Devo proprio ammetterlo,
da quando abbiamo acquistato il carrello per il trasporto delle
moto ci si è aperto un mondo! Grazie proprio alla sua presenza oggi
non ci spaventano 2000 km in auto per raggiungere un paese al limite
occidentale dell'Europa. Se poi là ci aspettano 3500 km di magnifico
off road, non ci resta che iniziare a raccogliere gli ingredienti
per questa nostra nuova ricetta estiva a due ruote: un mese di ferie,
le nostre ormai storiche moto (un’enduro leggera Honda
XR250R ed una trial alpinismo Scorpa
TY-S 125 Long ride), bagagli ridotti all'osso e una voglia
sfrenata di vestire i panni degli enduristi esploratori... in tre
parole, la "Volta a Portugal", uno spettacolare giro ad anello che
dal nord ci condurrà prima al centro e poi al sud di questo paese
per noi assolutamente sconosciuto!
Due giorni di viaggio e finalmente a Miranda do Douro scarichiamo
le moto, ci vestiamo, carichiamo gli zaini, facciamo rifornimento
di acqua e sotto un cielo turchino privo di nubi accendiamo impazienti
i motori!
Il nord del Portogallo si presenta subito come un labirinto infinito
di stradine di terra, erba e roccia: un'estasi di puro godimento
enduristico. Nessun divieto, cancello o catena ostacola il nostro
procedere; dove sembra finire una pista, ovvero dove da qualsiasi
altra parte ci si aspetterebbe un asfalto, qui si giunge su una
nuova pista che conduce ad una nuova pista e così via...in un dedalo
incantato di piste che rendono l'esplorazione un'esperienza davvero
entusiasmante! Tale meraviglioso state di cose affonda però le radici
in una realtà dal sapore amaro: questa zona è infatti estremamente
povera e vanta il tasso di emigrazione più alto d'Europa. Ciò implica
una scarsissima antropizzazione e di conseguenza una non convenienza
a costruire ed asfaltare. L'area viene perciò lasciata, intatta,
a crogiolarsi nella più totale tranquillità. Gli stessi paesi che
incontriamo lungo il nostro peregrinare sono attraversati unicamente
da stradine di un antico e chiaro pavé, a splendido coronamento
della loro essenza puramente rurale e della loro quasi assoluta
lontananza dalla modernità. Attraversandoli si ha la sensazione
di tornare indietro di mille anni: i pochi abitanti accorrono sui
balconi, scostano le tende alle finestre, si fermano per strada
per osservarci...colorati alieni giunti per scherzo a sfilare accanto
alle loro quasi eteree esistenze.
Il nome della regione che stiamo attraversando significa letteralmente
"oltre la montagna"; grazie alla sua particolare geografia è rimasta
isolata nei secoli, neppure i conquistatori romani si spinsero fra
queste alture, per cui sono rimasti invariati nel tempo usi, costumi
e tradizioni di un popolo che saluta i forestieri con un bellissimo
"Benvenuto chiunque tu sia", in un idioma (il "mirandero") del tutto
unico e singolare, oggetto di studi ancora oggi.
Grandi fonti e rocciose croci adornano le minuscole piazze, mentre
le nostre moto aggiungono un tocco di colore ad una tavolozza occupata
quasi esclusivamente dal grigio e dal marrone delle pietre dei muri;
abitazioni semplici, strette le une alle altre come persone che,
di fronte alla durezza della vita, cercano conforto in un abbraccio.
Nei paesi scopriamo gli espigueiros, granai per lo stoccaggio del
mais, incredibili palafitte di roccia granitica che ricordano austeri
mausolei, porticine di legno a proteggerne il contenuto e gambe
di roccia ad isolare dall'umidità il prezioso cereale. Ce ne sono
tantissimi nella graziosa Lamas da Olo.
Nelle campagne scopriamo invece i pozzi di sasso, con un sistema
di raccolta dell'acqua rustico e primordiale ma efficientissimo,
costituito essenzialmente da tronchi e grosse pietre che fungono
da bilancieri.
Percorriamo entusiasti decine di km di piste veloci, attraversando
minuscoli villaggi di montagna come Dinè e paesi più grandi dominati
da incantevoli castelli perfettamente conservati come Montalegre.
Dormiamo in campeggi economici ed impariamo a conoscere le usanze
di questo popolo in fatto di cibo: nei bar non si mangia ma si beve
soltanto, al limite si trovano gelati confezionati e sacchetti di
patatine fritte, mentre nei ristoranti servono in genere un solo
piatto come portata unica, solitamente composto da carne o pesce,
patate fritte o al forno e altre verdure cotte, il tutto preceduto
da un'ottima zuppa bollente, utilissima a reintegrare l'organismo
di sali minerali e acqua. Per i portoghesi il pranzo è una cosa
molto seria, e li vediamo infatti, spesso soli, a gustare con calma
ogni boccone, fino all'immancabile fetta di melone finale.
Ci avviciniamo lentamente alle alture del parco Peneda Geres,
finché finalmente una mattina partiamo di buonora e risalendo la
montagna ci ritroviamo immersi in un mondo da favola: rocce scure
emergono come faraglioni dal mare verde smeraldo delle felci bagnate
di rugiada; una coppia di cavallini selvaggi galoppa morbidamente
alla nostra sinistra e a parte loro siamo soli in questo mondo perduto.
Soffia un vento deciso e talvolta il fischio che produce attraverso
le fessure del casco supera il rumore del motore: è bellissimo viaggiare
ascoltando il vento e al contempo osservare le chiome degli alberi
agitarsi al suo passaggio. Il vento porta le nubi, dietro cui il
sole si nasconde spesso capriccioso. Per immortalare il paesaggio
trascorriamo lunghi momenti come sospesi nel tempo, in piedi accanto
alle nostre moto, in silenzio, la macchina fotografica pronta a
scattare, lo sguardo fisso sulla netta linea di confine fra l'ombra
e il sole che si avvicina o si allontana.
Più saliamo di quota e più le nubi si abbassano, in breve ci ritroviamo
immersi nella nebbia. Purtroppo ci perdiamo la parte più bella del
parco ma il nostro viaggio deve proseguire: io vedo solo il sentiero
davanti a me e la figura di Taddy che si confonde nel chiarore lattiginoso
della nebbia. Presto arriva anche la pioggia, fine e delicata, ma
pochi minuti di essa sono sufficienti a bagnarci completamente!
Indossiamo le giacche a vento e proseguiamo. Mezz'ora dopo ci consoliamo
con una tazza di cioccolata calda alla taverna celta della microscopica
Pites das Yunias, poi torniamo in sella sotto la pioggia
battente...e sotto lo sguardo di due ragazzini che mi piace stiano
pensando che siamo due gagliardi, mentre con tutta probabilità staranno
pensando che siamo due dementi...
Bagnati e infreddoliti optiamo per aspettare che il maltempo passi
pranzando a Paradela e grazie al cielo la nostra pazienza viene
premiata: finalmente il sole fa capolino fra le nubi e presto esse
si dissolvono completamente. Così, mentre il mondo torna nuovamente
a vestirsi di mille colori brillanti, torniamo di corsa in montagna
dove le nostre moto si rincorrono su piste sassose fra enormi pietroni
squadrati che da secoli se ne stanno in bilico gli uni sugli altri.
Nel tardo pomeriggio ci attende una magnifica sorpresa: uno splendido
ponte romano sul fondo di una profonda gola. Si scende seguendo
un'antica e perfettamente tenuta mulattiera: fermiamo le moto sulla
sommità del ponte ed osserviamo incantati il letto del fiume che
vi scorre sotto, ricco di massi grossi come case: il luogo è davvero
magico! La mulattiera prosegue oltre il ponte sul lato opposto della
gola, ma noi non abbiamo tempo e lasciamo alle nostre fervide fantasie
il compito di rispondere alla fatidica domanda dell'esploratore
"Cosa ci sarà dopo la curva?"
Il nostro viaggio prosegue in direzione sud, ma prima di abbandonare
le montagne ci godiamo i panorami da alcuni spettacolari crinali
eolici, che guadagniamo grazie a sentieri che si sono quasi completamente
chiusi fra erba alta e fratture del terreno lasciate da vecchie
frane. Il caldo è intenso e ci riposiamo all'ombra di splendidi
massi chiari così grandi che le moto appaiono al loro cospetto due
piccole formiche.
Dopo diversi km di ghiaiate ci aspetta la discesa, lungo belle mulattiere
di pietre fisse e mobili: in piedi sulle pedane danziamo col corpo
per far prendere alla moto la traiettoria migliore, dosando gentilmente
gas e freni e godendo della perfetta armonia pilota-moto.
Spesso il sentiero pare perdersi nella vegetazione alta, ma noi
lenti e testardi ci facciamo largo attraverso essa e quando finalmente
la pista nuovamente si apre una bella sgasata rende palpabile la
nostra soddisfazione e la gioia di poter proseguire.
Ad un certo punto, dopo esserci arrampicati su un sentiero ripido
molto chiuso nella vegetazione e pieno di pietroni, tronchi e buchi,
fermiamo le moto sull'irregolare pendenza perché in cima una corda
ostacola il passaggio. C'è lì una signora anziana, tutta vestita
di nero, ed è stupita... passiamo con prudenza sotto alla corda
e nel frattempo si raduna attorno a noi una piccola folla. Una donna
ci chiede perché abbiamo scelto quella strada e non la principale,
asfaltata, alle sue spalle; le rispondiamo "Perché è comunque una
strada, perché si trova su una mappa topografica e perché è più
divertente" dice "Sì ma è pericolosa, potete farvi male", "No, queste
sono moto fatte apposta..." e le raccontiamo nel nostro magnifico
esperanto (un ardito miscuglio di spagnolo, inglese, francese e
italiano) il progetto di percorrere off road con le nostre moto,
in solitaria e senza alcun supporto esterno, tutto il Portogallo.
Ci guardano stravolti e ci domandano "Ma... vincete qualcosa??"
Sul finire della giornata attraversiamo su piste di un bianco accecante
il favoloso parco di Alvao, ricco di enormi palle di granito
sparse su distese di un verde incantevole oppure perse all'ombra
di fitti boschetti. Questa singolare orografia ci tiene compagnia
fin dentro il paese di Vila Real, cui si arriva direttamente
off road.
Visitiamo quindi sulle due ruote le colline che si sviluppano lungo
il corso del fiume Douro, zone incantevoli interamente coltivate
a vite; sono i famosi vigneti portoghesi, che daranno vita a vini
magnifici come il Porto, i rosati, i tinto e addirittura il vino
verde, prodotto con uve acerbe e inaspettatamente dolce, leggero
e fruttato. E' splendido attraversare di giorno i vigneti ed assaporare
di sera i vini prodotti da quegli stessi lunghissimi filari di vite!
Durante una sosta la nostra attenzione viene attirata da una bevanda
che i portoghesi assaporano con gusto: ne prendiamo un bicchiere
e scopriamo che si tratta di granita al Porto!! E' squisita ma parecchio
forte: sono solo le dieci di mattina e tanto ci basta a farci ripartire
allegri come non mai!
Nel pomeriggio percorriamo piste chiuse fra alti muretti di pietra,
strette nell'alta erba dorata e serpeggianti fra granitici massi
chiari e scuri fino a Trancoso, cinta da mura percorribili
a piedi, un occhio a dove si mettono i piedi e un altro ai rossi
tetti delle case della parte vecchia del paese. A questa si accede
con le moto attraverso spettacolari porte originali nella mura perfettamente
conservate e ci divertiamo ad entrare e uscire senza motivo dalle
varie porte solo per il gusto di farlo!
Diverse favolose giornate ci attendono in un susseguirsi infinito
di piste scorrevoli e panorami sempre diversi: nessuna sensazione
di fame sete o fatica, il nastro di terra che si snoda fluido innanzi
a noi, il compagno d'avventura là davanti che pare essere perennemente
inseguito dalla sua personale nuvoletta di polvere, l'abbigliamento
che stranamente non provoca alcun prurito o fastidio, la moto che
risponde a meraviglia ai comandi, l'intimo e solitario contatto
con la natura circostante. Più di una volta in queste giornate ho
sentito la mia mente formulare un preciso pensiero: "Ecco, questo
è davvero uno di quei momenti per cui vale la pena vivere..."
Sotto un rado boschetto ci attende anche una meraviglia nella natura
degna di essere narrata: una faccia di pietra alta circa due metri
così verosimile da sembrare addirittura scolpita dall'uomo mentre
è assolutamente naturale! Le giriamo attorno increduli, la fotografiamo
da tutte le angolazioni e infine riaccendiamo il motore col cuore
gonfio di gratitudine per ciò che stiamo vivendo.
L'aria si scalda mano a mano che scendiamo di quota e che ci avviciniamo
alle zone centrali del Portogallo. Stringiamo i denti aumentando
sensibilmente il numero delle soste per dissetarci. Quando usciamo
dai paesi ci attende un mondo assolutamente immobile nella calura
mattutina o pomeridiana: nessun insetto in giro, non una foglia
che si muove sui rami, fa talmente caldo che persino la polvere
non ha più voglia di sollevarsi! Solo noi due avanziamo a velocità
sostenuta, quasi avessimo il diavolo alle calcagna, nel surreale
tentativo di lasciarci alle spalle questo inferno, mentre l'aria
bollente continua senza tregua a ustionarci la pelle del volto.
Il calore è veramente intenso, non abbiamo mai provato nulla di
simile: anche se parcheggiamo le moto all'ombra le leve di freno
e frizione sono roventi, mani e piedi si gonfiano e dolgono terribilmente,
l'aria che ci penetra nei polmoni anzichè donarci refrigerio ci
soffoca e sebbene beviamo spesso ci disidratiamo molto velocemente.
Guidare una moto da enduro in queste condizioni è davvero tosta,
se poi si è impegnati in un'esplorativa che costringe a continui
dietro front e sforzi di concentrazione per cercare valide alternative,
le cose peggiorano ulteriormente. Dobbiamo per forza trovare una
soluzione che ci permetta di arrivare alla meta serale senza distruggerci:
è necessario infatti mantenere integre le energie per il resto del
viaggio, ancora lungo e incerto. Non potendo fermarci perché ci
salterebbero le tappe successive, la soluzione è una sola: l'acqua!
Deviamo così diverse volte verso minuscoli villaggi dove cerchiamo
ansiosi una fontana, e qui ci immergiamo completamente vestiti nell'acqua
fresca e limpida, trascorrendo lunghi minuti a godere dello scorrere
del prezioso liquido sotto la pettorina, dentro gli stivali, sui
capelli, nei pantaloni... sotto lo sguardo stupito e divertito degli
anziani che probabilmente non hanno mai visto una scena simile in
vita loro! Così bagnati riprendiamo felici le nostre piste, grondando
acqua al nostro passaggio: resistiamo magnificamente alle alte temperature
e per una mezz'oretta stiamo belli freschi. Il vento bollente però
ci asciuga in fretta e un'ora dopo siamo già completamente asciutti
e alla ricerca di un'altra fonte o di un torrente!
Mentre il calore impazza le nostre moto si avventurano su alture
ammantate di fitta vegetazione, impegnandosi in lunghi sali-scendi
su terribili tagliafuoco dal fondo di sabbia e tronchi. Non so quante
volte abbiamo alzato il braccio in segno di vittoria... soprattutto
in fondo a discesoni ripidissimi dove si giungeva dopo aver mantenuto
diciamo 'un certo stile', ovvero senza essere rotolati a valle come
palline impazzite! Anche le infinite salite ripide sono terribili
per me, perché anche se prendo una bella rincorsa il piccolo 125
cc si imballa in fretta e con questo caldo rischio ogni volta di
fonderlo. Ma grazie al cielo il motorino Yamaha si comporta egregiamente,
trasformando questo piccolo trial in una davvero portentosa long
ride!
Un'avventura non è tale se non capita qualche imprevisto... e naturalmente
la nostra non fa eccezione! Capita così che un insetto entri a velocità
sostenuta in un occhio di Taddy procurandogli una fastidiosa congiuntivite.
Capita anche che la candela della Scorpa sia così incrostata che
i poli entrino in corto circuito. E capita poi che la frizione dell'XR
inizi a slittare, dapprima solo alle marce alte e poi anche alle
basse se Taddy apre il gas. Il problema si aggrava giorno dopo giorno
e ci preoccupa non poco poiché non siamo neanche a metà del giro
e perché fra tutti i ricambi che ci siamo portati dietro mancano
ovviamente i dischi della frizione. Inoltre il nostro progetto non
prevede di attraversare città o paesi grandi a sufficienza da trovarvi
un meccanico, e comunque resta il problema che i dischi di un'Honda
Dall'Ara non sono facili da recuperare in tempi brevi a Bologna
figuriamoci nel bel mezzo del Portogallo! Telefoniamo al nostro
caro amico Angelo di Spoleto, trialista endurista ed esperto meccanico,
che ci dà suggerimenti preziosi e ci tranquillizza un pochino,
offrendosi come sostegno "telefonico" nel caso si debba
aprire da noi il motore in mezzo al bosco! Per il momento comunque
allentiamo la frizione e procediamo sforzandoci di non farla mai
slittare al fine di rallentarne l'inesorabile usura. Cercheremo
poi di trovare una soluzione definitiva strada facendo.
Proseguiamo il nostro viaggio e dopo circa 1200 km -quasi tutti
off road- ci ritroviamo nel centro del Portogallo, costituito quasi
interamente da piccoli appezzamenti di terreno adibiti a pascolo
di bovini: i cancelli da aprire e richiudere sono un'infinità, siamo
sempre fermi. Ma questo paese ci sorprende ancora una volta: all'improvviso
si arriva infatti - inaspettatamente e sempre off road - di fronte
ad un complesso megalitico che incanta la mia sete di archelogia.
Composti da un solo elemento oppure da un gruppo di menhir disposti
a disegnare dei recinti, questi complessi emanano un fascino unico,
soprattutto grazie al loro isolamento e all'assenza di turismo di
massa. Il Portogallo è ricchissimo di storia, dal giurassico al
neolitico, dai celti e dai romani al medioevo... ce n'è davvero
per tutti i gusti! Questa mattina per esempio siamo entrati direttamente
off road nel castello splendidamente conservato di Arreiolos, mentre
ora fermiamo le moto di fronte al complesso neolitico Valle Maria
do Meio: su una radura al limitar di un boschetto si erge silenziosa
da secoli una quindicina di menhir tondeggianti o allungati, più
o meno chiari, disposti in due cerchi che si sfiorano e il cui elemento
più alto misura circa tre metri. Ci aggiriamo silenziosi ed incantati
fra questi megaliti, innalzati da uomini e donne che ritualizzavano
il movimento degli astri, e ci sentiamo piccoli e insignificanti
di fronte alle conoscenze che essi avevano dei pianeti e delle stelle
che compongono il nostro universo.
Ripartiamo e, poco oltre, un'altra sterrata ci porta nel parcheggio
dello splendido recinto di Almendres, un centinaio di menhir disposti
sull'asse est-ovest del terreno in declivio di una collina che sovrasta
la campagna di Evora. Osservando il complesso dall'alto si
possono scorgere tutti i menhir, compresi quelli più lontani, mentre
le loro ombre nitide disegnano a terra elissoidi perfetti nella
luce del tardo pomeriggio.
Siamo diretti verso la costa ovest e l'oceano ci attende; per raggiungerlo
seguiamo sottili piste dal fondo che diventa via via più sabbioso
mano a mano che ci si avvicina al mare. La guida sulla sabbia all'inizio
spiazza: pare infatti che all'improvviso la moto si animi di vita
propria poiché va dove le pare e qualsiasi tentativo di controllarla
porta a risultati disastrosi. Si sperimenta allora qualche trucchetto
e alla fine la guida diventa puro divertimento! Il segreto sta tutto
nell'alleggerire l'anteriore, spostando indietro il peso del corpo
e non sforzandosi di voler mantenere una direzione precisa bensì
lasciare che la moto decida l'onda giusta di navigazione senza contrastarla,
compatibilmente con la larghezza della pista e i vari ostacoli presenti
su di essa! Si instaura insomma un gioco di equilibri da mantenere
morbidamente, scivolando sui granelli e godendo della sensazione
di non avvertire più il contatto, cui si è solitamente abituati,
dei tasselli sul terreno. Da evitare assolutamente di staccare i
piedi dalle pedane per via delle numerose radici che spuntano dalla
sabbia e che potrebbero intrappolare le caviglie con effetti traumatici
e disastrosi! Io mi trovo bene nella terza marcia, procedendo ad
una velocità di crociera moderata che mi permette di evitare spiacevoli
imbarcate.
L'arrivo all'oceano ci delude: per via di una fittissima nebbia
infatti non si vede nulla e le poche persone in spiaggia sono avvolte
in pesanti giubbotti. Fa un freddo cane! Passeggiamo nell'acqua
bassa e gelata delle lunghe onde, sperando che il sole riesca a
vincere la cortina umida ma niente: minuscole goccioline continuano
a bagnarci e il freddo persiste. Mentre il mare avanza lentamente
nella sua marea, riflettiamo sul fatto che questo paese ha davvero
un clima strano: nell'interno di giorno fa così caldo che nessuno
si azzarda a pranzare all'aperto, preferendo la semioscurità e la
frescura dei locali mentre fuori i raggi UV bruciano le retine.
Di sera nessuno si azzarda a cenare all'aperto perché fa troppo
freddo. Arrivare sull'oceano per noi rappresentava la speranza di
trovare finalmente un clima più mite, e invece ci troviamo a dover
passare la notte in tenda, intirizziti dal gelo e sotto la pioggia!
Grazie al cielo comunque i giorni successivi la situazione migliora:
la nebbia si alza permettendo ai nostri occhi di posarsi su veri
angoli di paradiso. La costa ci sorprende con le sue magnifiche
spiagge battute da onde spumeggianti. Il clima ora è magnifico:
aria calda e vento fresco, un connubio perfetto! In sella alle nostre
fide compagne seguiamo una serie di piste alte sul promontorio che
sovrasta la costa frastagliata e lo spettacolo della costa ci lascia
senza fiato: decine di gioelli di sabbia chiara incastonati nelle
pareti di scura roccia a picco. Le spiagge sono lunghissime e selvagge,
la mano dell'uomo si è fortunatamente limitata a tracciare strade
di terra per giungere al mare, nessuna costruzione permanente e
nessun ecomostro rovina la splendida tranquillità di questo angolo
di mondo.
Una di queste spiagge ci fa un bel regalo: è la storia che ancora
una volta viene a farci l'occhiolino, con le orme di un dinosauro
impresse in una roccia appoggiata da millenni sulla sabbia sottostante
le abitazioni di Sagres.
Nel frattempo il problema della frizione si è aggravato, così decidiamo
che non possiamo aspettare oltre e mettiamo in pratica il nostro
piano. Ci aiuta Eduardo, titolare della pensione Das Dunas a Carrapateira:
questo magnifico portoghese, mentre io mi riempio le guance delle
ghiottonerie più splendide che la sua magnifica colazione a buffet
propone, dedica tre ore del suo tempo alla nostra causa, cercando
in internet il pezzo che ci occorre, facendo telefonate, imparando
qualcosa del mondo delle moto che fino ad allora ignorava completamente,
appassionandosi a tal punto da comprare per noi con la sua carta
di credito una frizione Honda da un tale che vive in un paese vicino
a Lisbona! Come indirizzo per la spedizione optiamo per l'hotel
di Tavira, dove contiamo di giungere fra quattro giorni... frizione
permettendo!
A Carrapateira ci concediamo il primo giorno di riposo, dopo 1550
km di fuoristrada. Raggiungiamo a piedi la bellissima spiaggia percorrendo
45 minuti di cordoni di dune dorate fino all'incredibile oceano,
poi ancora a piedi con calma lungo l'interminabile distesa di sabbia,
sfilando accanto a cartelli che scoraggiano il bagno in mare descrivendo
la pericolosità delle correnti e osservando incuriositi impavidi
serfisti che si lanciano comunque verso le onde spumeggianti.
Di nuovo in sella ci riempiamo ancora gli occhi di spiagge meravigliose
fino a Salema; in campeggio ci colleghiamo ad internet e
scarichiamo il manuale per la sostituzione della frizione, in attesa
di giungere a Tavira.
Ed eccoci tornare verso l'interno ed il suo calore micidiale, per
fortuna le piste sono larghe e veloci ma ad ogni modo in un'ora
beviamo un litro d'acqua e ne sudiamo 3. Dopo 40 km finiamo la scorta
d'acqua e ci troviamo nel bel mezzo del nulla; frugando nello zaino
trovo una lattina di Red Bull e la scoliamo in un secondo, litigandocela.
Poco dopo un legno s'incastra in maniera magistrale nel mio passacatena
e dobbiamo penare non poco col coltellino a serramanico per eliminarlo.
Ripartiamo e dopo una curva in discesa l'anteriore mi scivola in
una profonda canala dalla quale non riesco ad uscire elegantemente
e finisco così vittima della prima caduta del viaggio: proiettata
in avanti atterro con i palmi delle mani direttamente sui sassi
più maledettamente aguzzi dell'intera penisola iberica.
Quando giungiamo alla meta serale sono sfinita ed ho la gola così
secca e la bocca così impastata che non riesco a parlare. Solo dopo
essermi spogliata delle protezioni e aver bevuto una decina di litri
di bibite e acqua riacquisto la favella e la prima cosa che riesco
a dire è: "Però...mica ricamo e cucito..." Un'ora dopo mi ritrovo
davvero ago e filo in mano a rammendare i guanti, bucati in diversi
punti!
E arriva il giorno in cui la
frizione decide che è scoccata la sua ora: l'XR non va più avanti
e alla prima salita dobbiamo rinunciare all'off road. Ma dopo qualche
km di asfalto, grazie a quella splendida materia che è la fisica
e alla sua legge di dilatazione termica dei metalli, la moto riacquista
una parvenza di vita e noi si torna tutti felici a macinare km di
polvere e sassi! Riprende dunque il progetto che ci conduce attraverso
luoghi dimenticati da Dio e dagli uomini, incontrando solo un anziano
pastore ossessionato dagli anni che passano ma felicissimo di incontrare
in quella landa desolata due anime vive che come lui camminano su
due gambe... anzi su due ruote!
Entrare a Tavira con Taddy che sgambetta furiosamente in
pianura per starmi dietro è un successo clamoroso! Alla guest house
Casa Viana ci attende la busta con la frizione nuova e senza aspettare
un minuto di più corriamo a cercare un'officina che ci metta
a disposizione l'aria compressa e qualche attrezzo e si parte col
lavoro! Si tratta di qualcosa di nuovo per noi, e ci divertiamo
a sistemare ogni pezzetto che togliamo in bell'ordine sul bancone
di legno per riuscire poi a rimontare tutto nel modo giusto! Scopriamo
che ci sono solo 3 decimi di differenza fra ogni disco vecchio e
quello nuovo, ma tanto bastava: 3 decimi per 6 dischi fanno quasi
2 mm! Infine... che soddisfazione quando, rialzata la moto e acceso
il motore, la frizione stacca correttamente! L'XR è nata a nuova
vita e il nostro viaggio può riprendere serenamente!
Prima però ci meritiamo una seconda giornata di riposo, durante
la quale ci concediamo un po' di vita di mare sull'isola proprio
di fronte a Tavira, una lunghissima e sottilissima lingua di sabbia
che si estende in direzione est-ovest e che si raggiunge con una
barchetta turistica. Sotto l'ombrellone leggiamo e riposiamo, osservando
da lontano i bagnanti impegnati in questa strana vita da vacanzieri...
noi fremiamo, sognamo le nostre piste e il rumore del motore, ci
emozioniamo ricordando luoghi visti e momenti vissuti off road,
ridendo delle disavventure; guardandoci negli occhi facciamo col
polso il gesto di "dare gas" sottintendendo un implorante "torniamo
in moto??" Detto fatto, riprendiamo il viaggio in direzione nord!
Ci aspetta il lento rientro seguendo da vicino il confine con la
Spagna, ingolosito da alcuni dei paesi più belli che abbiamo mai
visto in vita nostra!. Lasciatoci alle spalle l'oceano torniamo
nell'entroterra, dove corriamo nel letto pietroso di alcuni fiumi
in secca e fra campagne arse e deserte, seguendo piste chiuse da
muretti le cui pietre sono interamente ricoperte di magnifici licheni
color ruggine. La cosa mi esalta perché questi microrganismi, a
metà fra i regni animale e vegetale, sono quanto di più sensibile
si possa trovare sul nostro pianeta in fatto di inquinamento, dunque
la loro presenza massiccia a queste latitudini implica la pressochè
totale assenza di agenti inquinanti nell'aria.
La pista poi serpeggia fra colline abitate da giganteschi spettri
che allungano i loro rami color della cenere in tutte le direzioni,
quasi volessero imporre la loro austera e antica presenza alle piante
più giovani. Natura che vive e muore dunque, mentre noi col nostro
passaggio rendiamo omaggio ad entrambe.
Attraversiamo paesini di poche case tenute benissimo ma completamente
deserte, i colori pastello attorno a porte e finestre che ci raccontano
una vita che però non vediamo, e beviamo a suggestive fonti con
murales, manovelle e getti verso l'alto talmente potenti da non
permetterci di bere neppure un goccio!
Piste veloci ci conducono fin sulle sponde del Rio Guadiana, un
bel corso d'acqua che serpeggia turchino all'interno del parco omonimo,
finchè alta su una sua ansa scorgiamo la splendida Mertola, candida
e naturalmente sormontata dal suo castello. Grazie alla sua posizione
è stata un importante porto commerciale dal momento che il fiume
sottostante è navigabile fin dall'antichità. Aggirandoci per le
sue strette viuzze in salita si nota l'impronta lasciata dei dominatori
arabi sull'architettura, mentre sotto i nostri piedi giacciono le
rovine dell'antica cittadina romana, visibili per esempio nel grande
foro al centro della hall dell'hotel Museum dove alloggiamo.
Il giorno seguente una lunga ghiaiata ricavata sulla vecchia rotta
di un trenino ci conduce nel cuore delle vecchie miniere di rame
di Sao Domingo; sono naturalmente abbandonate e percorrere a bassa
velocità l'unica strada che le attraversa osservando increduli i
fiumi giallo paglierino o rosso sangue è un'esperienza unica. Aggiriamo
in piedi sulle pedane strane pozze dagli improbabili colori e tendiamo
a trattenere il respiro per il timore che da esse emanino ancora
gas tossici. Arriviamo poi in vista della città mineraria, un tetro
e spettrale insieme di edifici dalle evidenti funzioni estrattive,
e ci spingiamo su una collinetta dalla terra color ruggine per poter
ammirare dall'alto e in silenzio questo posto incredibile.
Per tornare alla pista principale seguiamo una strada diversa e
succede che l'XR finisce in una zona di fanghi così morbidi e profondi
da intrappolarla completamente. Attimi di panico perché anche i
nostri piedi affondano e rischiamo di lasciare gli stivali in quella
melma maleodorante. Ci sforziamo di ritrovare la calma perché sappiamo
bene che possiamo contare solo e soltanto su noi stessi per uscire
da questo pasticcio, così a fatica portiamo almeno le nostre persone
in salvo su una striscia di terreno più solido e da lì ragioniamo
sul da farsi. L'XR sta in piedi da sola, tutto il treno posteriore
inglobato nel fango putrido. Prendiamo delle pietre e le sistemiamo
davanti alla ruota posteriore dopo aver scavato con le mani un buco
nel fango, quindi accendiamo il motore e spingendo e tirando come
matti la facciamo muovere di qualche centimetro. Saranno necessari
cinque interventi dello stesso genere per liberare completamente
la moto, ma alla fine in poco più di dieci minuti possiamo ritenerci
soddisfatti e l'XR viene accompagnata a braccia al di là della zona
infernale! Ora tutto di noi odora di questi gas pestilenziali, le
moto, gli indumenti da enduro ma anche quelli serali dentro agli
zaini, e tale odore ci seguirà ovunque per il resto del viaggio!
Il fragore delle cascate Lupo dall'imponente quantità d'acqua ci
assorda in fondo ad una ripida mulattiera rocciosa e poi via verso
Serpa e la sua festa medievale che accende di fuochi, suoni
e colori folcloristici le stradine buie. Finti combattimentio e
veri banchetti allietano la serata di molti portoghesi accorsi qui
per l'occasione e ben intenzionati a non dormire affatto mentre
noi ci ritiriamo nella nostra tendina per recuperare le energie
indispensabili al proseguimento del viaggio.
Sterrate scorrevoli fra ulivi e qualche sosta per assaporare succulenti
fichi ci tengono compagnia fino ad Amarela e più oltre alla
splendida Monsaraz, arroccata sul cocuzzolo di una delle
colline che movimenta il confine con la Spagna. Le stradine fra
le case basse e le pareti tirate a candida calce ricordano molto
la nostra splendida Alberobello, con la differenza che qui ci sono
pochissime persone e che l'atmosfera è assolutamente tranquilla
e silenziosa. Bellissimi portali in legno lavorato, la piazza con
la maestosa chiesa di Santa Maria di Lagoa, le mura del tredicesimo
secolo e la vista spettacolare sulla vallata fanno di questo paese
una delle sette meraviglie del Portogallo!
Di nuovo nella vallata, seguendo veloci piste fra erba dorata e
alberini radi che ricordano tanto la savana africana, si arriva
a Elvas, le mura della quale disegnano il perimetro di un
poligono con bastioni a stella, fossati e porte che immettono nel
centro storico. Si tratta del sistema difensivo detto "fiammingo"
perché progettato da un ingegnere olandese.
Splendido anche l'acquedotto da Amoreira, lunghissimo, perfettamente
conservato e formato da file di archi sovrapposti fino ad un numero
di quattro per un'altezza davvero imponente!
Una spettacolare strada romana tutta curve in salita ci conduce
fino alla porta di Marvao, che nasce sulla sommità di un
colle da cui si dominano gli altopiani spagnolo e portoghese: cinta
dalle mura del suo favoloso castello, visitabile con appena 1 euro
e 30 e ricco di scale, terrazze, piccoli giardini interni, un'immensa
cisterna ancora piena d'acqua, garitte a strapiombo, mura pedonali,
cannoni arrugginiti, torri e cunicoli, Marvao entra a pieno titolo
nella lista dei candidati a Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco.
Un'altra mulattiera in buonissime condizioni ci conduce nuovamente
verso la vallata e ricompaiono i panorami dei primi giorni, coi
massi di granito chiari sparsi qui e là.
L'arrivo a Monsanto è qualcosa di indimenticabile: per decine
di km si scorge un'altura scura che si erge solitaria e austera
sulla pianura: la si punta, un faro sul mare d'erba dorata, fino
ad arrivare ai suoi piedi. Da qui sotto parte una bellissima mulattiera
incastrata fra massi enormi anneriti da un recente incendio, che
naturalmente ha bruciato e reso uniforme tutta la natura circostante,
rendendo ancor più stravagante questo posto. Ed eccola Monsanto,
splendida e unica, che nasce veramente fra i megaliti! Le sue case
sono state infatti costruite negli spazi lasciati liberi da questi
giganti grigi e sfruttano come muri di supporto proprio il loro
granito. Percorriamo increduli le stradine fra i massi con le nostre
moto, mentre scende la sera e il freddo si fa pungente. Nel punto
più alto del monte si erge un castello imponente e ai suoi piedi
giacciono alcune tombe scavate direttamente nella pietra ai piedi
di una piccola cappella.
Tutta l'area ha un che di sacro e noi veniamo subito catturati dall'atmosfera
dolce e surreale di questo paese incredibile, silenzioso e semideserto.
Lasciarlo costa fatica perché entra veramente nel cuore...
Ancora alcune decine di km e l'avventura si conclude, lasciando
in noi la voglia di tornare in un paese che in più di un'occasione
ci ha letteralmente tolto il fiato!
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