I viaggi di Taddy e Gloria - Home
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I Nostri Viaggi Enduro - Portogallo Enduro - Volta a Portugal Enduro
 
Portogallo Enduro - Volta a Portugal Enduro
Agosto 2013

Devo proprio ammetterlo, da quando abbiamo acquistato il carrello per il trasporto delle moto ci si è aperto un mondo! Grazie proprio alla sua presenza oggi non ci spaventano 2000 km in auto per raggiungere un paese al limite occidentale dell'Europa. Se poi là ci aspettano 3500 km di magnifico off road, non ci resta che iniziare a raccogliere gli ingredienti per questa nostra nuova ricetta estiva a due ruote: un mese di ferie, le nostre ormai storiche moto (un’enduro leggera Honda XR250R ed una trial alpinismo Scorpa TY-S 125 Long ride), bagagli ridotti all'osso e una voglia sfrenata di vestire i panni degli enduristi esploratori... in tre parole, la "Volta a Portugal", uno spettacolare giro ad anello che dal nord ci condurrà prima al centro e poi al sud di questo paese per noi assolutamente sconosciuto!
Due giorni di viaggio e finalmente a Miranda do Douro scarichiamo le moto, ci vestiamo, carichiamo gli zaini, facciamo rifornimento di acqua e sotto un cielo turchino privo di nubi accendiamo impazienti i motori!
Il nord del Portogallo si presenta subito come un labirinto infinito di stradine di terra, erba e roccia: un'estasi di puro godimento enduristico. Nessun divieto, cancello o catena ostacola il nostro procedere; dove sembra finire una pista, ovvero dove da qualsiasi altra parte ci si aspetterebbe un asfalto, qui si giunge su una nuova pista che conduce ad una nuova pista e così via...in un dedalo incantato di piste che rendono l'esplorazione un'esperienza davvero entusiasmante! Tale meraviglioso state di cose affonda però le radici in una realtà dal sapore amaro: questa zona è infatti estremamente povera e vanta il tasso di emigrazione più alto d'Europa. Ciò implica una scarsissima antropizzazione e di conseguenza una non convenienza a costruire ed asfaltare. L'area viene perciò lasciata, intatta, a crogiolarsi nella più totale tranquillità. Gli stessi paesi che incontriamo lungo il nostro peregrinare sono attraversati unicamente da stradine di un antico e chiaro pavé, a splendido coronamento della loro essenza puramente rurale e della loro quasi assoluta lontananza dalla modernità. Attraversandoli si ha la sensazione di tornare indietro di mille anni: i pochi abitanti accorrono sui balconi, scostano le tende alle finestre, si fermano per strada per osservarci...colorati alieni giunti per scherzo a sfilare accanto alle loro quasi eteree esistenze.
Il nome della regione che stiamo attraversando significa letteralmente "oltre la montagna"; grazie alla sua particolare geografia è rimasta isolata nei secoli, neppure i conquistatori romani si spinsero fra queste alture, per cui sono rimasti invariati nel tempo usi, costumi e tradizioni di un popolo che saluta i forestieri con un bellissimo "Benvenuto chiunque tu sia", in un idioma (il "mirandero") del tutto unico e singolare, oggetto di studi ancora oggi.
Grandi fonti e rocciose croci adornano le minuscole piazze, mentre le nostre moto aggiungono un tocco di colore ad una tavolozza occupata quasi esclusivamente dal grigio e dal marrone delle pietre dei muri; abitazioni semplici, strette le une alle altre come persone che, di fronte alla durezza della vita, cercano conforto in un abbraccio.
Nei paesi scopriamo gli espigueiros, granai per lo stoccaggio del mais, incredibili palafitte di roccia granitica che ricordano austeri mausolei, porticine di legno a proteggerne il contenuto e gambe di roccia ad isolare dall'umidità il prezioso cereale. Ce ne sono tantissimi nella graziosa Lamas da Olo.
Nelle campagne scopriamo invece i pozzi di sasso, con un sistema di raccolta dell'acqua rustico e primordiale ma efficientissimo, costituito essenzialmente da tronchi e grosse pietre che fungono da bilancieri.
Percorriamo entusiasti decine di km di piste veloci, attraversando minuscoli villaggi di montagna come Dinè e paesi più grandi dominati da incantevoli castelli perfettamente conservati come Montalegre. Dormiamo in campeggi economici ed impariamo a conoscere le usanze di questo popolo in fatto di cibo: nei bar non si mangia ma si beve soltanto, al limite si trovano gelati confezionati e sacchetti di patatine fritte, mentre nei ristoranti servono in genere un solo piatto come portata unica, solitamente composto da carne o pesce, patate fritte o al forno e altre verdure cotte, il tutto preceduto da un'ottima zuppa bollente, utilissima a reintegrare l'organismo di sali minerali e acqua. Per i portoghesi il pranzo è una cosa molto seria, e li vediamo infatti, spesso soli, a gustare con calma ogni boccone, fino all'immancabile fetta di melone finale.
Ci avviciniamo lentamente alle alture del parco Peneda Geres, finché finalmente una mattina partiamo di buonora e risalendo la montagna ci ritroviamo immersi in un mondo da favola: rocce scure emergono come faraglioni dal mare verde smeraldo delle felci bagnate di rugiada; una coppia di cavallini selvaggi galoppa morbidamente alla nostra sinistra e a parte loro siamo soli in questo mondo perduto. Soffia un vento deciso e talvolta il fischio che produce attraverso le fessure del casco supera il rumore del motore: è bellissimo viaggiare ascoltando il vento e al contempo osservare le chiome degli alberi agitarsi al suo passaggio. Il vento porta le nubi, dietro cui il sole si nasconde spesso capriccioso. Per immortalare il paesaggio trascorriamo lunghi momenti come sospesi nel tempo, in piedi accanto alle nostre moto, in silenzio, la macchina fotografica pronta a scattare, lo sguardo fisso sulla netta linea di confine fra l'ombra e il sole che si avvicina o si allontana.
Più saliamo di quota e più le nubi si abbassano, in breve ci ritroviamo immersi nella nebbia. Purtroppo ci perdiamo la parte più bella del parco ma il nostro viaggio deve proseguire: io vedo solo il sentiero davanti a me e la figura di Taddy che si confonde nel chiarore lattiginoso della nebbia. Presto arriva anche la pioggia, fine e delicata, ma pochi minuti di essa sono sufficienti a bagnarci completamente! Indossiamo le giacche a vento e proseguiamo. Mezz'ora dopo ci consoliamo con una tazza di cioccolata calda alla taverna celta della microscopica Pites das Yunias, poi torniamo in sella sotto la pioggia battente...e sotto lo sguardo di due ragazzini che mi piace stiano pensando che siamo due gagliardi, mentre con tutta probabilità staranno pensando che siamo due dementi...
Bagnati e infreddoliti optiamo per aspettare che il maltempo passi pranzando a Paradela e grazie al cielo la nostra pazienza viene premiata: finalmente il sole fa capolino fra le nubi e presto esse si dissolvono completamente. Così, mentre il mondo torna nuovamente a vestirsi di mille colori brillanti, torniamo di corsa in montagna dove le nostre moto si rincorrono su piste sassose fra enormi pietroni squadrati che da secoli se ne stanno in bilico gli uni sugli altri.
Nel tardo pomeriggio ci attende una magnifica sorpresa: uno splendido ponte romano sul fondo di una profonda gola. Si scende seguendo un'antica e perfettamente tenuta mulattiera: fermiamo le moto sulla sommità del ponte ed osserviamo incantati il letto del fiume che vi scorre sotto, ricco di massi grossi come case: il luogo è davvero magico! La mulattiera prosegue oltre il ponte sul lato opposto della gola, ma noi non abbiamo tempo e lasciamo alle nostre fervide fantasie il compito di rispondere alla fatidica domanda dell'esploratore "Cosa ci sarà dopo la curva?"
Il nostro viaggio prosegue in direzione sud, ma prima di abbandonare le montagne ci godiamo i panorami da alcuni spettacolari crinali eolici, che guadagniamo grazie a sentieri che si sono quasi completamente chiusi fra erba alta e fratture del terreno lasciate da vecchie frane. Il caldo è intenso e ci riposiamo all'ombra di splendidi massi chiari così grandi che le moto appaiono al loro cospetto due piccole formiche.
Dopo diversi km di ghiaiate ci aspetta la discesa, lungo belle mulattiere di pietre fisse e mobili: in piedi sulle pedane danziamo col corpo per far prendere alla moto la traiettoria migliore, dosando gentilmente gas e freni e godendo della perfetta armonia pilota-moto.
Spesso il sentiero pare perdersi nella vegetazione alta, ma noi lenti e testardi ci facciamo largo attraverso essa e quando finalmente la pista nuovamente si apre una bella sgasata rende palpabile la nostra soddisfazione e la gioia di poter proseguire.
Ad un certo punto, dopo esserci arrampicati su un sentiero ripido molto chiuso nella vegetazione e pieno di pietroni, tronchi e buchi, fermiamo le moto sull'irregolare pendenza perché in cima una corda ostacola il passaggio. C'è lì una signora anziana, tutta vestita di nero, ed è stupita... passiamo con prudenza sotto alla corda e nel frattempo si raduna attorno a noi una piccola folla. Una donna ci chiede perché abbiamo scelto quella strada e non la principale, asfaltata, alle sue spalle; le rispondiamo "Perché è comunque una strada, perché si trova su una mappa topografica e perché è più divertente" dice "Sì ma è pericolosa, potete farvi male", "No, queste sono moto fatte apposta..." e le raccontiamo nel nostro magnifico esperanto (un ardito miscuglio di spagnolo, inglese, francese e italiano) il progetto di percorrere off road con le nostre moto, in solitaria e senza alcun supporto esterno, tutto il Portogallo. Ci guardano stravolti e ci domandano "Ma... vincete qualcosa??"
Sul finire della giornata attraversiamo su piste di un bianco accecante il favoloso parco di Alvao, ricco di enormi palle di granito sparse su distese di un verde incantevole oppure perse all'ombra di fitti boschetti. Questa singolare orografia ci tiene compagnia fin dentro il paese di Vila Real, cui si arriva direttamente off road.
Visitiamo quindi sulle due ruote le colline che si sviluppano lungo il corso del fiume Douro, zone incantevoli interamente coltivate a vite; sono i famosi vigneti portoghesi, che daranno vita a vini magnifici come il Porto, i rosati, i tinto e addirittura il vino verde, prodotto con uve acerbe e inaspettatamente dolce, leggero e fruttato. E' splendido attraversare di giorno i vigneti ed assaporare di sera i vini prodotti da quegli stessi lunghissimi filari di vite!
Durante una sosta la nostra attenzione viene attirata da una bevanda che i portoghesi assaporano con gusto: ne prendiamo un bicchiere e scopriamo che si tratta di granita al Porto!! E' squisita ma parecchio forte: sono solo le dieci di mattina e tanto ci basta a farci ripartire allegri come non mai!
Nel pomeriggio percorriamo piste chiuse fra alti muretti di pietra, strette nell'alta erba dorata e serpeggianti fra granitici massi chiari e scuri fino a Trancoso, cinta da mura percorribili a piedi, un occhio a dove si mettono i piedi e un altro ai rossi tetti delle case della parte vecchia del paese. A questa si accede con le moto attraverso spettacolari porte originali nella mura perfettamente conservate e ci divertiamo ad entrare e uscire senza motivo dalle varie porte solo per il gusto di farlo!
Diverse favolose giornate ci attendono in un susseguirsi infinito di piste scorrevoli e panorami sempre diversi: nessuna sensazione di fame sete o fatica, il nastro di terra che si snoda fluido innanzi a noi, il compagno d'avventura là davanti che pare essere perennemente inseguito dalla sua personale nuvoletta di polvere, l'abbigliamento che stranamente non provoca alcun prurito o fastidio, la moto che risponde a meraviglia ai comandi, l'intimo e solitario contatto con la natura circostante. Più di una volta in queste giornate ho sentito la mia mente formulare un preciso pensiero: "Ecco, questo è davvero uno di quei momenti per cui vale la pena vivere..."
Sotto un rado boschetto ci attende anche una meraviglia nella natura degna di essere narrata: una faccia di pietra alta circa due metri così verosimile da sembrare addirittura scolpita dall'uomo mentre è assolutamente naturale! Le giriamo attorno increduli, la fotografiamo da tutte le angolazioni e infine riaccendiamo il motore col cuore gonfio di gratitudine per ciò che stiamo vivendo.
L'aria si scalda mano a mano che scendiamo di quota e che ci avviciniamo alle zone centrali del Portogallo. Stringiamo i denti aumentando sensibilmente il numero delle soste per dissetarci. Quando usciamo dai paesi ci attende un mondo assolutamente immobile nella calura mattutina o pomeridiana: nessun insetto in giro, non una foglia che si muove sui rami, fa talmente caldo che persino la polvere non ha più voglia di sollevarsi! Solo noi due avanziamo a velocità sostenuta, quasi avessimo il diavolo alle calcagna, nel surreale tentativo di lasciarci alle spalle questo inferno, mentre l'aria bollente continua senza tregua a ustionarci la pelle del volto. Il calore è veramente intenso, non abbiamo mai provato nulla di simile: anche se parcheggiamo le moto all'ombra le leve di freno e frizione sono roventi, mani e piedi si gonfiano e dolgono terribilmente, l'aria che ci penetra nei polmoni anzichè donarci refrigerio ci soffoca e sebbene beviamo spesso ci disidratiamo molto velocemente. Guidare una moto da enduro in queste condizioni è davvero tosta, se poi si è impegnati in un'esplorativa che costringe a continui dietro front e sforzi di concentrazione per cercare valide alternative, le cose peggiorano ulteriormente. Dobbiamo per forza trovare una soluzione che ci permetta di arrivare alla meta serale senza distruggerci: è necessario infatti mantenere integre le energie per il resto del viaggio, ancora lungo e incerto. Non potendo fermarci perché ci salterebbero le tappe successive, la soluzione è una sola: l'acqua! Deviamo così diverse volte verso minuscoli villaggi dove cerchiamo ansiosi una fontana, e qui ci immergiamo completamente vestiti nell'acqua fresca e limpida, trascorrendo lunghi minuti a godere dello scorrere del prezioso liquido sotto la pettorina, dentro gli stivali, sui capelli, nei pantaloni... sotto lo sguardo stupito e divertito degli anziani che probabilmente non hanno mai visto una scena simile in vita loro! Così bagnati riprendiamo felici le nostre piste, grondando acqua al nostro passaggio: resistiamo magnificamente alle alte temperature e per una mezz'oretta stiamo belli freschi. Il vento bollente però ci asciuga in fretta e un'ora dopo siamo già completamente asciutti e alla ricerca di un'altra fonte o di un torrente!
Mentre il calore impazza le nostre moto si avventurano su alture ammantate di fitta vegetazione, impegnandosi in lunghi sali-scendi su terribili tagliafuoco dal fondo di sabbia e tronchi. Non so quante volte abbiamo alzato il braccio in segno di vittoria... soprattutto in fondo a discesoni ripidissimi dove si giungeva dopo aver mantenuto diciamo 'un certo stile', ovvero senza essere rotolati a valle come palline impazzite! Anche le infinite salite ripide sono terribili per me, perché anche se prendo una bella rincorsa il piccolo 125 cc si imballa in fretta e con questo caldo rischio ogni volta di fonderlo. Ma grazie al cielo il motorino Yamaha si comporta egregiamente, trasformando questo piccolo trial in una davvero portentosa long ride!
Un'avventura non è tale se non capita qualche imprevisto... e naturalmente la nostra non fa eccezione! Capita così che un insetto entri a velocità sostenuta in un occhio di Taddy procurandogli una fastidiosa congiuntivite. Capita anche che la candela della Scorpa sia così incrostata che i poli entrino in corto circuito. E capita poi che la frizione dell'XR inizi a slittare, dapprima solo alle marce alte e poi anche alle basse se Taddy apre il gas. Il problema si aggrava giorno dopo giorno e ci preoccupa non poco poiché non siamo neanche a metà del giro e perché fra tutti i ricambi che ci siamo portati dietro mancano ovviamente i dischi della frizione. Inoltre il nostro progetto non prevede di attraversare città o paesi grandi a sufficienza da trovarvi un meccanico, e comunque resta il problema che i dischi di un'Honda Dall'Ara non sono facili da recuperare in tempi brevi a Bologna figuriamoci nel bel mezzo del Portogallo! Telefoniamo al nostro caro amico Angelo di Spoleto, trialista endurista ed esperto meccanico, che ci dà suggerimenti preziosi e ci tranquillizza un pochino, offrendosi come sostegno "telefonico" nel caso si debba aprire da noi il motore in mezzo al bosco! Per il momento comunque allentiamo la frizione e procediamo sforzandoci di non farla mai slittare al fine di rallentarne l'inesorabile usura. Cercheremo poi di trovare una soluzione definitiva strada facendo.
Proseguiamo il nostro viaggio e dopo circa 1200 km -quasi tutti off road- ci ritroviamo nel centro del Portogallo, costituito quasi interamente da piccoli appezzamenti di terreno adibiti a pascolo di bovini: i cancelli da aprire e richiudere sono un'infinità, siamo sempre fermi. Ma questo paese ci sorprende ancora una volta: all'improvviso si arriva infatti - inaspettatamente e sempre off road - di fronte ad un complesso megalitico che incanta la mia sete di archelogia. Composti da un solo elemento oppure da un gruppo di menhir disposti a disegnare dei recinti, questi complessi emanano un fascino unico, soprattutto grazie al loro isolamento e all'assenza di turismo di massa. Il Portogallo è ricchissimo di storia, dal giurassico al neolitico, dai celti e dai romani al medioevo... ce n'è davvero per tutti i gusti! Questa mattina per esempio siamo entrati direttamente off road nel castello splendidamente conservato di Arreiolos, mentre ora fermiamo le moto di fronte al complesso neolitico Valle Maria do Meio: su una radura al limitar di un boschetto si erge silenziosa da secoli una quindicina di menhir tondeggianti o allungati, più o meno chiari, disposti in due cerchi che si sfiorano e il cui elemento più alto misura circa tre metri. Ci aggiriamo silenziosi ed incantati fra questi megaliti, innalzati da uomini e donne che ritualizzavano il movimento degli astri, e ci sentiamo piccoli e insignificanti di fronte alle conoscenze che essi avevano dei pianeti e delle stelle che compongono il nostro universo.
Ripartiamo e, poco oltre, un'altra sterrata ci porta nel parcheggio dello splendido recinto di Almendres, un centinaio di menhir disposti sull'asse est-ovest del terreno in declivio di una collina che sovrasta la campagna di Evora. Osservando il complesso dall'alto si possono scorgere tutti i menhir, compresi quelli più lontani, mentre le loro ombre nitide disegnano a terra elissoidi perfetti nella luce del tardo pomeriggio.
Siamo diretti verso la costa ovest e l'oceano ci attende; per raggiungerlo seguiamo sottili piste dal fondo che diventa via via più sabbioso mano a mano che ci si avvicina al mare. La guida sulla sabbia all'inizio spiazza: pare infatti che all'improvviso la moto si animi di vita propria poiché va dove le pare e qualsiasi tentativo di controllarla porta a risultati disastrosi. Si sperimenta allora qualche trucchetto e alla fine la guida diventa puro divertimento! Il segreto sta tutto nell'alleggerire l'anteriore, spostando indietro il peso del corpo e non sforzandosi di voler mantenere una direzione precisa bensì lasciare che la moto decida l'onda giusta di navigazione senza contrastarla, compatibilmente con la larghezza della pista e i vari ostacoli presenti su di essa! Si instaura insomma un gioco di equilibri da mantenere morbidamente, scivolando sui granelli e godendo della sensazione di non avvertire più il contatto, cui si è solitamente abituati, dei tasselli sul terreno. Da evitare assolutamente di staccare i piedi dalle pedane per via delle numerose radici che spuntano dalla sabbia e che potrebbero intrappolare le caviglie con effetti traumatici e disastrosi! Io mi trovo bene nella terza marcia, procedendo ad una velocità di crociera moderata che mi permette di evitare spiacevoli imbarcate.
L'arrivo all'oceano ci delude: per via di una fittissima nebbia infatti non si vede nulla e le poche persone in spiaggia sono avvolte in pesanti giubbotti. Fa un freddo cane! Passeggiamo nell'acqua bassa e gelata delle lunghe onde, sperando che il sole riesca a vincere la cortina umida ma niente: minuscole goccioline continuano a bagnarci e il freddo persiste. Mentre il mare avanza lentamente nella sua marea, riflettiamo sul fatto che questo paese ha davvero un clima strano: nell'interno di giorno fa così caldo che nessuno si azzarda a pranzare all'aperto, preferendo la semioscurità e la frescura dei locali mentre fuori i raggi UV bruciano le retine. Di sera nessuno si azzarda a cenare all'aperto perché fa troppo freddo. Arrivare sull'oceano per noi rappresentava la speranza di trovare finalmente un clima più mite, e invece ci troviamo a dover passare la notte in tenda, intirizziti dal gelo e sotto la pioggia!
Grazie al cielo comunque i giorni successivi la situazione migliora: la nebbia si alza permettendo ai nostri occhi di posarsi su veri angoli di paradiso. La costa ci sorprende con le sue magnifiche spiagge battute da onde spumeggianti. Il clima ora è magnifico: aria calda e vento fresco, un connubio perfetto! In sella alle nostre fide compagne seguiamo una serie di piste alte sul promontorio che sovrasta la costa frastagliata e lo spettacolo della costa ci lascia senza fiato: decine di gioelli di sabbia chiara incastonati nelle pareti di scura roccia a picco. Le spiagge sono lunghissime e selvagge, la mano dell'uomo si è fortunatamente limitata a tracciare strade di terra per giungere al mare, nessuna costruzione permanente e nessun ecomostro rovina la splendida tranquillità di questo angolo di mondo.
Una di queste spiagge ci fa un bel regalo: è la storia che ancora una volta viene a farci l'occhiolino, con le orme di un dinosauro impresse in una roccia appoggiata da millenni sulla sabbia sottostante le abitazioni di Sagres.
Nel frattempo il problema della frizione si è aggravato, così decidiamo che non possiamo aspettare oltre e mettiamo in pratica il nostro piano. Ci aiuta Eduardo, titolare della pensione Das Dunas a Carrapateira: questo magnifico portoghese, mentre io mi riempio le guance delle ghiottonerie più splendide che la sua magnifica colazione a buffet propone, dedica tre ore del suo tempo alla nostra causa, cercando in internet il pezzo che ci occorre, facendo telefonate, imparando qualcosa del mondo delle moto che fino ad allora ignorava completamente, appassionandosi a tal punto da comprare per noi con la sua carta di credito una frizione Honda da un tale che vive in un paese vicino a Lisbona! Come indirizzo per la spedizione optiamo per l'hotel di Tavira, dove contiamo di giungere fra quattro giorni... frizione permettendo!
A Carrapateira ci concediamo il primo giorno di riposo, dopo 1550 km di fuoristrada. Raggiungiamo a piedi la bellissima spiaggia percorrendo 45 minuti di cordoni di dune dorate fino all'incredibile oceano, poi ancora a piedi con calma lungo l'interminabile distesa di sabbia, sfilando accanto a cartelli che scoraggiano il bagno in mare descrivendo la pericolosità delle correnti e osservando incuriositi impavidi serfisti che si lanciano comunque verso le onde spumeggianti.
Di nuovo in sella ci riempiamo ancora gli occhi di spiagge meravigliose fino a Salema; in campeggio ci colleghiamo ad internet e scarichiamo il manuale per la sostituzione della frizione, in attesa di giungere a Tavira.
Ed eccoci tornare verso l'interno ed il suo calore micidiale, per fortuna le piste sono larghe e veloci ma ad ogni modo in un'ora beviamo un litro d'acqua e ne sudiamo 3. Dopo 40 km finiamo la scorta d'acqua e ci troviamo nel bel mezzo del nulla; frugando nello zaino trovo una lattina di Red Bull e la scoliamo in un secondo, litigandocela. Poco dopo un legno s'incastra in maniera magistrale nel mio passacatena e dobbiamo penare non poco col coltellino a serramanico per eliminarlo. Ripartiamo e dopo una curva in discesa l'anteriore mi scivola in una profonda canala dalla quale non riesco ad uscire elegantemente e finisco così vittima della prima caduta del viaggio: proiettata in avanti atterro con i palmi delle mani direttamente sui sassi più maledettamente aguzzi dell'intera penisola iberica.
Quando giungiamo alla meta serale sono sfinita ed ho la gola così secca e la bocca così impastata che non riesco a parlare. Solo dopo essermi spogliata delle protezioni e aver bevuto una decina di litri di bibite e acqua riacquisto la favella e la prima cosa che riesco a dire è: "Però...mica ricamo e cucito..." Un'ora dopo mi ritrovo davvero ago e filo in mano a rammendare i guanti, bucati in diversi punti!
E arriva il giorno in cui la frizione decide che è scoccata la sua ora: l'XR non va più avanti e alla prima salita dobbiamo rinunciare all'off road. Ma dopo qualche km di asfalto, grazie a quella splendida materia che è la fisica e alla sua legge di dilatazione termica dei metalli, la moto riacquista una parvenza di vita e noi si torna tutti felici a macinare km di polvere e sassi! Riprende dunque il progetto che ci conduce attraverso luoghi dimenticati da Dio e dagli uomini, incontrando solo un anziano pastore ossessionato dagli anni che passano ma felicissimo di incontrare in quella landa desolata due anime vive che come lui camminano su due gambe... anzi su due ruote!
Entrare a Tavira con Taddy che sgambetta furiosamente in pianura per starmi dietro è un successo clamoroso! Alla guest house Casa Viana ci attende la busta con la frizione nuova e senza aspettare un minuto di più corriamo a cercare un'officina che ci metta a disposizione l'aria compressa e qualche attrezzo e si parte col lavoro! Si tratta di qualcosa di nuovo per noi, e ci divertiamo a sistemare ogni pezzetto che togliamo in bell'ordine sul bancone di legno per riuscire poi a rimontare tutto nel modo giusto! Scopriamo che ci sono solo 3 decimi di differenza fra ogni disco vecchio e quello nuovo, ma tanto bastava: 3 decimi per 6 dischi fanno quasi 2 mm! Infine... che soddisfazione quando, rialzata la moto e acceso il motore, la frizione stacca correttamente! L'XR è nata a nuova vita e il nostro viaggio può riprendere serenamente!
Prima però ci meritiamo una seconda giornata di riposo, durante la quale ci concediamo un po' di vita di mare sull'isola proprio di fronte a Tavira, una lunghissima e sottilissima lingua di sabbia che si estende in direzione est-ovest e che si raggiunge con una barchetta turistica. Sotto l'ombrellone leggiamo e riposiamo, osservando da lontano i bagnanti impegnati in questa strana vita da vacanzieri... noi fremiamo, sognamo le nostre piste e il rumore del motore, ci emozioniamo ricordando luoghi visti e momenti vissuti off road, ridendo delle disavventure; guardandoci negli occhi facciamo col polso il gesto di "dare gas" sottintendendo un implorante "torniamo in moto??" Detto fatto, riprendiamo il viaggio in direzione nord!
Ci aspetta il lento rientro seguendo da vicino il confine con la Spagna, ingolosito da alcuni dei paesi più belli che abbiamo mai visto in vita nostra!. Lasciatoci alle spalle l'oceano torniamo nell'entroterra, dove corriamo nel letto pietroso di alcuni fiumi in secca e fra campagne arse e deserte, seguendo piste chiuse da muretti le cui pietre sono interamente ricoperte di magnifici licheni color ruggine. La cosa mi esalta perché questi microrganismi, a metà fra i regni animale e vegetale, sono quanto di più sensibile si possa trovare sul nostro pianeta in fatto di inquinamento, dunque la loro presenza massiccia a queste latitudini implica la pressochè totale assenza di agenti inquinanti nell'aria.
La pista poi serpeggia fra colline abitate da giganteschi spettri che allungano i loro rami color della cenere in tutte le direzioni, quasi volessero imporre la loro austera e antica presenza alle piante più giovani. Natura che vive e muore dunque, mentre noi col nostro passaggio rendiamo omaggio ad entrambe.
Attraversiamo paesini di poche case tenute benissimo ma completamente deserte, i colori pastello attorno a porte e finestre che ci raccontano una vita che però non vediamo, e beviamo a suggestive fonti con murales, manovelle e getti verso l'alto talmente potenti da non permetterci di bere neppure un goccio!
Piste veloci ci conducono fin sulle sponde del Rio Guadiana, un bel corso d'acqua che serpeggia turchino all'interno del parco omonimo, finchè alta su una sua ansa scorgiamo la splendida Mertola, candida e naturalmente sormontata dal suo castello. Grazie alla sua posizione è stata un importante porto commerciale dal momento che il fiume sottostante è navigabile fin dall'antichità. Aggirandoci per le sue strette viuzze in salita si nota l'impronta lasciata dei dominatori arabi sull'architettura, mentre sotto i nostri piedi giacciono le rovine dell'antica cittadina romana, visibili per esempio nel grande foro al centro della hall dell'hotel Museum dove alloggiamo.
Il giorno seguente una lunga ghiaiata ricavata sulla vecchia rotta di un trenino ci conduce nel cuore delle vecchie miniere di rame di Sao Domingo; sono naturalmente abbandonate e percorrere a bassa velocità l'unica strada che le attraversa osservando increduli i fiumi giallo paglierino o rosso sangue è un'esperienza unica. Aggiriamo in piedi sulle pedane strane pozze dagli improbabili colori e tendiamo a trattenere il respiro per il timore che da esse emanino ancora gas tossici. Arriviamo poi in vista della città mineraria, un tetro e spettrale insieme di edifici dalle evidenti funzioni estrattive, e ci spingiamo su una collinetta dalla terra color ruggine per poter ammirare dall'alto e in silenzio questo posto incredibile.
Per tornare alla pista principale seguiamo una strada diversa e succede che l'XR finisce in una zona di fanghi così morbidi e profondi da intrappolarla completamente. Attimi di panico perché anche i nostri piedi affondano e rischiamo di lasciare gli stivali in quella melma maleodorante. Ci sforziamo di ritrovare la calma perché sappiamo bene che possiamo contare solo e soltanto su noi stessi per uscire da questo pasticcio, così a fatica portiamo almeno le nostre persone in salvo su una striscia di terreno più solido e da lì ragioniamo sul da farsi. L'XR sta in piedi da sola, tutto il treno posteriore inglobato nel fango putrido. Prendiamo delle pietre e le sistemiamo davanti alla ruota posteriore dopo aver scavato con le mani un buco nel fango, quindi accendiamo il motore e spingendo e tirando come matti la facciamo muovere di qualche centimetro. Saranno necessari cinque interventi dello stesso genere per liberare completamente la moto, ma alla fine in poco più di dieci minuti possiamo ritenerci soddisfatti e l'XR viene accompagnata a braccia al di là della zona infernale! Ora tutto di noi odora di questi gas pestilenziali, le moto, gli indumenti da enduro ma anche quelli serali dentro agli zaini, e tale odore ci seguirà ovunque per il resto del viaggio!
Il fragore delle cascate Lupo dall'imponente quantità d'acqua ci assorda in fondo ad una ripida mulattiera rocciosa e poi via verso Serpa e la sua festa medievale che accende di fuochi, suoni e colori folcloristici le stradine buie. Finti combattimentio e veri banchetti allietano la serata di molti portoghesi accorsi qui per l'occasione e ben intenzionati a non dormire affatto mentre noi ci ritiriamo nella nostra tendina per recuperare le energie indispensabili al proseguimento del viaggio.
Sterrate scorrevoli fra ulivi e qualche sosta per assaporare succulenti fichi ci tengono compagnia fino ad Amarela e più oltre alla splendida Monsaraz, arroccata sul cocuzzolo di una delle colline che movimenta il confine con la Spagna. Le stradine fra le case basse e le pareti tirate a candida calce ricordano molto la nostra splendida Alberobello, con la differenza che qui ci sono pochissime persone e che l'atmosfera è assolutamente tranquilla e silenziosa. Bellissimi portali in legno lavorato, la piazza con la maestosa chiesa di Santa Maria di Lagoa, le mura del tredicesimo secolo e la vista spettacolare sulla vallata fanno di questo paese una delle sette meraviglie del Portogallo!
Di nuovo nella vallata, seguendo veloci piste fra erba dorata e alberini radi che ricordano tanto la savana africana, si arriva a Elvas, le mura della quale disegnano il perimetro di un poligono con bastioni a stella, fossati e porte che immettono nel centro storico. Si tratta del sistema difensivo detto "fiammingo" perché progettato da un ingegnere olandese.
Splendido anche l'acquedotto da Amoreira, lunghissimo, perfettamente conservato e formato da file di archi sovrapposti fino ad un numero di quattro per un'altezza davvero imponente!
Una spettacolare strada romana tutta curve in salita ci conduce fino alla porta di Marvao, che nasce sulla sommità di un colle da cui si dominano gli altopiani spagnolo e portoghese: cinta dalle mura del suo favoloso castello, visitabile con appena 1 euro e 30 e ricco di scale, terrazze, piccoli giardini interni, un'immensa cisterna ancora piena d'acqua, garitte a strapiombo, mura pedonali, cannoni arrugginiti, torri e cunicoli, Marvao entra a pieno titolo nella lista dei candidati a Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco.
Un'altra mulattiera in buonissime condizioni ci conduce nuovamente verso la vallata e ricompaiono i panorami dei primi giorni, coi massi di granito chiari sparsi qui e là.
L'arrivo a Monsanto è qualcosa di indimenticabile: per decine di km si scorge un'altura scura che si erge solitaria e austera sulla pianura: la si punta, un faro sul mare d'erba dorata, fino ad arrivare ai suoi piedi. Da qui sotto parte una bellissima mulattiera incastrata fra massi enormi anneriti da un recente incendio, che naturalmente ha bruciato e reso uniforme tutta la natura circostante, rendendo ancor più stravagante questo posto. Ed eccola Monsanto, splendida e unica, che nasce veramente fra i megaliti! Le sue case sono state infatti costruite negli spazi lasciati liberi da questi giganti grigi e sfruttano come muri di supporto proprio il loro granito. Percorriamo increduli le stradine fra i massi con le nostre moto, mentre scende la sera e il freddo si fa pungente. Nel punto più alto del monte si erge un castello imponente e ai suoi piedi giacciono alcune tombe scavate direttamente nella pietra ai piedi di una piccola cappella.
Tutta l'area ha un che di sacro e noi veniamo subito catturati dall'atmosfera dolce e surreale di questo paese incredibile, silenzioso e semideserto. Lasciarlo costa fatica perché entra veramente nel cuore...
Ancora alcune decine di km e l'avventura si conclude, lasciando in noi la voglia di tornare in un paese che in più di un'occasione ci ha letteralmente tolto il fiato!

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