terreno lunare. Quando ripartiamo
il sole è appoggiato sull’orizzonte, la sua luce fredda non da fastidio.
Arriviamo a Tata la rossa che fa buio pesto. Al Renaissance stanze
e cena ci ripagano dei quattrocento e passa chilometri sciroppati
oggi. Ammada voleva tirare avanti fino ad Icht. Sul terrazzo dell’hotel
mi accordo con Abdul della Maison Tuareg per la visita di domani.
Ammada apre la Polaris e chiede ad Abdul se conosce quel Khalid
consigliato da Gaudio. Abdul vede che sulla guida c’e’ anche lui
e sorride soddisfatto. Proviamo a telefonare al numero indicato
ma un operatore comunica qualcosa in arabo. Proviamo a rifarlo:
niente da fare. Ammada si accascia sul tavolo. Abdul prende la guida
e sparisce nel buio, vuole che lo raggiungiamo nel negozio tra mezz’ora.
Percorriamo le strade animate dal dopo-ramadam, le flebili luci
dei lampioni si riflettono sulle piastrelle di ceramica che tappezzano
i portici. In piazza la gente e’ ammassata nei caffe’ a vedere una
partita della coppa d’Africa. Abdul aspetta nel negozio, allineate
ai suoi piedi una decina di pietre attirano per poco l’attenzione
di Ammada. Oltre alle meteoriti, Abdul ha trovato qualcuno che conosce
Khalid di Tizgui e ha recuperato il numero di telefonino. Proviamo.
Niente da fare, non risponde nessuno. Riproveremo domattina, ormai
e’ notte. Raggiunte le camere riesco a riposare nonostante le urla
dei tifosi che scorrazzano per le strade festeggiando la vittoria
del Marocco per tre a zero, i clacson sono pochi ma la gente e’
tanta e va avanti e indietro dalla via principale di Tata sbraitando
e cantando Quando arriva l’ora della seconda cena post-ramadan ritorna
la calma e il silenzio. Solo in città, perchè nella mia camera qualcuno
russa cosi’ forte che i tifosi del Marocco erano un coro di voci
bianche che cantavano una ninnananna. Dopo colazione finalmente
Khalid risponde al telefono e ci fissa un appuntamento lungo la
strada nei dintorni di Icht. Ammada freme d’impazienza, durante
il giretto al mercato e all’oasi di Afra lui aspetta in auto, pronto
al volante, sbuffando. Quando balziamo in macchina parte sgommando.
Dopo cinque chilometri un segnale stradale piovuto dal cielo dice
che stiamo andando nella direzione da cui siamo venuti ieri sera.
Immediato testa coda, sfioriamo un frontale con la Uno che ci seguiva;
Michela tira su il medio. Riattraversiamo Tata approfittandone per
recuperare i bagagli che nella fretta avevamo dimenticato in hotel.
Dovremmo incontrare Khalid a dodici chilometri esatti da Icht. Influenzati
dalla tensione di Ammada, contiamo i chilometri sulle pietre miliari
fino ad un bivio col cartello: Icht 12. Sulla strada c’è un barbone
avvolto in un burnus marrone scuro, con in mano una borsa di carta
tipo Iper e in faccia un’espressione da extracomunitario che fa
l’autostop sulla A4. Ci fermiamo per chiedere se conosce Khalid
allungandogli qualche dirham. Lo conosce. E’ lui. Dalla borsa dell’Iper
vengono fuori fotografie e cartine dettagliate dei siti rupestri,
ci andiamo al volo. Il silenzio rende suggestivo questo posto in
mezzo al deserto, con l’Algeria ad un tiro di schioppo, e di tiri
ne hanno tirati parecchi qui attorno. Le incisioni rupestri sono
lungo una dorsale rocciosa e rappresentano gazzelle, struzzi, altri
animali e un paio di cacciatori. Naturalmente Ammada ignora la zona
delle incisioni ed esplora la pietraia circostante. Lo vediamo inginocchiarsi
sulla sabbia, smuovere con delicatezza la sabbia e raccogliere una
reliquia, adorarla sul palmo della mano e ridepositarla a terra.
Quando lo raggiungiamo ha in mano frammenti di utensili e due punte
di freccia: una in ossidiana è veramente bella, affilata e artisticamente
lavorata, l’altra, del periodo “Ateriano” è una punta di freccia
solo per lui, ma fingiamo di restare affascinati per non rovinare
l’atmosfera magica del luogo. Ammada invita a rimettere le cose
al loro posto, i siti archeologici non debbono essere depredati,
se non dagli esperti. Riprendiamo le auto e facciamo un tour verso
i paesini dei dintorni, alcuni soffocati nella sabbia, altri appollaiati
sulle rocce, uno in riva ad una sorgente in cui i bambini sguazzano
felici. Tornando verso Icht arriva il momento cruciale. Ammada chiede
distrattamente a Khalid se nei dintorni si trovano meteoriti. Meteoriti?
Pieno. Pieno come uno sciame di asteroidi. Che tipo? Tutti i tipi.
La Uno sbanda, Ammada abbassa la voce. Non sento la conversazione,
impegnato come sono a guardare la strada sperando che non arrivi
nessuno dall’altra parte mentre l’auto prosegue a zig-zag. Sento
bisbigliare e intuisco poche parole, una di sicuro è Zagami. Zagami,
la meteorite marziana. Ammada annuncia una sosta fuori programma.
Poco lontano c’è una piccola oasi dove possiamo organizzare un pic-nic
all’ombra delle palme mentre lui va con Khalid ad incontrare un
famoso cercatore di meteoriti, anzi un’intera famiglia di cercatori
di meteoriti. L’oasi c’e’ davvero, un pugno di palme attorno ad
una sorgente d’acqua fresca che alimenta una piscina naturale in
mezzo a piccole dune dorate che ondeggiano fino alla striscia grigia
dell’asfalto. La Uno di Ammada scompare nella polvere al di la’
della strada, verso l’orizzonte, verso il nulla, il suo ambiente
preferito. Abbiamo il tempo di esaurire le scorte di pane, formaggini
e banane, sdraiarci in relax sul bordo della sorgente, abbronzarci
sulle dune. Abbiamo tutto il tempo per scottarci sulle dune, abbiamo
troppo tempo. Scalo la duna più alta sperando di scorgere la nuvola
di polvere tornare verso l’oasi. Niente. Passa un’ora, passano due
ore. Niente. Quando nel tardo pomeriggio un’increspatura annuncia
qualcosa in arrivo, sono pronto a fare un cazziettone al professore
per averci abbandonato nell’oasi sconosciuta aspettando un cercatore
di meteoriti, sembra un titolo della Wertmuller. L’auto non e’ bianca,
non e’ la Uno. Arriva nell’oasi e scende Khalid. Dov’e’ Ammada?
Non possiamo aspettare i suoi comodi, non possiamo passare la notte
qui! O possiamo? Khalid e’ agitatissimo, mi urla qualcosa in faccia,
ma per me e’ arabo. E’ arabo anche per gli altri, in effetti e’
proprio arabo pero’ si capisce che c’e’ qualcosa che non va. M’invita
a seguirlo, balzo sulla R4 color panna andata a male, gli altri
seguono con le auto rimaste. Raggiungiamo l’asfalto, lo attraversiamo
e ci inoltriamo nel deserto sassoso dove era sparito il professore.
Corriamo in fila indiana per circa un’ora rischiando di scassare
le macchine mentre Khalid è teso, si capisce che è successo qualcosa
di grave. Superiamo un gruppo di tende marroni, e’ l’accampamento
dei cercatori. Non c’è nessuno perche’ sono raggruppati una ventina
di minuti piu’ avanti, con un paio di jeep e quattro cammelli, attorno
ad un fuoco, anzi attorno ad un fumo, una colonna di fumo scuro
e denso. Parcheggiamo e appena scendo mi viene incontro un santone
con la testa in un lenzuolo blu che lascia vedere solo gli occhi,
blu anche quelli. Mi prende per un braccio e mi tira lontano, verso
i cammelli, parla bene francese. Ammada si e’ fermato all’accampamento
e ha cominciato a discutere con i cercatori riguardo ad una meteorite,
una meteorite rarissima, quella che Ammada non aveva neanche il
coraggio di nominare. La Zagami ha preso il nome da una località
nigeriana dove e’ stata rinvenuta per la prima volta, sembra che
da analisi effettuate sia un frammento della superficie di Marte
e più esattamente una roccia solidificatasi 1.300 milioni di anni
fa nelle profondità di qualche vulcano. La banda di cercatori ha
cercato di piazzare ad Ammada una Zagami falsa e lui s’e’ incavolato,
ha preso la Uno e si e’ allontanato dall’accampamento per tornare
da noi. Naturalmente ha preso la direzione sbagliata, lo hanno inseguito
per avvisarlo e qualche chilometro dopo hanno visto l’auto ferma
in mezzo alla distesa di sabbia e pietre. Mentre si avvicinavano
improvvisamente è venuto giù qualcosa qualcosa dal cielo, in una
scia infuocata, con un tuono spaventoso, ed è andato a schiantarsi,
come se avesse preso la mira da milioni di anni, proprio sulla Uno.
Non posso crederci, corro anch’io sul luogo del disastro. Della
Uno è rimasto gran poco, giusto la carrozzeria, come se un missile
l’avesse attraversata di netto sfondando il tetto, i sedili e il
pianale. In corrispondenza dei sedili anteriori c’è un piccolo cratere
fumante. In mezzo al cratere una pietra incandescente lancia sinistri
bagliori rossastri come una grossa cicca di sigaretta che si spegne.
Di Ammada non c’è traccia e non c’è neppure una goccia di sangue
sul relitto. Un giorno Ammada aveva spiegato che una meteorite ritrovata
dopo averne visto la scia si chiama “caduta”, se invece viene rinvenuta
per caso si chiama “ritrovamento”, ma se è la meteorite a trovare
il cercatore allora dovrebbe chiamarsi “sfiga”. Se fosse qui Ammada
troverebbe il nome giusto, invece l’abbiamo perso per sempre. Forse
riapparirà da qualche parte con un pezzo di meteorite marziana in
mano, col sorriso beffardo sulle labbra, col colesterolo alle stelle,
forse sarebbe riapparso quando meno ce l’aspettavamo, come succedeva
ogni volta che esplorava da solo le pietraie deserte, testa bassa,
lente e calamita in mano. Forse non sarebbe riapparso mai più. Nel
silenzio suggestivo del deserto, guardo l’orizzonte nella speranza
di vedere una piccola sagoma correre verso di noi, ma l’orizzonte
è piatto e immobile. Adesso il problema sarà convincere l’Europcar
a darci un’auto in sostituzione di due portiere e un cofano con
in mezzo più niente. Di sicuro sarà un caso non previsto dalle assicurazioni
full-optional. Bisognerà incrementare la cassa!
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