Il
volo.
Venerdi 27-05-05, ore 05:05: inizia l'avventura!
Gino e Maria sono puntuali, anzi in anticipo. Ci accompagna Claudio,
loro figlio, con il furgone del ciclismo, all'aereoporto di Pisa.
Ore 05:50 check-in, ore 06:50 partenza volo per Monaco di Baviera
con Air Dolomiti. Perfetto orario.
L'aereoporto di Monaco è un perfetto esempio di efficienza
teutonica, bello, pulito, funzionale. Nonostante ciò è
duro aspettare 7 ore per il volo per San Francisco. Fin qui tutto
bene, ma per il resto del viaggio sono un po' in ansia; è
la 1^ volta che non si tratta di un viaggio super organizzato, tipo
villaggio o simile. Le difficoltà con la lingua cominciano
subito quando si entra nella zona imbarchi per gli USA, gestita
direttamente da personale americano. Controlli rigorosi, registrazione
dei passaporti a lettura ottica (altrimenti occorre il visto), metal
detector che suonano per uno spillo. Comunque alle 16:10, con un
po' di ritardo, il volo LH458 della Lufthansa per San Francisco,
decolla.
Saranno quasi 13 ore di volo non stop. Due pasti (tedeschi) una
specie di colazione, bibite a volontà, snack. Film solo in
lingua tedesca o inglese.
Qualche ora prima di atterrare ci consegnano i moduli del Visa Waiver,
quelli dove ti chiedono se sei un terrorista, se hai rapito bambini,
ecc. (veramente). Difficoltà a riempirli. Sbaglio (non sono
ammesse cancellature), ma il personale di bordo è gentilissimo
e mi porta 4 o 5 stampati nuovi, così ce la faccio. Sorvoliamo
l'Islanda e si vedono benissimo i ghiacciai ed i vulcani. L'aria
condizionata è un tormento. Ma ormai sono le 18:10, ora della
west coast e l'avventura sta per iniziare davvero.
Atterriamo in perfetto orario. Anche le procedure di ingresso sono
abbastanza rapide: impronte digitali elettroniche degli indici,
rigorosamente prima il destro, poi il sinistro, foto digitale del
viso. Ritiro dei bagagli rapidissimo e senza problemi. Alla dogana
ritirano solo il questionario family compilato in aereo e timbrato
alla frontiera. Ho sempre più difficoltà con la lingua,
anche se sono gentili non capisco neppure le parole più semplici,
meno male che ci sono Lisa e Mau.
San
Francisco.
Per raggiungere la zona degli autonoleggi bisogna prendere un treno
a monorotaia, linea "blu", per raggiungere il 780 di Mc
Donnel Road, ad un paio di miglia dall'aereoporto. Nasce il primo
piccolo inconveniente: Mau entra al volo, ma con i carrelli portabagagli
non ci stiamo tutti, un attimo di indecisione, le porte si chiudono
e così parte da solo. Noi prendiamo il successivo, 3 o 4
minuti dopo. Fortunatamente Mau è sceso alla 1^ fermata,
ci vede sale e ci riuniamo. Alla ALAMO rent a car c'è una
fila numerosa, ci vuole una mezz'ora; così come ci avevano
avvertiti, ci propongono un' auto più grande e altri servizi,
rifiutiamo tutto, anche perché siamo in 6 e l'auto è
per 7 e abbiamo la formula gold che prevede già fino a 3
guidatori aggiuntivi, assicurazioni supplementari e primo pieno
di benzina. Richiediamo anche il contratto in italiano, ma non ce
lo danno. Con il contratto scendiamo nel garage e andiamo nel settore
SUV e Minivan. Chiediamo ad un tizio che sembra il responsabile
del settore e senza nessuna formalità ci indica la nostra
auto, una Dodge Gran Caravan bianca a 7 posti, veramente spaziosa.
Ci vuole del bello e del buono per convincere il tizio a spiegarci
come funziona soprattutto il cambio automatico, insistete, se non
avete confidenza con auto americane, prima di ritrovarsi a non sapere
cosa fare. Alla guida Mau, io faccio da navigatore. All'uscita controllo
veloce (c'è un codice a barre sul vetro) e via.
Prendere la US 101 direzione nord non è un problema, solo
che è già buio e la strada è a 5, 6 corsie
per senso di marcia, con un traffico velocissimo che si tiene oltre
i limiti di 65 mil/ora. Ci vuol niente a sbagliare una corsia di
incanalamento per sola uscita (fate attenzione "only exit nome
direzione") e ci ritroviamo sul Oakland Bridge direzione est.
Alla prima uscita lasciamo il ponte e entriamo in Treasure Island.
L'errore si trasforma in qualcosa di piacevole: davanti a noi si
staglia lo sky-line di San Francisco illuminato nella notte, fantastico.
Ci sono una mezza dozzina di limousine e altrettanti pulmini carichi
di turisti. Non ci fermiamo molto, è tardi e abbiamo fretta
di raggiungere l'albergo.
Riprendiamo il ponte in senso inverso, usciamo a destra sulla 5th
Street, poi Market Street e Ellis Street. Intravediamo l'insegna
Monticello Inn e ci fermiamo davanti all'hotel. Capiamo subito che
parcheggiare da quelle parti è un problema, così lasciamo
fare al personale dell'hotel e alla fine pagheremo una bella pisola:
68 $, 30 a notte più le tasse. Ma non avremmo saputo fare
diversamente. L'albergo è più carino fuori che dentro,
solo la posizione è perfetta, dietro a Union Square e a due
passi dal capolinea dei Cable Cars di Powel Street.
Sabato
28 maggio. Forse per il fuso orario, forse perché in aereo
ho preso troppi caffè, non chiudo occhio e alle 06:30 del
mattino dopo, con quasi 50 ore senza dormire, mi ritrovo da solo
a fare foto alle vetture dei Cable Cars che il personale ruota a
mano sulle piattaforme girevoli per invertirne il senso di marcia.
Torno in hotel e alle 08:00 siamo tutti a fare i biglietti (belli,
delle cartoline) per la linea Powel -Hyde, 2 corse, andata e ritorno,
per 7 $ a testa. Il Cable Car e le strade che percorre sono incredibili.
Salite con pendenze anche del 15%, su è giù fino al
capolinea di Hyde Sreet. Un tratto a piedi e siamo al Fisherman's
Wharf, il vecchio porto dei pescatori riattrezzato per il turismo.
Ci sono ceste di granchioni enormi che ti cucinano lì per
lì, ma non ce la sentiamo di fare colazione in quel modo
ed optiamo per un "cappuccino" (parola comune come pizza)
di mezzo litro e un cornetto gigante al cioccolato, o alla crema
in un bar pseudo italiano gestito da cinesi (!?). Il tutto non male
per 6,50 $ a testa.
Andiamo al Pier 39 per vedere i leoni marini. Sono decine e decine,
tutti su delle zattere, a crogiolarsi ad un sole che non c'è
e, anzi, per noi fa freddino, anche se i nuvoli stanno diradandosi.
Giriamo un po' per il villaggio finto pescatori, carino, tutto localini
e ristorantini rigorosamente di legno, colori vivaci e molta gente.
Compriamo una scheda telefonica alle macchinette e proviamo a chiamare.
Non ci riusciamo, l'operatore ci dice che essendo un telefono pubblico,
dobbiamo inserire delle monete (io lo capisco perchè seleziono
la lingua spagnola), inseriamo monete di tutti i tagli, ma non ci
riusciamo. Andiamo via ripromettendoci di riprovare più tardi.
Riprendiamo un Cable Car e c' è da fare una lunga fila, così
non ce la facciamo ad andare da Ghirardelli, la nota cioccolateria
e Tami si adombra un po'. Intanto è uscito un sole splendido
e a mezzogiorno e mezzo siamo in Union Square. Mau e Lisa vanno
al Nike Town, io li seguo per un po' a curiosare tra gli ultimi
modelli di scarpe che costano la metà esatta che in Italia
e poi raggiungo gli altri che si sono infilati da Macy's. Scendiamo,
ci ritroviamo e mangiamo un hot-dog seduti nella piazza che è
veramente una bomboniera. Torniamo con due passi all'hotel e ci
facciamo portare l'auto: direzione Golden Gate.
Ci fermiamo al primo Vista Point, sul lato sud. Parcheggiamo e utilizziamo
per la 1^ volta i parchimetri a moneta; un quarto di dollaro per
un'ora. Lo spettacolo è fantastico: il cielo è limpido
e il sole caldissimo, le foto si sprecano. Ma la meraviglia è
dall'altra parte: traversiamo il ponte ed è già di
per se fantastico, poi decidiamo di salire sulla collina sulla sinistra
dove vediamo tantissime auto. Usciamo a destra, facciamo la rampa
e attraverso un sottopassaggio iniziamo a salire. Mentre avanziamo
il panorama si fa sempre più bello, ma ci fermiamo solo dove
non si può più andare avanti se non a piedi. Camminiamo
per un po' e raggiungiamo un terrazzino che è il Vista Point
più alto. Lo scenario è esaltante, con appena un velo
di foschia, San Francisco ci si presenta davanti con tutta la bellezza
dello sky-line. Il Golden Gate, la Downtown con il grattacielo a
piramide. Alcatraz in mezzo alla baia e centinaia di barche a vela.
Dall'altra parte la baia dalla parte dell'oceano, con spiagge e
scogliere. Anche qui non smetteremmo mai di fotografare. Ci spiace
abbandonare queste bellezze, ma risaliamo in auto e ripercorriamo
il ponte verso sud; al termine c'è il casello e si paga il
pedaggio.
Ripercorriamo la US 101 e poi deviamo per arrivare in Lombard Street.
Vicino a quella che viene considerata la strada cittadina più
tortuosa del mondo, la polizia ci fa fare un giro che nelle loro
intenzioni dovrebbe smaltire il traffico, ma che ci costringe a
una coda con relative fermate e ripartente su salite anche del 14%.
Alla fine scendiamo questa famosa Lombard Street. Carina, tutta
fiorita di ortensie e pavimentata di mattoncini rossi, Tami è
entusiasta, ma a me non dice più di tanto. Foto di rito,
anche se rimane in controluce e poi proseguiamo per Telegraph Hill
e la Coit Tower. Anche lì coda di auto, tanto che quando
arriviamo decidiamo di non salire sulla torre per non fare anche
una coda a piedi. Intanto cala il sole e ricomincia a fare freschino.
Rientriamo in hotel e poi cerchiamo dove cenare vagando un po' per
la Downtown; l'idea era quella di raggiungere Chinatown, ma ci infiliamo
dentro ad un locale, da Helly's dove prendiamo una New York steak
(bistecca) ricoperta di patatine fritte e verdurine, non male, la
carne è morbida e saporita e il locale è tutto in
stile Happy Days, con i tavoli fra panche fisse con gli schienali
alti e imbottiti. Ricordate che quando chiedete una bistecca (steak)
di qualsiasi tipo e dimensione, vi chiederanno sempre come la volete
cotta: "meat", "medium", o "well-done";
per la nostra esperienza è bene sempre prenderla medium,
, mai well-done, perché è veramente bruciata. Paghiamo
21 $ a testa e stanchi morti, io sono più di 2 giorni che
non dormo, si va a nanna. Domani alle 08:00 si parte per Kings e
Sequoia Park.
Domenica 29 maggio. Facciamo colazione in un piccolo bar di fronte
al capolinea di Powel Street delle Cable Cars, cappuccino migliore
di quello di ieri e una pasta enorme ai mirtilli, spendiamo 7 $
a testa, ma va bene.
Per uscire da San Francisco e prendere la I-80 Est, direzione Oakland
Bridge, facciamo un po' di casino per colpa dei one-way, così
ci ritroviamo in ritardo. Dobbiamo percorrere 380 km fino all'ingresso
del Kings e altri 100 circa per arrivare a Three Rivers. Le Intestate
e Freeway sono tutte scorrevolissime, i limiti fra 75 e 55 miglia/orarie
accettabili e tutti, compresi noi, corrono di 5 miglia sopra il
limite. Percorriamo così il ponte, poi la I - 580 Est, la
I - 205 Est, un tratto della I - 5 Nord, poi la SR 120 e infine
imbocchiamo la SR 99 Sud. Da qui la strada è tutta dritta
fino a Fresno, dove dovremo deviare sulla SR 180 "Kings Canyon
Road". Recuperiamo tempo (i tempi di percorrenza calcolati
con Sreet Atlas USA si dimostreranno molto in eccesso, in realtà
le strade consentiranno sempre di essere più rapidi) e ci
permettiamo anche di fermarci per comprare frutta, prima delle fragole
da dei coloni forse messicani, che vendono in un chioschetto ai
bordi della strada, buonissime, dolci anche troppo. Poi, appena
dopo Fresno, all'inizio della SR 180, appena passato il cartello
per i parchi, ci fermiamo in una rivendita di frutta molto organizzata
e pittoresca, con anche una ragazza vestita come una quaqquera,
cuffietta e grembiulone compresi. Compriamo un po' di tutto, ciliegie,
susine, albicocche, pesche. Anche perché la campagna invoglia;
sono ormai ore che viaggiamo tra frutteti e vigneti. E' qui che
producono il vino che ormai ci fa concorrenza.
Kings
e Sequoia National Park.
Percorrendo la SR 180 il paesaggio cambia, spariscono quasi subito
le coltivazioni e la strada inizia a salire, anche se non sembra.
Ci fermiamo a pranzare al Trading Center di Squaw Valley e facciamo
anche benzina per la prima volta. I distributori funzionano così,
o si paga prima alla cassa e poi ci si rifornisce della quantità
che si è pagata, o si usa la carta di credito che è
il sistema più semplice e più rapido. Qui la benzina
è caruccia, 2,39 e 9/10, conviene sempre farla dove costa
meno, anche se si ha ancora mezzo serbatoio. Nel locale bar - ristorante
"Bear Mountain" c' è un folto gruppo di Harleysti;
sono proprio come quelli nei film, gilet di pelle borchiati, bandana
(nessuno usa il casco, non è obbligatorio) e le moto lucidissime
parcheggiate in fila, fantastico, non sono cose inventate per il
cinema o la tv, esistono davvero.
Avevamo già deciso per dei panini in modo da fare presto
ed, invece, si rivela una scelta sbagliata, per 6 panini ci mettono
50 minuti. Capiremo dopo che se gli si modifica lo standard, cioè,
loro chiamano un panino, o una pizza con un nome e dentro o sopra,
ci sono tutta una serie di salsine ed ingredienti, se non ci vuoi
qualcosa, o comunque chiedi una modifica, vanno nel pallone e non
ci escono più. Noi gli avevamo ordinato 6 panini "personalizzati",
immaginatevi. Comunque sono buoni e giganteschi, con tanto di busta
di patatine come contorno e nemmeno cari.
Risiamo in ritardo e la strada sale sempre più, diventando
sempre più scenica. Arriviamo davanti all'ingresso del Kings
National Park alle 15:00, per percorrere 380 km abbiamo impiegato
6 ore, ma abbiamo sostato per almeno 2.
C'è una ranger vestita come nel cartone animato di Yoghi
e Bubu, con tanto di cappello largo, ci accoglie con un sorriso.
Compriamo la National Park Pass per 50 $, è la carta che
ci consentirà di entrare con l'auto e 6 persone a bordo in
tutti i parchi nazionali risparmiando molto, tenete di conto che
un veicolo con un massimo di 6 persone paga 20 $ in ogni parco nazionale.
Ricordate di firmarla e di avere il passaporto firmato, è
l'unico controllo che effettuano. Assieme alla carta, una specie
di bancomat, ci consegnano anche una mappa dettagliata dei parchi,
una rivista e un foglio in italiano che riassume la rivista. Non
in tutti parchi ci daranno lo stampato in italiano, ma in un paio
si.
Facciamo la 1^ tappa a Grant Grove per vedere la Generale Grant
Tree, sulla SR 180. Le sequoie, man mano che ci avviciniamo alla
Generale Grant, sono sempre più alte ed incredibili. La Generale
poi supera le aspettative. Va vista, descriverla è riduttivo,
quasi tremila anni d'età alta più di 80 metri e 15
persone non ce la fanno ad abbracciarla. Ma è tutto il bosco
che sembra incantato. Il sole non è perfetto e ogni tanto
si copre di nuvole bianchissime, siamo a oltre 2.500 metri di altitudine
e il clima è tipicamente montano, ma questo rende tutto ancora
più suggestivo. Ma è andando verso Sequoia National
Park (i due parchi sono attaccati e in realtà sono un tutt'uno),
percorrendo una strada di alta montagna, la SR198 Scenic Byway "Generals
Higway" che il bosco diventa sempre più da film. Ci
fermiamo alla Generale Sherman Tree, al Tunnel Log, Parker Group
e in tutti i punti più famosi indicati nella mappa. Al Tunnel
Log facciamo tre giri con l'auto (c'è un loop) per farci
le foto. Poi, per finire, saliamo sul Moro Rock. Il sentiero, anche
se più che praticabile, in pratica una scalinata, è
impegnativo e arriviamo in vetta, dopo una mezz'ora, stremati. Il
paesaggio è imponente, anche se le nostre Alpi, o Dolomiti,
offrono molto di più, ma qui siamo comunque fra le più
alte montagne degli Stati Uniti, nel massiccio della Sierra Nevada.
Ed è nella strada che scende da Sequoia verso Three Rivers
che la natura ci riserba delle sorprese: Prima dei cerbiatti che
brucano i fiori ai lati della strada; scendiamo dall'auto e si lasciano
avvicinare fino a 4, 5 metri senza timore lasciandosi fotografare.
Poi scoiattoli e per finire un orso bruno. Ci eravamo fermati in
una piazzola attrezzata con servizi igienici e fontanelle d'acqua,
quando tra i tavoli da pic-nic vediamo l'orso che fruga con il muso,
tranquillo, avvicinandosi a dei turisti che stanno facendo bistecche
arrosto, ma senza disturbarsi a vicenda. Fantastico, l'orso Yoghy
non è solo un cartone animato, esiste nella realtà.
Arriviamo all'hotel, il Holiday Inn Expess di Three Rivers con il
buio fitto. Cerchiamo dove mangiare, sono le 22:00 e in un locale,
un ristorante messicano, ci dicono che hanno già chiuso.
Ripieghiamo in una pizzeria lì vicina, anche qui stanno già
facendo le pulizie, ma ci dicono di accomodarci in un angolo e che
le pizze le possono fare. Non commettiamo l'errore di richiedere
modifiche e in dieci minuti ci servono, pizze nelle scatole di cartone
anche se consumiamo al tavolo, capiamo che è perché
se ci avanzano le possiamo portare via, lì, come in tutti
gli USA, è normale. Le pizze sono buone e spendiamo pochissimo,
sui 12 $ a testa, compreso le bibite e i refill (cioè puoi
riempire il bicchiere, pagando una sola volta, non però per
la birra e il vino). Rientriamo in albergo e non ci rimane che andare
a dormire, domani c'è una tappa lunga, fino alla Death Valley.
Death Valley.
Lunedi
30 maggio. Stamani dobbiamo percorrere circa 480 km. Facciamo colazione
in hotel, visto che è compresa e ci lasciamo prendere la
mano, saccheggiando un po' la dispensa di plum-cake, oltre che ad
ingozzarci. Partiamo con una mezz'ora di ritardo sul previsto, l'hotel
è sulla SR 198 "Sierra Drive" che percorriamo verso
sud. Sbagliamo ancora e imbocchiamo la SR65 verso nord, invece che
sud, meno male che la giunzione ha diverse uscite e possibilità
di rientrare, così perdendo non più di 10 minuti,
siamo sulla SR 65 sud e poi imbocchiamo la SR155 est. E' una bellissima
strada panoramica che percorre, come dice Lisa, "il nulla".
Circondati prima da una campagna semibrulla e poi da boschi, incontriamo
si e no 5 o 6 auto e 3 o 4 villaggi con i cartelli con il nome e
il numero degli abitanti, (196 con l'ultimo numero corretto a mano,
deve essere nato o deceduto qualcuno). La strada si inerpica fino
al passo Greenhorne Summit, molto oltre i 6.000 piedi, più
di 2.000 metri, per poi scendere di nuovo fino ad un bel lago, il
Lake Isabella, attrezzato di marine per tutti gli sport d'acqua,
incastonato fra colline alte e brulle e pieno di turisti. Imbocchiamo
la SR 178 costeggiando per un po' il lago, verrebbe voglia di fermarsi
tanto è bello il posto, ma siamo appena a metà strada.
Ci fermiamo invece a metà della SR 178. La strada attraversa
il deserto Californiano ed ai lati crescono dei cactus incredibili,
non i classici saguaro, ma una cosa che non avevamo mai vista neppure
in foto. Stop di 20 minuti e tantissime foto, in una luce accecante
e almeno 38 gradi all'ombra.
Si riparte, dalla 178 passiamo alla SR 14, sempre nel deserto e
poi alla junction imbocchiamo la US 395 nord, finalmente una Freeway
a doppia corsia, con lo spartitraffico larghissimo di sterrato ed
incredibilmente dritta fin oltre l'orizzonte. Guido io e finalmente
sento di essere proprio nell'ovest americano. Ci fermiamo a fare
rifornimento, abbiamo saputo che all'interno della Valle c'è
solo un distributore e la benziana è cara, e a mangiare nel
self-service della stazione di servizio: prendo un tacos alla messicana,
tortillas con carne di pollo e altro non meglio identificato. Non
mancano le ognipresenti patatine fritte, gli altri cose simili.
Non arriviamo a spendere 7 $ a testa. Lasciamo la Freeway per imboccare
la SR 190 est. E' subito uno spettacolo fantastico. Dopo tanto altopiano
e montagne, siamo sul livello del mare e forse poco al di sotto.
La Valle della Morte si presenta così, non ci siamo ancora,
ma già la pianura è riarsa e macchie di sale si vedono
in lontananza. Saliamo superando le montagne che circondano la Death
Valley, per ridiscendere su quelle strade dritte con una leggera
piega a sinistra o a destra in lontananza. La Valle della Morte
è un parco aperto, non ci sono i rangers nel loro casottino
a darci la mappa, ma noi siamo organizzati e l'abbiamo scaricata
da internet. Passiamo Stovepipe Wells, un trading post e qualche
casa di legno e, dopo aver percorso 450 km in 7 ore, ci fermiamo
al primo Vista Point delle Sand Dunes. Fermiano l'auto e decidiamo
di inoltrarci fra le dune. Sono le 4 del pomeriggio, temperatura
intorno ai 105° F, all'incirca i nostri 40°, umidità
meno del 15%, sudi e non te ne accorgi perché evapora subito,
ma rischi di disidratarti. Eccetto io e Mau, tutti gli altri rinunciano
alle prime dune un po' più in rilievo. Noi due andiamo avanti
e saliamo fino alla seconda duna più alta. Lo sforzo è
notevole, si affonda nella sabbia bianca e finissima sulla quale
non si tiene una mano tanto scotta. Non raggiungiamo la duna più
alta, sui 70 metri, perché è tardi (è occorsa
un'ora per arrivare fin lì) e perché abbiamo finito
l'acqua, ma il panorama che si vede da quei 50/60 metri è
incredibile: sembra di essere in un piccolo Sahara, fra l'altro
è veramente deserto, ci siamo solo noi e uno che ha raggiunto
la cima più alta ed è lì da una mezz'ora, seduto
e come perduto a guardare il vuoto. Torniamo all'auto e anche la
discesa si rivela faticosa; fa ancora più caldo e siamo senza
acqua. Non avventuratevi in questa escursione se non siete allenati
per bene, molto a posto fisicamente e senza acqua. Specie se in
piena estate, con temperature vicino ai 50°C. Ma se siete in
grado, è un'esperienza eccezionale. Riprendiamo l'auto, condizionatore
a palla, percorriamo ancora 30 km. e arriviamo a Furnace Creeck.
In tempo per sistemarci al Furnace Creeck Ranch. Alla reception
sono cortesi, non ci chiedono neppure la carta di credito, ci avvertono
soltanto che telefonare costa molto e che se ne abbiamo intenzione,
dobbiamo lasciare la strisciata della carta. Non ne abbiamo intenzione,
anche perché abbiamo sempre da utilizzare la carta telefonica
presa a San Francisco e che non riusciamo ad utilizzare. Così
riusciamo anche a fare un tuffo in piscina, anche se non è
pulitissima. Ceniamo al ristorante dell'hotel, anche perché
nel raggio di 50 miglia non c'è niente: una New York steek
(ormai è il piatto classico della cena) con annessi e connessi
e non spendiamo più che altrove, sui 22 $ sempre a testa.
Martedì 31 maggio. Il mattino ci prepariamo all'escursione
della Valle e abbiamo conferma di quanto già avevo trovato
in rete: l'anno scorso, il 15 di agosto, una violenta alluvione,
diciamo pure catastrofica, ha spazzato via tutte le strade per centinaia
di miglia, proprio scomparse, inghiottite. Ci sono le foto all'ingresso
del Ranch e sono da brivido. Pensate che il giorno dopo c'era gente
con le canoe e i gommoni a Badwater, non accadeva da più
di 100 anni. Così le prime strade che hanno ricostruito sono
quelle di grande comunicazione, ma la SR 190 la troviamo semi interrotta,
con un tratto a senso unico alternato e auto dei rangers che accompagna
e, soprattutto, il tratto per Zabriskye Point "closed",
così come Artist Drive e Artist Palette. Mentre facciamo
colazione, 9 $ per il buffet, caro, ma anche qui ci ingozziamo e
facciamo scorte, il cameriere ci dice che possiamo arrivare a Zabriskye
da un trail che passa per il Golden Canyon. Ci mettiamo in viaggio
e prima tappa a Badwater. Percorriamo la SR 178, nuova, con un ottimo
asfalto e arriviamo al punto più basso degli Stati Uniti,
282 piedi (85,5 metri) sotto il livello del mare. Sono le 9:30 di
mattina e saremo già attorno ai 40°C. Lo spettacolo è
abbacinante: una distesa di sale bianchissimo che abbaglia e un
forte vento caldissimo. Ci addentriamo per un centinaio di metri
oltre la passerella di legno, foto in abbondanza e poi ci muoviamo
verso il Golden Canyon, sempre sulla SR 178. Scarpiniamo per un
paio di miglia, in leggera salita, sudando come dannati per trovare
una sgradita sorpresa: anche il trail per Zabriskye Point è
chiuso. Gli unici che hanno la forza di andare avanti siamo io e
Gino. Ci arrampichiamo anche su delle collinette con terreno franoso
(non fatelo se non siete a posto fisicamente) e all'incirca vediamo
il paesaggio che avremmo visto da Zabriskye, anche se più
circoscritto.
Abbiamo avuto veramente sfortuna, dei 7 o 8 posti che dovevamo vedere,
4 sono chiusi e abbiamo perso tempo nel Golden Canyon, così
che non ci resta che decidere di percorrere tutta la SR 178, anziché
la SR 190 visto che c'è un attesà di 20/30 minuti
per il senso unico. La scelta si rivela indovinata. A parte una
quindicina di miglia, la strada è buona, in più attraversa
tutta la Valle da nord a sud e ci regala scorci panoramici bellissimi.
Davanti a noi non incontriamo neppure un'auto e ne incrociamo solo
tre o quattro. Comunque non passiamo mai il limite di velocità
se non di 3 o 4 miglia. Varchiamo il confine con il Nevada e la
SR 178 diventa SR 372, man mano il paesaggio muta, anche se rimane
desertico. Ci fermiamo in una cittadina alla junction con la SR
160, sono le tre del pomeriggio e visto un "Burghi", ci
fermiamo al volo. Non vediamo l'ora di arrivare a Las Vegas.
Las
Vegas.
Man
mano che ci avviciniamo alla metropoli, il traffico aumenta di intensità.
Comunque per chi, come noi entra dalla SR 160, è semplicissimo,
non si può sbagliare, la higway finisce sulla Strip, ovvero
la Las Vegas Boulevard, a sud; oppure si può prendere un
tratto della I - 15 nord e uscire il più vicino possibile
all'albergo prescelto. Noi optiamo per una via di mezzo e ci facciamo
anche un tratto della Strip fino al "TI" Treasure Island.
In questa tappa, da Fornace Creeck a Las Vegas, percorreremo circa
150 km in poco meno di 2 ore più il tempo della fermata per
il cheeseburger. Entrare in Las Vegas dalla SR 160 è semplicissimo:
la strada finisce nella Strip, ovvero la "Las Vegas Boulevard"
a sud, oppure c'è la rampa per accedere alla I - 15 nord
e si più uscire il più vicino possibile all'hotel
dove si alloggia. Noi optiamo per una via di mezzo e ci facciamo
solo una parte della Strip, quella dal Luxor fino al Treasure Island.
Per quanto riguarda i parcheggi a Las Vegas è bene aprire
una parentesi: all'ingresso di ogni hotel ci sono due corsie per
le auto (o tre se c'è anche quella per i taxi), una con indicato
"valet" e una "self parking". I parcheggi sono
comunque tutti gratuiti. Se non avete voglia di parcheggiare da
soli (sotterranei immensi, migliaia di auto, ecc.), vi presentate
ai valet, vi rilasciano un tagliando e pensano a tutto loro. Fermate
l'auto dove vedete del personale in attesa, vi rilasciano un tagliando
e vanno a parcheggiare. Quando rivolete l'auto, consegnate, o presentate
il tagliando al valet della reception e poco dopo vi portano l'auto,
dovete solo dare un dollaro di mancia al ragazzo che vi ha portato
la macchina. Oppure ve la parcheggiate da soli, seguendo le indicazioni
e ricordandovi il settore, magari il più vicino possibile
agli ascensori.
Solo che noi non lo sapevamo e, memori del salasso di San Francisco,
la prima sera ci siamo fatti a piedi tutta la Strip, dal Treasure
al New York - New York. Passando per il Cesars Palace ed altri alberghi.
L'obiettivo era di salire sulle "Manhattan Express", le
montagne russe che attraversano il New York - New York e che raggiungono
le 67 miglia/ora (105 km./ora). Paghiamo 12,50 $, un po' carucce,
ma essendo in 4 almeno ci spettano le foto gratis. Sono già
le 21:00 e ci fermiamo a mangiare in uno dei tanti ristoranti del
New York - New York. Ordiniamo la strategica "steak" e
ci portano una bistecca con le solite verdure, patate e, sorpresa,
chele e zampe di un granchione che doveva essere enorme. Siamo un
poco perplessi e la cameriera, gentilissima, saputo che siamo italiani
(ci hanno in simpatia in ogni dove), ci insegna come aprire chele
e zampe e come mangiarne la polpa che non è male, solo che
per i nostri gusti, l'accostamento con la bistecca è un po'
strano.
Torniamo in hotel sempre a piedi, passando per il Bellaggio e troviamo
la sgradita sorpresa che lo spettacolo delle fontane è sospeso
per problemi tecnici. Giriamo ancora un poco e poi, mentre Mau e
Lisa restano al Casino del Treasure, noi andiamo a nanna.
Mercoledì
1 giugno. La mattina ci alziamo tutti molto tardi e così
salta la visita al Fire Canyon nel Valley of Fire State Park. Scopriamo
casualmente la storia dei parcheggi gratuiti e così prendiamo
la Dodge, prima tappa all' Aladin. Utilizziamo il self parking,
saliamo con l'ascensore. Entriamo e
non lo descrivo perché
non voglio togliere la sorpresa a chi vi andasse la prima volta,
ma è un vero spettacolo. Comunque pranziamo in un ristorante
pizzeria italiano, con il metre di Padova. Finalmente non ho bisogno
di interpreti. E non spendiamo neanche tanto, sui 21 $ tasse e servizio
compresi. Il caffè però, anche se accettabile, non
c'è verso che sia buono, ed è Illy.
Con l'auto arriviamo fino al Luxor e torniamo man mano indietro,
fino al Paris e al Venetian, con rispettivamente una vera torre
Eiffel alta esattamente la metà dell'originale e campanile
di San Marco e ponte di Rialto con tanto di gondole. Torniamo al
nostro hotel alle 18:00 perché abbiamo prenotato per lo spettacolo
che rappresentano nel teatro dell'albergo, "Mistere" del
Cirque du Soleil. Mentre aspettiamo l'orario, proviamo ad utilizzare
la scheda telefonica acquistata a San Francico dal telefono della
camera. Prendo la linea esterna, compongo il numero verde, seguo
tutta la procedura e
riusciamo a telefonare! Scendiamo e ci
rechiamo al teatro, davanti al quale troviamo una lunga fila. Il
Cinque du Soleil è venuto in Italia solo una volta, a Milano
e chissà quando ritornerà. Sono 60 $, ma ne vale la
pena: atleti e acrobati eccezionali, con coreografie fantastiche
e musiche e voci che fanno venire i brividi. A Las Vegas ci sono
4 spettacoli fissi, con 4 titoli diversi e rappresentazioni giornaliere
che fanno sempre il pieno, nonostante i prezzi. Ci facciamo riconoscere,
perché nonostante gli avvisi di tutti i tipi del divieto,
Gino si fa beccare a riprendere con la telecamera: luce di una torcia
e cazziatone. Non so come, ma se ne accorgono subito.
Torniamo in giro, prima a vedere le fontane del Bellaggio, fra l'altro
poca cosa e poi alla torre dello Statosphere. Prima mangiamo da
un Mc Donald per fare presto e poi saliamo. Compriamo un pacchetto
che comprende la salita in cima alla torre e due "thrill",
"Big Shot" e "X-Scream". Già solo sul
terrazzo panoramico, a 350 metri di altezza, con tutta Las Vegas
piena di luci ai piedi, è uno spettacolo. Tira un vento fortissimo
che fa dondolare e i giochi sono pura adrenalina. Da provare, il
tutto per 15 $.
La serata è stata ottima, solo due nei, non avevamo capito
che lo spettacolo di luci in Freemont Street è solo dalle
21:00 alle 21:30. Così quando ci arriviamo, molto oltre la
mezzanotte, sembra di essere in un posto da rapine, non ci fermiamo
e torniamo indietro. Altro piccolo inconveniente, a causa del vento
non hanno fatto la battaglia dei pirati al Treasure Island. Cominciano
ad essere troppe le cose che troviamo "closed", o che
ci perdiamo. Andiamo a letto che sono le due del mattino e domani,
anzi oggi, c'è un tappone fino al Bryce Canyon.
Bryce Canyon National Park.
Giovedì 2 giugno. Facciamo il ceck-out e troviamo da pagare
3 $ per le due telefonate di ieri, forse è per la linea,
comunque almeno abbiamo usato la scheda. Abbiamo davanti 410 km.
da percorrere. Lo faremo in 6 ore, compreso il transito per Zion
National Park. Partiamo come al solito con un poco di ritardo sulla
tabella di marcia, ma imboccare la I - 15 nord è semplicissimo
e la intestate è scorrevolissima. Superiamo il bivio a destra
che ieri ci doveva portare alla Valley of Fire e proseguiamo verso
la giunzione con la SR 9 est Scenic Byway. La strada sale fino all'ingresso
del Zion National Park; qui il ranger controlla la tessera del Park
Pass, che si rivela utilissima e pratica e ci consegna la mappa
con il solito giornalino didattico. Entriamo nel parco, dovremmo
prendere sulla sinistra la Zion Canyon Scenic Drive, ma forse perché
è tardi, o perché mal segnalata, continuiamo dritti
(per modo di dire, la strada è tutta curve), e mi accorgo
di aver sbagliato solo quando ci appare davanti il tunnel sulla
SR 9 per la Mount Carmel junction. In quel punto non è possibile
invertire la marcia, dobbiamo passare il tunnel, abbastanza lungo,
forse un miglio, ed anche dall'altra parte niente piazzole per girare.
Quando ne troviamo una, abbiamo percorso troppa strada, così
decidiamo di non tornare indietro. Anche perché pure da questa
parte, east Zion, il panorama è stupendo, con rocce particolari
e un paesaggio sub - alpino, tanto che ci sono diversi Vista Point
e tanti turisti a fare foto. Prendiamo la US 89 nord verso Mount
Carmel e Orderville, anche questa una strada molto bella e poi voltiamo
a sinistra sulla SR 12 est Scenic Byway. Immediatamente, sulla sinistra,
ci appaiono i pinnacoli incredibilmente rossi del Red Canyon. Ci
fermiamo in una piazzola dove inizia un breve trail e decidiamo
di salire. Percorriamo un mezzo miglio di sentiero molto ripido
e ci ritroviamo fra i pinnacoli. La discesa risulta un po' difficoltosa
per il terreno friabile e Tami e Maria cadono, senza conseguenze,
fortunatamente. Riprendiamo la marcia e fatte poche miglia, ecco
i famosi "buchi" nella roccia rossa attraversati dalla
strada, uno dei luoghi più fotografati degli Stati Uniti,
probabilmente. Stop e foto di rito, poi niente più fermate
fino a Ruby's Inn, porta di ingresso al Bryce Canyon, dove alloggeremo
al "Best Western Ruby's Inn". Arrivati alla reception,
ci accorgiamo di aver perso un'ora, in quanto nello Utah non vige
l'ore legale. Così sono già le 15:30, meno male che
non siamo tornati indietro a Zion. Sbrigate le formalità
per le camere, con del personale che sembra uscito da un film western,
ragazze tutte eguali, bionde, occhi chiari e pelle chiarissima,
eguali persino nel trucco e nelle pettinature e personale maschile
con cravattino di nastro fermato da un cammeo di metallo, prendiamo
un panino in un locale di fianco all'albergo ed entriamo in Bryce;
solito ranger, gentilissima, ci consegna tutto il materiale dopo
aver verificato tessera e passaporto. Il pomeriggio è decisamente
bello, assolato, anche se in cielo corrono veloci delle nuvole bianchissime.
Decidiamo di percorrere tutta la strada del parco fino a Raimbow
Point per poi tornare indietro e fermarci a tutti i Point, per terminare
con quelli dell'Anfiteatro. Scelta che ci creerà dei problemi,
perché se teoricamente ineccepibile, che ci dovrebbe vedere
al tramonto nei punti più belli e gli hoodoos (i pinnacoli)
incendiati dal sole, nella realtà non abbiamo fatto i conti
che ci troviamo tra 2.700 e 3.200 metri. Comunque iniziamo a fermarci
e da Raimbow Point, a ritroso, vediamo Ponderosa, Agua, Natural
Bridge. Qui l'intensificarsi delle nuvole, per ora sempre bianche,
ci spinge ad accelerare e andiamo direttamente ai punti dell'Amphitheater.
Al Sunset Point troviamo un'altra brutta sorpresa. Anche qui un
"closed", il Navajo loop Trail è crollato nella
parte iniziale e non si può percorrere. Così il Thors
Hammer, forse il più famoso degli hoodoo, intorno al quale
il sentiero gira, dobbiamo accontentarci di fotografarlo dall'alto.
Le nubi, sempre bianchissime, per ora, rendono il cielo fantastico,
con un contrasto bellissimo con le rocce quando squarci di sole
le arrossano, solo che il sole appare sempre meno e le nuvole sono
sempre più grandi. Decidiamo comunque di scendere almeno
una parte di un altro trail, il Queens Garden, da Sunrise Point.
Il vento si fa sempre più forte e freddo. Lisa e Tami decidono
di tornare alla macchina e fanno bene. In un attimo inizia a tuonare,
fulmini in lontananza e poi sempre più vicini. Io, Mau, Gino
e Maria iniziamo a risalire velocemente, ma ci prendiamo un'acquazzone
con grandine. Non dura molto, ma sufficiente per infradiciarci.
Il bello è che per settimane ho raccomandato a tutti di tenere
a portata di mano un k-way, o simile, naturalmente quello che non
lo ha, sono io. Ci infiliamo in auto e torniamo, inutile dirlo,
molto seccati, in albergo. Doccia calda e ceniamo in albergo a buffet
con 20 $ di spesa comprese tasse e tip. Ruby's Inn è solo
i lodge, un trading center, un paio di locali e una stazione di
servizio. Fa un freddo cane, attorno allo zero, vento gelido e così
decidiamo di andare a nanna, figurarsi che accendiamo pure il riscaldamento.
La mia idea è di svegliarmi presto e, anche da solo, andare
a vedere sorgere il sole sull'anfiteatro.
Venerdi 3 giugno. Prima delle 6 mi sveglio e apro appena la tenda
che copre la finestra per vedere se il sole è già
sorto. Sulle prime non riesco a capire; poi realizzo: nevica. Il
prato davanti alla nostra camera è tutto bianco, le auto
sono coperte da 2 o 3 centimetri di neve e i fiocchi vengono giù
fitti e spinti dal vento. Sveglio Tami e verso le 6:40 chiamiamo
gli altri; dobbiamo fare 380 km fino a Moab e nevica!
In 10 minuti sono tutti in piedi e decidiamo di andare a fare due
foto a Sunrise Point. La previdenza che avevo predicato si rivela
utile e le felpe di pile e i k-way sostituiscono degnamente le giacche
a vento che sarebbero state molto più ingombranti nei bagagli.
Il bosco attorno all'anfiteatro è magnifico, ma l'anfiteatro
stesso è a ridosso del vento e la neve non vi cade, se non
in rade chiazze. Torniamo in albergo per fare colazione e scopro
gli "one hot cake", praticamente la frittella di Paperino,
ma enorme, da coprire con sciroppo di mele o di acero, buonissima.
Anche gli altri mangiano "pesante" e spendiamo 7 $ a testa.
Moab.
Partiamo che ha smesso di nevicare, la strada è sgombra.
Solo il cielo è plumbeo e continua il vento. Dobbiamo tenere
il riscaldamento acceso. Risaliamo la SR 63 e poi deviamo a destra
sulla SR 12 est, si dice la più bella Scenic Bayway dell'ovest
U.S.A.
Peccato che noi possiamo vedere ben poco; a tratti piove e non ci
arrischiamo a perdere tempo, anche perché dobbiamo tenere
una velocità consone alle condizioni della strada. Comunque
si capisce che è bellissima, nei tratti dove non piove possiamo
ammirare viste mozzafiato, dal roccioso e arido, a foreste di abeti
e aceri. Passiamo Escalante e nemmeno a pensarci di fare una capatina
al "Escalante Petrified Forest State Park". Arriviamo
a Boulder e ricomincia a nevicare mentre la strada si arrampica
in una foresta di abeti. La strada sale, dobbiamo superare un valico
a oltre 9.000 piedi (3.000 metri) e la nevicata non è proprio
una tormenta, ma poco ci manca, meno male che la strada rimane sgombra.
Comunque prima del Capitol Reef National Park il tempo migliora,
ma ci siamo fatti quasi 100 miglia con la neve; unica consolazione
è che, passata la preoccupazione, ci ha dato delle emozioni
che non credevamo proprio di provare, in un paesaggio da favola.
Lasciamo la SR 12 e ci immettiamo nella SR 24 est. All'ingresso
di Capitol Reef passiamo dal solito ranger che ci consegna il solito
materiale e ci fermiamo a nella zona archeologica dove si possono
vedere dei petroglifi. Non approfondiamo oltre la visita e facciamo
bene perché di lì a poco inizia a piovere, così
ci facciamo tutta la I - 70 est e poi la US 91 sud con una pioggia
che non ci abbandonerà più fino a Moab, dove arriviamo
il pomeriggio verso le tre. Ci sistemiamo al "Moab Valley Inn",
dove staremo 3 notti, con pochissime formalità, non ci chiedono
neppure la carta di credito. Piove sempre e ci rechiamo in una specie
di pub lì di fronte per fare un pranzo-merenda, vista l'ora.
Mangiato, la prima cosa che facciamo è andare in centro (?)
a cercare un'agenzia per prenotare il rafting. Alla fine scegliamo
il Moab Adventure Center, che avevo già conosciuto sulla
rete. Lo faremo solo io, Mau, Lisa e Gino e decidiamo per quello
corto, da Fisher Tower, full day, per la domenica. Paghiamo subito,
53 $ più tasse ed è un errore, perché tornati
in albergo troveremo che esistono coupon su varie pubblicazioni
publicitarie ed altre forme, compresa quella di prenotare dall'hotel,
per avere il 20% di sconto. Trascorriamo il tempo che ci separa
dalla cena girovagando tra i negozi di souvenir e, visto che piove
sempre (ma ci hanno assicurato che è una cosa eccezionale
per Moab in quella stagione e che l'indomani ci sarà il sole),
torniamo nel pub di fronte all'albergo; hanno solo insalatone, di
pollo o di salmone. Non sono male e sono abbondanti e spendiamo
veramente poco, 7 $ a testa. Decisamente per il cibo siamo abbondantemente
sotto al budget che avevamo stabilito: 10 $ per la colazione, 15
per il pranzo e 25 per la cena. Restiamo un po' a parlare e poi
a nanna con il riscaldamento acceso.
Canyonlands e Arches Natinal Park.
Sabato 4 giugno. La mattina ci alziamo e c'è davvero il sole.
Facciamo colazione in albergo, visto che è compresa. Frittellone
che mi cuocio da solo in un specie di piastra per creps e che poi
cospargo di succo di mela e marmellata. Riusciamo anche a farci
il caffè e latte. Partiamo come al solito in ritardo; dovendo
visitare la mattina Canyonlands National Park e Dead Horse Point
State Park e al pomeriggio Arches National Park, saremmo dovuti
partire alle 7, non alle 8 e mezza come facciamo noi. Tra l'altro
appena fuori Moab, sulla US 91 verso nord, per tornare ai parchi
che distano una quarantina di km. dal centro abitato, improvvisamente
troviamo il traffico in coda e una macchina della polizia ferma
in mezzo alla higway. Pensiamo ad un incidente, ma incredibile,
capiamo il perché di quello stop quando a fianco delle auto
cominciano a scorrere centinaia di manzi, mucche e vitellini al
seguito, scortate da veri cow-boy a cavallo. Nonostante sia tardi,
ci sentiamo immersi in un film. Non credevamo che ancor oggi ci
fossero mandrie che vengono allevate come nell'800 e che per giunta
attraversano una superstada per migrare.
Canyonlands si divide in tre sottoparchi: a nord Island in the Sky,
che è la parte delimitata dal Colorado River e dal Green
River, praticamente un triangolo con il vertice in basso costituito
dalla confluenza dei due fiumi. A sud est The Needles e a sud ovest
The Maze, una parte ancora semi inesplorata del parco. Noi visiteremo
solo Island in the Skay, che è la più accessibile
e più vicina a Moab.
Arriviamo di fronte al solito ranger (quasi tutte ragazze) e prendiamo
mappa e opuscoli. Non mi stancherò mai di dire quanto è
utile il Park Pass e quanto fa risparmiare.
La giornata è veramente bella e in cielo corrono solo delle
nuvolette bianchissime che renderanno le foto ancora più
belle. Facciamo la prima tappa al Mesa Arch; è un arco naturale
che si raggiunge con un breve e facile trail e che fa da finestra
sulla vallata sottostante, con un precipizio di varie centinaia
di metri. E' controluce, ma è egualmente stupendo, immerso
nella natura (lungo il sentiero abbiamo potuto ammirare un coniglio
selvatico che ha continuato a rosicchiare qualcosa nonostante ci
siamo avvicinati a pochi metri) e nel silenzio. Riprendiamo l'auto
e raggiungiamo Upheaval Dome; un cratere che si raggiunge camminando
una mezz'ora e che non si sa se formato da un vulcano o dall'impatto
di un meteorite. Di nuovo in auto fino al Green River Overlook dove
sotto di noi, con un balzo a precipizio di 4-500 metri, il Green
River ha scavato canyons e formato goosenecks (anse, letteralmente
colli di papero). Le viste sono mozzafiato e ci appare davanti il
far-west come ce lo siamo sempre imaginato, veramente c'è
da aspettarsi che da un momento all'altro appaiano i segnali di
fumo e gli indiani pellerossa, o se preferite, Willy Coyote che
rincorre Bip-Bip. Poi fino al Grand View Point e vale quanto detto
sopra. Usciamo da Island in the Sky ed entriamo nel Dead Horse Point
State Park. In realtà è tutto contiguo, attaccato,
ma qui non essendo un parco statale la Park Pass non vale e si paga,
anche se poco: 7 $ ad auto. Il parco è veramente piccolo,
si ruduce praticamente alla forse più famosa ansa del Colorado
River, quella fatta a ferro di cavallo. Ed è qui che è
stata girata la scena finale del film Thelma e Louise. Comunque
sono già le 13:30 e dobbiamo anche tornare a Moab per un
piccolo problema. Tra l'altro, incredibile, ma vero, mi sono anche
dimenticato di fare benzina, di distributori nel parco neanche a
parlarne e dobbiamo per forza tornare a Moab. Facciamo il pieno
a 2,28 $ e mangiamo in un Burghi, tutto molto velocemente, ma, percorsa
di nuovo la US 91 nord, entriamo in Arches che sono le 15:30.
Naturalmente a questo punto non è possibile vedere tutto.
Appena superata la stazione del ranger, ci fermiamo a fare due foto
al Park Avenue e al Courthouse Tower, per poi recarci alla Balanced
Rock; il nome è rispettato in pieno, non si sa come la sommità
del monolite riesca a restare in equilibrio. Poi arriviamo al Double
Arch ed anche se è in controluce, le foto risulteranno bellissime.
Arriviamo attorno alle 17:40 al Wolfe Ranch da dove parte il trail
per Delicate Arch e sono l'unico che se la sente di affrontare il
sentiero. Così mentre io inizio a salire, gli altri proseguono
in auto verso il Delicate Arch Viewpoint. Il trail si dimostra veramente
impegnativo, lungo un paio di miglia e con un dislivello notevole.
Ma la fatica è ricompensata: dopo un tratto di sentiero scavato
nella parete di roccia, improvvisamente, sulla destra, si apre una
specie di teatro naturale con, come palcoscenico, l'arco di arenaria
simbolo dello Utah, tanto da essere rappresentato sulle targhe delle
auto. E' molto grande, più di come lo immaginavo e, grazie
alla limpidezza dell'aria, sullo sfondo appare una catena di montagne
innevate. Forse è l'atmosfera, con tutte quelle persone già
in attesa del calare del sole per cogliere tutte le mutevolezze
di colori della roccia, o forse perché è veramente
un luogo eccezionalmente bello, mi lascio prendere dall'emozione.
Peccato che non posso aspettare il tramonto. Mi fermo un po' di
più di quanto concordato con gli altri e, per recuperare,
faccio il ritorno quasi tutto a corsetta, visto che è tutto
in discesa. Raggiunti gli altri, proseguiamo per Landscope Arch.
Il trail è in pianura e così lo facciamo tutti. Peccato
che l'arco è in completa controluce. Nel tornare indietro
ci accontentiamo di fare qualche foto agli altri archi che si possono
vedere dalla strada.
Due note su Arches National Park: il parco non è molto grande,
ma è un poco più complesso di Island in the Sky da
visitare. Si cammina molto di più, per arrivare vicino agli
archi c'è sempre un trail più o meno lungo e impegnativo.
Per Delicate Arch, poi, ci vogliono un paio d'ore, fra andata, ritorno
e foto. Inoltre alcuni archi sono in luce la mattina, come il Landscope
e altri la sera come il Delicate. Meglio sarebbe avere tutto il
giorno, ma se non è possibile, bisogna scegliere. Magari
portandosi il mangiare al sacco si guadagna tempo. E comunque un
consiglio: vedere tutto quello che è possibile, ma un'ora
e mezzo prima del tramonto avviarsi per il Delicate Arch con il
quale chiudere la visita. Ah!, ricordarsi di fare il pieno, nei
due parchi non ci sono stazioni di servizio e neppure dove acquistare
cibo.
Rientriamo in Moab che è ormai buio. All'andata avevo visto
ai bordi della higway delle steak house, ci fermiamo in una senza
rientrare in albergo. "Buck Steakhose" è un bel
locale, tutto in stile western, tavoli di legno massello e luci
diffuse. Lazos alle pareti, accanto a teste di tori imbalsamate.
Le New York steak ottime ed anche i contorni. Spendiamo 29 $ a testa
tutto compreso, ma ce lo meritavamo. Fra l'altro è il mio
compleanno. Andiamo a letto distrutti e l'indomani c'è il
rafting.
Rafting.
Domenica 5 giugno. Ci troviamo in orario davanti all'agenzia e ci
viene presentata la guida (ne parleremo più avanti). Assieme
a noi ci sono una ventina di altri turisti. Saliamo tutti su di
un vecchio pulman tipo quelli scuola-bus americani anni '60, con
al traino il carrello dei gommoni. Spifferi da tutti le parti, i
vetri non si chiudono e strada tutta curve che segue il Colorado
River verso nord, affrontata, diciamo, con "allegria".
Arriviamo a Fischer Tower, ci fanno scendere e mettono in acqua
i gommoni. Breve chiacchierata delle guide che, ci traducono Mau
e Lisa, spiegano i comportamenti da tenere. Ogni gommone tiene 6
persone più la guida che timona. Con noi salgono due americane,
madre e figlia. Prima di partire ci facciamo le foto di gruppo con
la guida che è tipica, ma anche le altre non scherzano. Tutti
biondi, abbronzati, occhiali a specchi di tipo sportivo, cappellino
e fisico tiratissimo. Tipo surfisti, per intenderci. Ed infatti
scopriamo che la nostra per sei mesi sta a Moab (l'estate) e per
altri sei fa l'istruttore di serf alle Haway. Le rapide non sono
eccezionali, livello II, ma un paio hanno onde di un 2 di metri
e nell'attacco di una, vengo completamente sommerso, forse sarà
stata anche due metri e mezzo. Tra una rapida e l'altra il fiume
è tranquillo e ci consente di ammirare il panorama da un
altro punto di vista. Siamo dentro ad un largo canyon e si vedono
le Sal Mountain innevate. Prima dell'ultima rapida ci fermiamo tutti
su di una spiaggetta e le guide preparano tavola e cibi. Il sole
picchia come un martello, mi rendo conto che creme protettive, cappellino
e occhiali da sole erano indispensabili, invece non ho portato niente,
fortunatamente sono già un po' abbronzato.
Terminata la discesa del fiume, ci riportano a Moab e lasciamo volentieri
una mancia alla guida che è stato veramente affabile e simpatico,
ha imparato anche a dire "voga" e "pigia". Nel
negozio del center Mau e Lisa acquistano delle magliette originali,
constatato che i prezzi non sono per niente alti.
Nota: noi abbiamo fatto la discesa del Colorado River da Fisher
Tower, chi volesse provare emozioni più intense e non ha
nessun tipo di problema fisico, può farlo da West Water che
è più a nord. Costa un po' di più, sui 135
$, ma le rapide sono di livello III e se c'è abbondanza d'acqua,
ce ne sono anche di livello IV.
Rientriamo in albergo alle 15:30 e così c'è il tempo
di mettere la roba ad asciugare, meno male che avevamo portato un
cambio completo e asciugamani negli zaini che possono essere lasciati
tranquillamente sul pulman, nessuno tocca niente.
Mentre noi eravamo sul fiume, Tami e Maria hanno scoperto un supermercato
e hanno comprato un sacco di cose, anzi ci trascinano anche noi
e facciamo acquisti di cibarie per l'indomani, dobbiamo dire che
i prezzi sono inferiori che in Italia, forse merito del cambio favorevole.
Avanza anche il tempo per fare una capatina sulla SR 279, una Scenic
Bayway che costeggia il Colorado River verso ovest, prima di Canyonlands
e sulla quale si svolgono lezioni di arrampicata su pareti di roccia
perfettamente verticali, con dei ragazzi che si arrampicavano come
ragni (è da queste parti che è stata girata la sequenza
iniziale di Mission Impossible con Tom Cruise). Sempre sulla strada
ci sono anche dei petroglifi e le tracce di un dinosauro, nonché
un panorama tipicamente western.
Andiamo a cena in un localino tipico di Moab e prendiamo una pizza;
in albergo ci aspetta la torta del mio compleanno, anche se in ritardo,
si festeggia.
Mexican Hat, Monument Valley.
Lunedì 6 giugno. Oggi non abbiamo da percorrere molti chilometri;
da Moab a Mexican Hat ce ne sono 180 e altri 30 per raggiungere
la Monument Valley. Partiamo anche in orario, così potremo
seguire il programma che prevede di fare una deviazione nella Valley
of the God percorrendola sulla Valley of the God Road, uno sterrato
di circa 16 miglia che si può percorrere con un po' di attenzione
anche con un'auto normale e si potrà salire a Mule Point
percorrendo la Mokee Dugway e, magari visitare anche il Goosenecks
State Park sulla SR 316, nei pressi di Mexican Hat. Percorriamo
tranquillamente la US 91 verso sud, ammirando il panorama che sempre
più ci fa sentire nel Far-West, tra zone desertiche, formazioni
rocciose , foreste immense (ci sono cartelli che indicano l'attraversamento
di cervi per decine di chilometri), e praterie. La strada è
dritta e si attraversano solo un paio di cittadine, sembra proprio
una giornata perfetta. Sembra
Imboccata la US 163 sud e arrivati
ad una trentina di km. da Mexican Hat, dove sulla sinistra si vede
la roccia in bilico che da il nome al posto (sembra proprio il cappello
di un messicano (mexican hat) e fa venire in mente le roccie su
cui sale Willy Coyote), Mau si accorge di aver dimenticato la telecamera.
Ricerche febbrili, rovistamenti negli zaini, poi ci decidiamo a
telefonare all'albergo a Moab. Troviamo un telefono pubblico in
una stazione di servizio gestita da veri Navajo, siamo in piena
riserva indiana, territorio auto amministrato da loro, e da Moab
ci confermano che la telecamera è lì. Non ci perdiamo
d'animo, decidiamo di seguire il programma fin dove possiamo e poi
io e Mau, lasciando gli altri in albergo, torneremo a Moab, in 4
ore dovremmo farcela ad andare e tornare e quindi essere a letto
prima dell'una.
Intanto però, nella concitazione, non ci accorgiamo del bivio
per la Valley of the God, così non ci rimane che prendere
lo sterrato dalla parte della SR 261; lo sterrato è buono,
ma non mi arrischio a superare le 20 - 25 miglia/ora, così
arriviamo nella parte più interna, dove la strada forma un
vertice, e torniamo indietro. Forse è tutto il contesto,
il ritardo accumulato, ecc, ma la valle non è che sia un
gran che. Riprendiamo la SR 261 e voltato a destra cominciamo a
salire. Ad un certo punto la salita si fa ripida e, per giunta,
la strada la tengono sterrata, proprio così, "umpaved"!
E' la Mokee Dugway che si arrampica per 3 miglia fino a 6.425 piedi
(2.200 metri), lasciando sulla destra una vista mozzafiato e dando
anche qualche preoccupazione perché non ci sono ne guard
rail né altre protezioni. Arriviamo in vetta, dove ricomincia
l'asfalto e giriamo subito a sinistra, non ci sono indicazioni,
ma c'è solo quel largo sterrato che può condurre a
Mule Point.
Anche qui non si può che tenere al massimo 20 miglia/ora
e la dozzina di km. che percorriamo sembrano non finire mai. Siamo
su di un altopiano che è una pianura immensa, punteggiato
di macchie e di piccoli cactus fioriti, spazzato da un vento fortissimo.
Poi, improvvisamente, davanti a noi, lo scenario si apre: lasciamo
l'auto e percorriamo a piedi un centinaio di metri per arrivare
sul bordo di un dirupo che sarà fra gli 800 e i 1.000 metri.
Davanti a noi , giù in basso, le anse del San Juan River
che si perdono a vista d'occhio e, in lontananza, ben visibili con
il binocolo, le formazioni della Monument Valley. Tira un vento
teso che ci sposta e con prudenza ci affacciamo sull'abisso. Ci
siamo solo noi e a parte le nostre voci e il vento, non c'è
un rumore. Ma non c'è tempo per la meditazione, risaliamo
in macchina e torniamo indietro. Tami e Maria mi fanno fare una
cosa che non si dovrebbe assolutamente, mi fanno fermare e sradicare
un piccolo cactus che vogliono portare a casa (è stato diviso,
trapiantato, ha attecchito e prospera). La Mokee Dugway in discesa
fa ancora più paura, ma è fantastica, si può
lanciare l'occhio fin dove arriva sulla Valley of the God. Riprendiamo
la SR 261 e poi la US 163 fino all' hotel San Juan Inn e Trading
Post di Mexican Hat.
Il Trading Post è caratteristico, addossato ad una parete
di roccia rossa da un lato e a pochi metri dal San Juan River dall'altro.
Le camere sono spartane, ma pulite e non manca il sempre presente
distributore del ghiaccio, cosa che ci fa piacere perché
fa veramente caldo. Il personale che gestisce il tutto sono veri
Navajos, il che mi fa sentire tanto Tex Willer
Posiamo i bagagli in camera e partiamo subito per la Monument Valley;
abbiamo deciso che mangeremo lì al sacco, aspettando il tramonto.
Percorriamo la US 163 verso sud ed ecco che la strada ci appare
dritta, in leggera discesa, con la piega sull'orizzonte che va a
finire fra le formazioni rocciose della Monument. Ci fermiamo e
scattiamo anche noi le foto, questo è veramente uno dei panorami
più fotografati del mondo, appare in ogni libro, pubblicazione,
o che sia, che parla della Monument Valley. Essere lì, noi,
in mezzo alla carreggiata, a fotografare è una tale emozione
non ci avrei mai creduto.
Risaliamo in auto e superiamo alla nostra sinistra i butte (si chiamano
così i monoliti della Valle), percorriamo circa un miglio
e sulla sinistra imbocchiamo il bivio che porta all'ingresso. Sono
le 4 del pomeriggio.
Il parco non è statale, ma gestito autonomamente dai navajos
e si paga 7 $ a testa. Appena dopo il gabbiotto de ranger, che ci
da una mappa un po' sui generis, ci sono diverse baracche dove si
possono prenotare dei tours con dei fuoristrada scoperti o dei giri
a cavallo con guide indiane. Comunque la Monument Valley, intesa
come parco, si può percorrere tranquillamente con un auto
normale ed è quello che facciamo. Il parco non si può
descrivere, almeno non nelle emozioni che produce, va visto e visitato.
La strada, sterrata, ma buona, dopo un mezzo miglio, diventa un
anello a senso unico che consente di vedere quasi tutto. Tira un
vento fortissimo che solleva nuvolosi di polvere rossa e finissima.
Nel cielo corrono delle nuvolette bianchissime che renderanno ancora
più belle le foto. Prima di imboccare il loop, ci fermiamo
ad una bancarella con due pellirossa, un uomo e una donna. Hanno
oggetti d'argento carini e d anche di non costosi, facciamo acquisti
e la indoviniamo perché a parità di prodotti, sono
più convenienti che negli altri punti.
Fra l'altro ai bordi della piazzola c'è un tronco secco d'albero
che sembra messo lì a bella posta per fotografare i monoliti,
i butte West, East e Merrick (quei tre monoliti di cui due con una
guglia che sembra un dito)
Fatti gli acquisti, ci fermiamo a tutti i punti più famosi,
e le Three Sister, poi deviamo a destra per il John Ford Point,
da dove si gode una vista eccezionale e veramente ci si aspetta
di vedere l'inseguimento della diligenza di Ombre Rosse. Poi, di
nuovo sul loop principale, The Hub e Totem Pool che possiamo ammirare
solo da lontano, per andarci vicino e poter vedere anche Yei Bichei
e le Sand Spring occorre andarci a piedi o a cavallo con la guida.
Poi The Thumb e North Window e Artist Point. Chiuso il giro, torniamo
sul primo tratto dello sterrato e ci fermiamo in una piazzola da
cui si dominano i tre butte più famosi. Il vento continua
a spirare impetuoso, ma noi troviamo un ridosso che ci consente
di mangiare senza troppa polvere. Aspettiamo il tramonto e man mano
che le il paesaggio diventa sempre più rosso, l'emozione
sale e le foto si sprecano (se usate foto normali, portate i rullini
dall'Italia o comprateli nei supermercati americani. Nei luoghi
turistici sono cari. Se avete la digitale, cercate di avere una
memoria molto capiente , o un hard disk potatile dove scaricare).
Sono trascorse le 20 (anche nella riserva Navajo non vige l'ora
legale), quando ci decidiamo ad uscire dal parco. Incredibile, ma
troviamo la sbarra abbassata e alcune auto in fila. Scendiamo e
un cartello ci avvisa che il parco chiude alle 18:00 e che per uscire
dobbiamo tornare indietro e imboccare un sentiero laterale sulla
destra, risalendo, che ci riporta sulla strada asfaltata. Che strani
gli americani, se non scendevamo noi e vedevamo il cartello, erano
sempre lì che aspettavano di uscire, infatti ci vengono tutti
dietro.
Dobbiamo tornare velocemente all'albergo perchè a me e a
Mau ci aspettano 360 km. fra andare e tornare da Moab.
All'andata guido io, conosciamo già la strada, facciamo il
pieno alla stazione di servizio dove avevamo telefonato la mattina,
nei pressi di Bluff e va tutto bene, compreso il ritrovamento della
telecamera.
Al ritorno guida Mau e, in prossimità della cittadina di
Blanding, appaioniono, come al solito vicino ai centri abitati,
i cartelli con i limiti di velocità: prima 45 miglia/ora,
poi 35, poi 30. Non faccio in tempo a dirgli di rispettare i limiti
e lui a rispondermi che a quell'ora (è mezzanotte) "Chi
vuoi che ci sia", che con la coda dell'occhio vedo un'auto
della polizia parcheggiata seminascosta davanti ad un camion. Glielo
dico e lui mi risponde che hanno acceso fari e lampeggianti e che
ci vengono dietro. Ci fermiamo immediatamente e cominciamo a sudare
freddo. Siamo in piena notte, nell'ovest degli U.S.A., con la consapevolezza
di aver commesso un'infrazione e la polizia che si comporta come
nei film. Infatti fermano la loro auto ad una decina di metri, uno
resta vicino alla macchina e uno, molto lentamente si avvicina a
noi.
Restiamo immobili, con le cinture di sicurezza allacciate e le mani
in vista. Il poliziotto, uniforme grigioverde, cappellone e tanto
di stella sul petto, prima ci pianta la luce della torcia in viso,
poi sempre con la torcia ispeziona l'interno dell'auto, poi chiede
la patente. Mau la consegna e il vicesceriffo inizia a parlare.
Mau lo interrompe e gli spiega (meno male che un po' di inglese
lo mastica) che siamo italiani e che non capisce molto bene e se
può parlare più lentamente. Il poliziotto è
gentilissimo, inizia a spiegare indicando i numeri sul contachilometri,
che lì c'è 30 e noi andavamo a 50 (è come se
da noi ci fosse 50 km./h e si fosse andati a 80), che per una cosa
del genere poteva passare una notte in prigione, che se decideva
di farci una multa dovevamo pagarla prima di partire, altrimenti
ci avrebbero arrestati all'aereoporto. Naturalmente tutto questo
me lo tradurrà Mau dopo, perché io non capisco una
parola e penso solo che se va bene ci faranno perdere l'intera notte
e ci appiopperanno 200 o 300 $ di multa, se va bene. Poi chiede
perché correva così e Mau cerca di spiegare tutta
la faccenda della telecamera e deve farlo bene, perché il
vice ci fa ancora 5 minuti di pappardella e poi ci dice che per
quella volta possiamo andare.
Siamo sudati fradici per la tensione, ma visto che è andata
bene, siamo anche esaltati da questa esperienza, ora non ci manca
proprio nulla.
Rispettate sempre i limiti di velocitàanche quando sembrano
assurdi, , magari 2 o 3 miglia in più sono tollerate; a prima
vista sembra che non ci sia nessuno, ma vedono tutto e hanno veramente
un sistema radar per il controllo della velocità e non sempre
è detto di trovare un poliziotto comprensivo come il nostro.
Rientriamo in albergo oltre luna e per dormire un po' non racconto
niente. Anche perché ci aspetta una lunga tappa. Da Mexican
Hat a Mesa Verde e da lì al Grand Canyon.
Mesa Verde.
Martedì 7 giugno. Oggi dobbiamo percorrere 200 km. per arrivare
a Mesa Verde e altri 480 per arrivare sul Grand Canyon. Partiamo
abbastanza in orario; percorriamo la US 163 verso nord, passiamo
Bluff e poi ci immettiamo sulla SR 262 est. Ci sono dei cartelli
non troppo precisi, ma le cittadine che incontriamo ci confermano
che la strada è quella. Passiamo Montezuma Creek e Aneth,
quindi passiamo il confine con il Colorado e la strada, che è
stretta e non tenuta bene, diventa la SR 41. Restiamo in mezzo ad
una campagna brulla fino alla giunzione con la US 160 est. Qui ci
sono anche macchie di prateria e cavalli al pascolo. Arriviamo a
Cortez e ci fermiamo in un bar sulla statale per fare colazione.
Entriamo e gli avventori presenti ci guardano con curiosità.
Non devono essere abituati a vedere turisti non americani. La cameriera
è sveglia e in un batter d'occhi ci serve caffè, latte
e quanto ordinato: omelette di tre uova a Lisa e Mau, dolce al cioccolato
e panna a Gino, Maria e Tami e la consolidata frittellona "one
hot cake" per me. Refill di caffè a volontà.
Spendiamo niente, 4,50 $ a testa. Lasciamo volentieri la mancia
alla ragazza che ne è felicissima.
Riprendiamo sulla US 160 e poi voltiamo a destra sulla SR 10. E'
praticamente la strada del parco, infatti troviamo quasi subito
i cartelli e poco più avanti la capanna del ranger. La strada
inizia subito a salire e si arrampica sempre più in alto.
Ci sono anche dei lavori, ci deve essere stata una frana e un operaio,
con un grosso cartello di stop in mano, ci fa rallentare. Finalmente
arriviamo sull'altopiano e ci fermiamo al Visitor Center. Prenotiamo
la visita guidata al Cliff Palace, il pueblo Anazasi meglio conservato,
pagando 16,50 $ per 6 persone. Le escursioni ci sono ogni mezz'ora
e fortunatamente c'è da aspettare poco e alle 12 scendiamo
accompagnati da una ranger che abbonda di spiegazioni, peccato che
solo Mau e Lisa riescono a capire qualcosa. Scendiamo e ci arrampichiamo
anche per scale a pioli, il posto è carino, ma sinceramente
a tornare indietro, lo avremmo visitato solo se fosse stato sul
percorso, non facendo una deviazione come abbiamo fatto, forse avrebbe
meritato di più andare a vedere Antelope Canyon e la zona
attorno a Page sul Glen Canyon.
Comunque alle 14:30 siamo di nuovo in auto e ridiscendiamo la SR
10 per tornare sulla US 160 e proseguire fino al Grand Canyon.
Grand Canyon.
Vi arriveremo dopo 300 miglia da percorrere sulla US 160 ovest,
la US 89 sud e la SR 64 est. Le strade sono ottime e ci consentono
di arrivare al parco un'ora prima del tramonto. Entriamo dalla East
Entrance Station, vicino a Desert View e percorriamo tutta la Desert
View Drive, o East Rim Road, fino a Yavapai Point. La strada è
larga e incredibilmente ben asfaltata per un parco, ma d'altro canto
deve sopportare milioni di visitatori ogni anno. A Yavapai scendiamo
dall'auto e fatti pochi metri ci si presenta uno scenario immenso,
con le rocce dentro il canyon che veramente sembrano incendiarsi.
Peccato ci sia una leggera foschia. Restiamo lì fin che il
sole non è sceso del tutto e poi con l'auto entriamo nel
Grand Canyon Village, parcheggiamo proprio di fianco ad un enorme
self-service e così decidiamo di cenare prima di andare in
albergo. Scegliamo ravioli ripieni (buoni, ma il sugo è da
evitare) ed altro per una spesa di 16 $ a testa e poi usciamo dalla
South Entrance percorrendo la SR 64 fino a Tusayan. Nei cui pressi
prendiamo alloggio al Best Western Grand Canyon Squire Inn. L'albergo
è molto bello, suddiviso in lodge, con un bel negozio che
ha i prezzi più bassi di quello del sel-service, belle camere
e c'è pure la prima colazione compresa.
Mercoledì 8 giugno. Oggi ci dedicheremo a fare escursioni
e visita del Gand Canyon. Per prima cosa andiamo all'eliporto della
Papillon, a mezzo miglio a sud dall'albergo, per prenotare un giro
in elicottero. Paghiamo 130 $ tasse e sursage fuell compresi a testa
per il volo breve e dopo averci pesato per distribuire i pesi sull'elicottero,
ci dicono che la partenza è alle 11:30, ma alle 11 dobbiamo
essere lì per le istruzioni. Sono le 9:30 e così decidiamo
di andare al Grand View Point, sul East Rim, visto che il pomeriggio
lo dedicheremo tutto al West Rim ed anche qui la vista abbraccia
qualcosa di immenso.
Torniamo in perfetto orario all'eliporto e le istruzioni si limitano
ad un breve filmato, tanto che partiamo in anticipo.
Il volo è un'emozione, primo perché nessuno di noi
ha mai volato in elicottero, secondo perché vedere il Colarado
River sotto di noi e quello che ha fatto in milioni di anni, toglie
il fiato.
Dopo l'atterraggio (perfetto), ti fanno passare da un bazar dove
sono esposte le foto che ti scattano prima della partenza. Sono
carissime, vogliono 20 $; tra l'altro appena scesi dall'elicottero
ve le potete far scattare con la vostra macchina fotografica dal
ragazzo che vi viene a prendere. Andiamo a Tusayan in un supermercato
a comprare cibarie per mangiare al sacco senza perdere tempo. Torniamo
al Village e parcheggiamo vicino al Bright Angel Trailhead, dove
c' è il capolinea del bus navetta che percorre tutta la West
Rim che è chiusa al traffico privato.
Ci sono 3 linee di navette, rossa, verde e blu che transitano ogni
15 minuti. La rossa in 75 minuti percorre la West Rim fino a Hermits
Rest; parte dal Bright Angel Trailhead e ferma in tutti i punti
panoramici fino a Hermits Rest che è il capolinea; tornando
indietro fa solo 2 fermate: a Mohave e Hopi Point.- La linea blu
collega solo i vari luoghi del Village e porta alle coincidenze
delle linee rossa e verde.- La verde in 30 minuti percorre un tratto
della East Rim Drive e ferma a Pipe Creek Vista, Yaki Point e South
Kaibab Trailhead, punto di partenza dell'omonimo sentiero che scende
nel canyon fino al Colorado River. A Yaki e a South Kaibab si arriva
solo con la navetta.
Mangiamo in un posto attrezzato, con tavolo, fontanelle e servizi
igienici incredibilmente puliti. Terminato scendiamo un breve tratto
del Bright Angel Trailhead, per un mezzo chilometro, tanto da vedere
come il sentiero scenda in stretti tornanti fino al fiume un migliaio
di metri più in basso e una carovana di muli risalire per
tale sentiero. Ci sarebbe piaciuto fare l'escursione con i muli,
ma motivi di sicurezza, li danno solo a chi parla l'inglese "fluente",
altrimenti potrebbero non capire gli ordini e ci sono precipizi
da far paura. Risaliamo e prendiamo la prima navetta. Abbiamo deciso
di scendere a tutte le fermate osservando ogni Point e scegliendo
quello che a nostro avviso, potrà essere il più bello
al tramonto. Così raggiungiamo Maricopa Point, Hopi Point,
Mohave Point, The Abyss, Pima Point e Hermits Rest. A Mohave Point
notiamo degli scoiattoli e ci fermiamo ad osservarli e visto che
non sembrano per niente spaventati, cominciamo a dargli da mangiare
dei pezzetti di biscotto. Non si potrebbe e non si deve fare, ma
avere quegli animaletti che si arrampicano sulle gambe e che prendono
il cibo dalle mani affondando il musino nel palmo, è qualcosa
che non ci fa resistere e rischiamo, perché se ci vedesse
un ranger ci farebbe una multa.
Arrivati ad Heremits Rest tutti si fermano allo snack bar. Solo
io scendo per un mezzo miglio il Hermit Trailhead, ma diventa sempre
più ripido in discesa e così, pensando che devo poi
risalire, torno indietro.
Mentre aspettiamo la navetta per tornare a Mohave Point, dove aspetteremo
il tramonto, vediamo una cerva intenta a brucare i fiori di una
pianta grassa.
Purtroppo poco prima del tramonto, il sole scompare dietro ad una
nuvola bassa sull'orizzonte e non ci viene regalato lo spettacolo
dell'incendiarsi dei costoni alla nostra destra che scendono fino
al Colorado River. Prendiamo l'ultima navetta utile e ripresa l'auto
torniamo in albergo.
Per cenare scegliamo un ristorante a Tusayan. E' una steakhouse
molto folcroristica, con camerieri vestiti da cow-boy, con tanto
di cappellone. Prendiamo una "cow steak", non è
buona come quella di Buck Steakhose, ma ci portano anche le pannocchie
lesse, tutto in tema. Paghiamo 23 $ a testa e torniamo in albergo.
Domani abbiamo 840 chilometri da fare.
Anaheim (Disneyland).
Giovedì 9 giugno. Ieri abbiamo provato di nuovo a telefonare
can la famosa scheda presa al Pier 39 di San Francisco dalla camera
dell'albergo e siamo riusciti tranquillamente, dopo aver preso la
linea esterna, a farlo. Due telefonate. Ci aspettiamo quindi di
pagare qualcosa al ceck-out; invece non dobbiamo niente e gentilmente
si incaricano anche di impostarci un pacchetto di cartoline che
abbiamo scritto e che arriveranno sollecitamente.
Oggi percorreremo la SR 64 sud, per poi immetterci sulla I - 40
ovest. Faremo una breve deviazione sulla Old Route 66 (molto ben
segnalata, basta seguire i cartelli), fino a Seligman, per riprendere
subito dopo la I - 40 e di seguito la I - 15 sud. Arrivati ai primi
sobborghi dell'immenso agglomerato di Los Angeles (in realtà
sono diverse contee), lasceremo le Interstate per immetterci sulla
SR 60 ovest Ponoma Freeway e poi sulla SR 57 sud Orange Freeway
e da li cercare l'Hotel Hilton di Anaheim. Il tutto per un totale
di oltre 500 miglia, cioè 850 km.
Mentre avanziamo verso Seligman, ai lati scorre la Kaibab National
Forest. E' una foresta immensa che sembra non finire mai, con cartelli
di pericolo per attraversamento cervi sulla strada e che continuerà
anche dopo Seligman. Questo è un villaggio di poche case
sui due lati della SR 66 che vive esclusivamente per il turismo.
Però fa tanto "On The Road" e non potevamo non
passarci e sentirci per un attimo compagni di Jack Kerouac. Per
essere pratici, però, non fateci benzina, è carissima,
vi fanno pagare l'atmosfera. Per fortuna ne abbiamo.
Le Intestate sono veramente ok; ci permettono di viaggiare spediti,
con le solite 4/5 miglia oltre i limiti, 75 sulla 40 e 70 sulla
15. Attraversano il deserto del Mjave in un paesaggio arido e completamente
disabitato per centinaia di miglia. Fra l'altro ci sono diverse
basi militari, non si vede niente, ma sulla carta sono riportate.
Ci fermiamo ad una stazione di servizio e per farlo dobbiamo uscire
dall' Interstate, non è come da noi che sono sulla strada,
ci sono raccordi per uscire e per rientrare. È da tener presente
che non ce ne sono molte, in 300 miglia ne avremo trovate tre. Troviamo
la benzina a 2,28 $ e una specie di Mc Donalds. Mangiamo un panino
e ripartiamo.
Sulla I - 15 troviamo anche una frontiera, vera, con veri doganieri.
Al confine tra Arizona e California. Fanno aprire il portabagagli
a tutti e controllano tutti i camion. Gli dico che siamo turisti
italiani, chissà come, però ha effetto perché
con un "Ok, ok", ci fa cenno di proseguire.
Sulla SR 60 e sulla SR 57 il traffico si fa prima intenso e poi
caotico. Si viaggia su Freeway da 6 a 10 corsie per senso di marcia.
Occhio a non sbagliare corsia e a non perdere i cartelli (messi
bene e abbondanti) perché qui si può sorpassare sia
a destra che a sinistra e nessuno rispetta i limiti di velocità.
Comunque riusciamo tranquillamente ad arrivare all'albergo. Abbiamo
impiegato meno del previsto, poco più di 8 ore. Lasciamo
l'auto ai valet (qui i parcheggi sono come a Las Vegas, solo che
si paga, anche se un terzo di rispetto a San Francisco, 13 $ a notte)
e saliamo in camera. Dalle finestre si vedono le montagne russe
di Disneyland.
Ceniamo in un ristorantino vicino all'hotel, sulla South Arbor Boulevard,
io ordino una steak and chiken e mi portano un piatto con la carne
ricoperta di una specie di caramellato immangiabile. Mangio solo
il pollo ed i contorni, è la prima volta che mi allontano
dalla classica New York steak e ho fatto male. Spendiamo sui 20
$ torniamo in albergo.
Venerdi 10 giugno. Dormiamo un po' di più e alle 10 ci avviamo
verso il parco di Disneyland a piedi, ma comincia a piovere, così
torniamo indietro e prendiamo l'auto, cosa che ci costerà
30 $ tondi tondi, il massimo che si può pagare nei parcheggi
Disney. E c'è anche la presa in giro, perché appena
parcheggiato esce fuori un timido sole che nel proseguio della giornata
diventerà implaccabile.
Comunque alle 11:00 siamo dentro. I parchi sono 2, Dysneyland vera
e propria, parco a tema e California Adventure, parco con i thrills,
le attrazioni da "paura". Paghiamo 73 $ per l'accesso
ad entrambi e cominciamo dal secondo. Andiamo diretti alle montagne
russe "California Screamin" e scopriamo che si possono
fare i fast-pass, cioè inserendo il biglietto di ingresso
in alcune macchinette, ti viene rilasciato un tagliando dove c'è
indicata un'ora, dalle
, alle
dove presentando appunto
tale tagliando, non fai la fila. Naturalmente lo facciamo e dopo
ci mettiamo in fila, così fatto il primo giro, risaliremo
subito.
Cioè le faremo 5 volte, sono fantastiche. Quelle di Las Vegas
sono quisquiglia, in confronto. Queste hanno un'accelerazione alla
partenza pazzesca, ti sale lo stomaco in gola e sono lunghissime.
Tra un fast-pass e l'altro ci incastra di salire su Maliboomer,
un launch straight up, come quello sulla torre dello Stratosphere
a Las Vegas, ma là l'emozione era più forte, si era
già a 350 metri di altezza
Poi attacchiamo "The Tower Of Terror", un thrill che simula
il precipitare di un ascensore: fantastico, ti senti sollevare dal
sedile tanta è la velocità. Anche qui 3 giri grazie
ai fast-pass. Facciamo un giro con tanto di foto con Pippo e Pluto
che incontriamo per strada. Mangiamo da un Mc Donald per meno di
6 $ e poi le "Grizzly River Run", una specie di rafting
artificiale da cui usciamo bagnati fradici eccetto io che mi ero
messo il k-way e pensare che mi prendevano in giro. Meno male che
il sole picchia.
Usciamo dal California Adventure e entriamo nel parco a tema. Siamo
proprio sfortunati, un altro "closed", le "Space
Mountain" in manutenzione. Così ci mettiamo a girovagare
e ci infiliamo in un bazar dove perdiamo un sacco di tempo a scegliere
magliette e orecchi di Topolino. Il parco è immenso e non
riusciamo a vedere tutto, perché alle 19:30 la gente è
già appostata ai lati della strada che va dal castello di
"Fantasyland" a quello di "It's a small world"
dove si svolge la sfilata dei carri illuminati e se vuoi essere
in prima fila conviene mettersi seduti sul marciapiede e aspettare.
La sfilata, per me, non è niente di particolare, Tami ne
è entusiasta. Invece sono fantastici i fuochi artificiali
che fanno poco dopo le 21. Belli, i più belli che abbia mai
visto e sono stato anche a Pamplona per San Firmino (la corsa dei
tori), con il campionato europeo di fuochi artificiali. Ma qui c'è
anche la musica, perfettamente coordinata con gli scoppi e le cascate
di luce. Uno spettacolo. Ceniamo in una pizzeria pseudo italiana
nella downtawn di Disneyland, fuori dai parchi. Locale carino, pizza
buona, prezzo equo. Riprendiamo l'auto e percorriamo il mezzo miglio
che ci separa dall'albergo.
Las Vegas: Hollywood.
Sabato 11 giugno. Ci svegliamo e troviamo sotto la porta il conto
del parcheggio, 26 $ per 2 giorni. Sbrighiamo prestissimo il ceck-out,
il valet ci riporta l'auto e via, verso Hollywood.
Percorriamo la I - 5 nord Santa Ana Freeway e la US 101 nord Hollywood
Freeway ed il traffico è pazzesco. Dopo 35 miglia usciamo
dalla 101 sulla Hollywood Boulevard e, forse perché sono
solo le 10 di mattina, è tristissima. Comunque parcheggiamo
in un sotterraneo vicino al Mann's Chinese Theater (dove le star
lasciano impronte e firma sul cemento) e lì ci facciamo le
foto di rito. Idem per le stelle con i nomi dei personaggi famosi
della "Walk of Fame"; perdiamo più di mezz'ora
per trovare la stella con il nome di Merilin Mnroe e poi riprendiamo
l'auto spendendo solo 2 $ per recarci in un punto da cui si veda
la famosa scritta, "The Sign" HOLLYWOOD. Ci perdiamo e
impieghiamo quasi un'ora per poterla intravedere da una strada.
Ci accontentiamo di fotografarla da lontano.
Beverly Hills.
Lasciamo Hollywood per Beverly Hills e ci fermiamo per prima cosa
all' Hard Rock Caffè di cui Lisa colleziona le magliette.
Mangiamo al vicino Beverly Center. Io, Tami Gino e Maria ci avventuriamo
in un self-service che ha nel menu penne alla siciliana con pollo.
Forse è la fame, sono le 2 del pomeriggio, ma non sono male
e spendiamo solo 8,50 $.
Ci rechiamo, quindi, in Rodeo Drive. Parcheggiamo vicino ad un parchimetro
e mi diverto ad infilare le monetine. Qui l'atmosfera è di
tutt'altro tipo che in Hollywood Boulevard. Piena di gente e di
traffico, composto per lo più da Mercedes, BMW, qualche Ferrari
e roba del genere, la strada è carinissima. Tenuta bene,
con le tipiche palme, ospita negozi delle griffe più famose;
Armani, Ferre, Cartier e qunt'altro. Two Rodeo Drive poi è
veramente una bomboniera.
Mau e Lisa invece si infilano nel Nike Town lì vicino e comprano
un altro paio di scarpe. In effetti, sia perché costano meno,
sia per effetto del cambio, vengono un po' meno della metà
che in Italia.
Da Rodeo Drive prendiamo la SR 2 Santa Monica Boulevard, la I -
405 sud e poi la I - 10 west per finire sulla SR 1 e trovarci così
di fronte all'Oceano Pacifico. Il traffico è notevole, ma
arriviamo attorno alle 16:00, così c'è il tempo di
mettersi il costume e scendere sulla spiaggia. Parcheggiamo 1 ora
per 2 $ e attenti: ci sono come degli spunzoni che si piegano solo
da una parte, se si pensa di fare i furbi e uscire in senso sbagliato,
addio gomme.
C'è l'Ocean Front Walk con chi pattina e le bici, una sfilzata
di campi da beach volley e la fila di palme
Insomma come nei
film. Arrivo all'acqua ed è sporca, nonché freddino,
così rinuncio a fare il bagno, ma non a farmi una foto con
il Baywach sulla classica torretta. E' molto gentile e ci fa salire
con ampi gesti e sorrisi. Saliamo non prima di aver sciacquato i
piedi in secchio pieno d'acqua per non portare la sabbia sulla torretta.
Riprendiamo l'auto e percorrendo la SR 1 verso sud, passiamo Venice
e dall'omonima boulevard, riprendiamo la I - 405 e arriviamo all'
Hilton Airport. Anche qui parcheggio a pagamento 13 $. Decidiamo
per il self parking e poi ci sistemiamo nelle camere.
Nella zona dell'albergo, vicinissimo all'aereoporto, non c'è
niente, così riprendiamo la Dodge e ripercorriamo la 1 verso
Venice. Mentre andiamo, con la coda dell'occhio, vedo un'insegna
con scritto "Italy's Little Kicten". Faccio fermare Mau
che sta guidando e la indoviniamo; Menu scritto in italiano, anche
se il personale è americano e il cuoco mezzo cinese e portoricano.
Bruschetta con vero olio d'oliva e aceto balsamico, con pane tipo
il nostro di campagna arrostito. E poi 3 linguine agli scampi e
3 ravioli all'aragosta; 24 $ spesi bene. Facciamo mezzanotte e torniamo
in hotel.
Domenica 12 giugno. Sveglia con calma. Oggi si riparte per l'Italia.
Sono le 10 e abbiamo l'aereo alle 16:20. Così torniamo sull'oceano
per visitare Venice che ieri abbiamo solo intravisto. Giriamo un
po' per trovare parcheggio, è domenica e c'è molta
gente. Ma non è tempo buttato, perché girando appena
al di là della SR 1, c'è tutta una serie di villettine
basse di legno, dipinte di colori pastello, con la staccionata bassa
e il giardino davanti. Le strade che formano degli isolati rettangolari
e una quiete incredibile. Addirittura una fila di anatroccoli ci
traversa la strada con tutta calma costringendoci a fermarci e diversi
scoiattoli sono sui prati dei giardini. C'è anche una svendita
di roba vecchia davanti ad una villetta; chissà se hanno
ripulito la soffitta come fa Paperino. Sembra di essere in una cittadina
del middle west, anziché a Los Angeles.
Troviamo il parcheggio e ci accorgiamo che la domenica non fanno
pagare, almeno lì dove abbiamo messo l'auto noi.
Venice è molto carina, anche sull'Ocean Front Walk. Ci sono
molti ristorantini e negozi di souvenirs. E poi la palestra sulla
spiaggia e una serie di attrezzature per fare sport, compreso una
specie di tennis come da noi a Livorno il calcetto nei gabbioni.
Persone che corrono, che pattinano e che vanno in bici non si contano.
Visto che poi mangeremo in aereo (sic), decidiamo di tornare al
ristorante italiano della sera prima, anche perché ci hanno
assicurato che alle 11 aprivano e noi massimo a mezzogiorno dobbiamo
mangiare. Troviamo aperto e incrociamo i piatti: quelli che avevano
mangiato le linguine prendono i ravioli e viceversa. Ci riconoscono
e sono molto gentili, ci fanno anche porzioni più abbondanti
e il refill delle bibite in contenitori come usavano una volta nelle
nostre osterie. Spendiamo anche meno, 18 $ a testa.
Avevamo già caricato i bagagli, così andiamo diretti
alla Alamo e riconsegniamo l'auto, con pochissime, anzi nessuna,
formalità. Pensare che eravamo un po' preoccupati perché
avevamo rovesciato un intero bicchiere di coca-cola sulla moquette
e questa si era letteralmente corrosa.
Prendiamo la navetta (fanno un servizio efficientissimo, una ogni
2 / 3 minuti) e arriviamo all'aereoporto di Los Angeles. Facciamo
un po' di casino perché ci infiliamo in una fila sbagliata,
ma niente di drammatico. Capiamo solo dopo che i bagagli al ceck-in
non vanno sul nastro trasportatore come in ogni altro aeroporto,
ma vengono riconsegnati e un addetto accompagna i singoli, o i gruppi,
con i bagagli alla macchina dei raggi x.
Ci imbarchiamo regolarmente, dopo i normali controlli, neppure troppo
severi e il volo LH 453 della Lufthansa decolla in perfetto orario.
Così come da Monaco per Pisa.
FINE.
* * *
Note
in appendice.
Abbiamo percorso 3.294 miglia con
l'auto, quasi 4.800 chilometri; all'incirca la stessa distanza che
c'è da Livorno a New York. Abbiamo consumato 140 galloni
di benzina pari a 530 liti, pagandola mediamente 2, 31 $ al gallone
e cioè 0,61 $ al litro, pari a poco più di 50 centesimi
di Euro e facendo circa 9 km. al litro.
Abbiamo scattato complessivamente attorno alle 3.000 foto fra digitali
e con rullino. Siamo passati da 86 metri sotto il livello del mare
ai 3.100 metri di Bryce Canyon nel punto più alto e dai 46
gradi centigradi nella Death Valley, ai meno 2 con tanto di nevicata.
Abbiamo traversato il niente (come diceva Lisa), centinaia di miglia
senza un villaggio, nemmeno una stazione di servizio e il caos cittadino
di metropoli, anche con 16 milioni di abitanti.
È stato un viaggio faticoso, ma ne è valsa la pena,
oltre ad essere un viaggio, è un'esperienza di vita. Io poi
ho realizzato un sogno nato quando a 7/8 anni leggevo i primi Tex
e cominciavo a parteggiare per gli indiani. Un solo cruccio, avrei
voluto conoscere un po' la lingua per poter socializzare con la
gente del posto, che da quel che ho potuto vedere non aspetta altro
che poter comunicare.
|