Da qualche tempo ci
interrogavamo su cosa fare questo Natale, noi che da anni non riusciamo
a stare a casa durante le feste, ansiosi come siamo di andare sempre
alla scoperta di posti nuovi e di nuove emozioni. Poi, grazie al
progetto che proponiamo sul nostro sito di scambio di tracciati
enduro, ecco che ci arrivano una bellissima mappa topografica della
Spagna e alcuni tracciati Gps di traversate enduro nel sud
della Spagna, ognuna delle quali è chiamata dagli enduristi locali
"TransIberica"; ce li invia un ragazzo di Barcellona, David,
che alla domanda "In questi tracciati c'è molto asfalto?" risponde
sarcastico "Mira hombre: nosotros somos gente de off-road!!". La
scintilla esplode: sarà una piccola impresa la nostra! Marito e
moglie, con una leggera moto da enduro (Honda
XR 250 Dall'Ara) ed una leggerissima moto da trial alpinismo
(Scorpa Long Ride 125),
un percorso ad anello che si snoderà fra le province di Mancia,
Murcia e Andalusia, 13 giorni effettivi di viaggio.
Trascorriamo molte ore a studiare il percorso, scambiamo di continuo
e-mail con David per sempre nuovi aggiornamenti circa i tracciati,
osserviamo molte volte le web-cam per controllare l'eventuale presenza
di neve nelle zone che visiteremo. Grazie ad uno studio maniacale
di Taddy sulle mappe, su Google Earth e Google Street View, il giro
si amplia ogni giorno che passa e quando alla fine avrà preso corpo
arriverà a coprire qualcosa come 2000 km, più del 90% off road.
Terminata la fase di progetto, inizia la corsa ai preparativi delle
moto e degli zaini. Alla fine è tutto pronto: siamo elettrizzati!
Partiamo con l'auto e il carrello con le moto sopra, in direzione
delle montagne ad ovest di Valencia; qui lasceremo auto e
carrello in un campeggio e saliremo in sella. Porteremo con noi
il minimo indispensabile: un solo cambio per la sera, qualche calzetto
in più perché contiamo di bagnarci, tenda e sacchi a pelo nel caso
in cui non si trovi alloggio, olio motore, lubrificante catena,
qualche attrezzo, qualche pezzo di ricambio e una decina di barrette
energetiche. Due zainetti sul codino dell'XR ed un terzo sul portapacchi
anteriore costruito da noi, uno zaino in spalla a me. E' tutto,
si dia il via alle danze!
La mattina del 26
dicembre ci svegliamo nel campeggio Kikopark, appena fuori dal paese
di Villargordo del Cabriel; usciamo dalla tenda, siamo ghiacciati,
ci sono 2 gradi sotto zero… capiamo che il viaggio sarà duro! Incuranti
del gelo che ci morde le chiappe ci vestiamo e saliamo sulle moto,
l'avventura può cominciare! Nonostante lo splendido sole soffriamo
molto il freddo; mani e piedi diventano in brevissimo tempo duri
e insensibili, ci fermiamo spesso per scaldarli col gas di scarico.
Per fortuna la varietà e la bellezza del paesaggio ci distraggono
e il terreno, duro e compatto, ci permette di mantenere un'andatura
abbastanza veloce.
Mentre il ghiaccio crocchia sotto i nostri tasselli attraversiamo
distese immense di campi dalla terra color rosso sangue su piste
larghe e dritte, risaliamo canyon dalle variopinte pareti, incrociamo
minuscoli paeselli candidi e deserti, percorriamo stretti sentieri
dal fondo ora d'erba, ora di terra, ora di sassi. Incontriamo solo
qualche cacciatore con i cani e qualche pastore con le pecore, per
il resto siamo soli e immersi in una natura strepitosa. La cosa
che più ci colpisce è che gran parte delle zone che attraversiamo
non è mai interrotta da recinzioni, catene o cancelli: una vera
gioia per gli occhi, la mente e la manopola del gas.
Ad un certo punto, mentre ci siamo appena lasciati alle spalle il
paesino arroccato di Jorquera e percorriamo un canyon roccioso,
Taddy si ferma in prossimità dell'incrocio con una mulattiera che
sale alla nostra sinistra, consulta il Gps e dice: "Ricordati questo
punto, perché se tutto andrà bene fra esattamente 13 giorni chiuderemo
l'anello scendendo proprio questa mula". E' presto per pensarci,
siamo solo al primo giorno, ma sarebbe veramente bellissimo se ciò
si avverasse! Per il momento tiriamo dritto nel canyon.
La prima sera dormiamo in un albergo con garage ad Albacete
dove arriviamo, intirizziti, all'imbrunire. Alcuni passanti si fermano
incuriositi e, indicando la Scorpa, commentano "Sì sì, è una moto
da trial… però è un po' strana… ha la sella"!
Dopo la doccia usciamo a cercare qualcosa da mettere sotto ai denti
e la gente per strada, vestita con piumini e scarponi pesanti, ci
osserva incredula mentre procediamo baldanzosi con ai piedi due
splendide paia di sandali… le scarpe non entravano negli zaini!
Il mattino successivo adottiamo un sistema per proteggere dal freddo
le nostre dita: sacchetti di plastica attorno ai piedi e sopra ai
guanti. Certamente la pelle non respirerà… ma ci consoliamo pensando
che per 13 giorni non succederà nulla! Lo stratagemma funziona e
non ci fermiamo più tanto spesso per scaldarci; il paesaggio assomiglia
a quello di ieri, lunghe piste in campagna con lo sguardo che si
perde sulla linea dell'orizzonte.
Fiancheggiamo lunghi campi di vite con le piante ridotte a bassi
e miseri grovigli scuri, in attesa di lanciare verso il cielo i
loro germogli ad aprile. Poi vediamo avvicinarsi le ombre scure
dei Monti Harinuela, che raggiungiamo e risaliamo percorrendo
piste forestali non interdette al traffico: arriviamo fino a quota
1330 m ed incontriamo neve e ghiaccio. Finché si resta sulla terra
tutto va bene, basta non andare forte e non inclinare troppo le
moto, ma quando arriviamo sull'asfalto sono dolori, specie per l'XR
che ha il tassello da enduro: un bel volo sul ghiaccio senza conseguenze
per Taddy movimenta la mattina! Procediamo
lungo piste ricoperte di neve fresca per quasi un'ora, sul versante
in ombra della montagna, sotto le fronde di decine di alberi ad
alto fusto e guadando alcuni torrenti ghiacciati. Raggiunta una
vallata esposta al sole pranziamo sull'erba con un salamino e delle
fettine di banana disidratata, poi riprendiamo la strada. Il sole
ci tiene sempre compagnia, non riesce ad asciugare i nostri piedi,
fradici negli stivali per i vari torrenti che guadiamo, ma in compenso
scioglie lentamente il ghiaccio e la terra dura si trasforma in
un ammasso informe di fango. La nostra andatura si fa più lenta
ma non importa, la guida sul fango è divertente… finché arriva il
mio turno di movimentare la scena e mi spiattello in curva proprio
sul fango!
Continuiamo fino a buio, su e giù per piccole vallette di terra
rossa e poi attraversando immensi pascoli verdi ricchi di laghetti
azzurri, fino ad Alcaraz, dove dormiamo in un ostello su
una bella piazzetta. Le moto vengono fatte accomodare niente meno
che nella sala del ristorante, dove riempiranno il pavimento fra
i tavoli di acqua e fango sotto lo sguardo impassibile del proprietario!
Il giorno seguente ci attendono altri pascoli vastissimi, seguiti
da enormi distese selvagge su cui spesso incontriamo malinconiche
case diroccate. Sono davvero tantissimi gli incroci con altre piste
di terra che muovono la nostra curiosità: ci piacerebbe esplorarle
tutte ma dobbiamo rimanere fedeli al nostro progetto originario,
così proseguiamo ignorandole. Resto incantata ogni volta che imbocchiamo
con decisione la strada giusta ad ogni incrocio che ci si presenta:
pare che Taddy, che naviga grazie al suo fedele Gps, conosca
questi posti da sempre. Quando spegniamo il motore il silenzio assoluto
ci avvolge e la sensazione è quella di trovarci in mezzo ad un vero
deserto. In diversi momenti riflettiamo che per fortuna siamo con
due moto, poiché se una delle due dovesse restare a piedi sarebbe
un vero problema: le distanze sono esagerate, il paese più vicino
si trova ad ore di marcia e non c'è nessuno in giro a parte noi.
Il terreno si alza gradualmente sotto le nostre gomme e ci ritroviamo
a superare una piccola sierra su piste miste di terra, acqua
e sassi: sono le "coladas", ovvero i torrenti che separano i campi
e che gli spagnoli utilizzano legalmente come vere e proprie strade.
Restare nell'acqua è la soluzione migliore perché le gomme si puliscono
dal fango permettendo andature più allegre. Una bella mulattiera
tutta curve, asciutta e in salita ci conduce su un ampio crinale
erboso, sotto imponenti pale eoliche che ci appaiono splendide alla
luce magica del tramonto imminente.
Questa notte dormiremo vicino ad Almagro, in un bungalow
del campeggio Los Arenales, appendendo calzini e guanti bagnati
alla cappa aspirante della cucina con le piastre elettriche accese
sotto!
Alle prime luci dell'alba usciamo a controllare le moto: uno strato
insistente di ghiaccio le ricopre e usiamo l'acqua calda per sgelare
almeno le selle. La campagna oggi dorme sotto una fitta nebbia e
quando i primi raggi arrivano a tagliare le spesse coltri noi siamo
già in moto: lo spettacolo è affascinante. C'è molta acqua lungo
le piste, guadiamo fin dalle prime ore ampi tratti allagati e quando
ci si para innanzi un punto non superabile in moto, optiamo per
intrufolarci in una bassa condotta che passa sotto la superstrada.
Anche al di là c'è molta acqua ma riusciamo a superarla e a proseguire.
Lasciatoci alle spalle il minuscolo villaggio di Valenzuela de
Calatrava imbocchiamo una larga ghiaiata, i prati ai
lati sono ricoperti da una tenera erba dal colore verde quasi fosforescente,
la nebbia è completamente sparita e fa quasi caldo. Corriamo veloci
e beati quando, improvvisamente, la Scorpa ha dei vuoti, scoppietta,
sussulta e poi si spegne. Segue una lunga sosta forzata per capire
cosa è successo: candela? filtro dell'aria intasato? problema al
carburatore? benzina sporca? Scartata ogni ipotesi, quando la delusione
ci stringe il petto al pensiero che è impossibile trovare una centralina
o uno statore quaggiù e ormai ci stiamo rassegnando a considerare
miseramente fallita la nostra impresa, ecco che, ascoltando bene
i singulti della moto e toccando qua e là le sue parti "vitali",
scopriamo che il fastom di un cavo che arriva alla bobina è lentissimo:
basta una stretta di pinza e la Scorpa riprende vita all'istante,
rombando allegra e disinvolta! Si riparte dunque e se qualcuno ci
avesse visto in quel momento, affiancati, in piedi sulle pedane,
il sorriso stampato in volto mentre con le mani ci battevamo un
bel cinque, avrebbe pensato "quei due devono aver vinto qualche
grossa somma!". La serenità e il sollievo che proviamo nei minuti
successivi sono ancora freschissimi nella nostra mente, l'idea di
non dover gettare al vento ore e ore di lavoro e di occhi crepati
davanti allo schermo del PC è dolcissima.
Superiamo un'altra sierra su piste di pietre ed acqua corrente;
sul culmine della montagna c'è un vasto allevamento con pascoli
a perdita d'occhio. Segue un'altra sierra con tanti torrenti gonfi
da guadare; un po' di asfalto e poi ancora piste, questa volta larghe,
veloci e abbastanza asciutte. Nel tardo pomeriggio ci ritroviamo
a seguire una bella pista sopraelevata che sembra coincidere con
un'antica via ferroviaria e lentamente ci avviciniamo al paese di
Villanueva de Cordoba, dove tra le strette viuzze troviamo
una pensione per la notte; le moto vengono accolte addirittura nella
hall, sotto il banco della reception!
Il mattino successivo ci regala una sorpresa non proprio gradita:
piove. Oltre a tutti gli strati che abbiamo normalmente addosso,
oggi indossiamo anche la giacca antipioggia. A parte il lunghissimo
tempo che impieghiamo per vestirci, il risultato finale è sconvolgente:
sembriamo due abnormi omini Michelin su due moto ridicole, l'XR
schiacciata sotto il peso degli zaini e la Scorpa, snella e magrolina
di suo, sembra più una bicicletta che una moto. Così conciati, mentre
decine di occhi ci seguono sfilare per le vie, ci fermiamo a fare
benzina, ungere le catene, controllare l'olio e poi riprendiamo
le piste del nostro progetto. Incuranti dell'acqua che, arrivando
da sotto e da sopra, ormai fa parte del nostro abbigliamento, seguiamo
divertenti piste fangose strette fra bassi muretti a secco, oltre
i quali grufolano e si rincorrono branchi di maialini infangati.
Come al solito non incontriamo altre persone. Ci fermiamo a pranzare
con tubi di birra e tapas in un bar di Espiel, dove un'orrenda musica
a tutto volume ci fa venire voglia di ripartire sotto il diluvio.
Il primo pomeriggio ci vede salire e scendere lungo belle mulattiere,
mentre nel tardo pomeriggio cerchiamo di spingerci avanti il più
velocemente possibile poiché il panorama si fa decisamente monotono.
Verso l'imbrunire l'acqua stagnante da ore negli stivali rende difficile
cambiare marcia mentre le mani ritornate dure e gelate fanno fatica
a tirare le leve di frizione e freno: guidare diventa una sofferenza
ma per fortuna entriamo nel paesino di Fuente Obijuna, dove
troviamo alloggio presso la pensione Trinidad Agredano Cabezas,
a gestione familiare. Una bella signora andalusa, dalla fluente
chioma corvina e dalla chiacchiera allegra, ci fa sistemare le moto
in un piccolo cortile e fa accomodare due mostri grondanti e puzzolenti
in un piccolo soggiorno. E' allora che la cosa più bella che potessimo
vedere ci si para innanzi: una tavola rotonda con al centro un grande
fornello alimentato a gas, che sparge tutto attorno un fantastico
tepore e sopra la quale sistemare le nostre cose fradice che, sapientemente
disposte, hanno così qualche speranza di asciugarsi! Vano
tentativo il nostro: il mattino dopo piove ancora! Indossare indumenti
bagnati è una delle cose che bisogna provare nella vita: dopo aver
provato questo, ogni volta che indosseremo abiti asciutti sarà un'esperienza
fantastica… Ad ogni modo, anche se si prova fastidio al contatto
con i vestiti bagnati, è un fatto appurato che, appena si sale in
moto, niente conta più della gioia di essere di nuovo in sella.
I motociclisti possono capire queste parole, che senz'altro appariranno
incomprensibili a chi non ha la passione per le due ruote... la
moto dona un senso di libertà unico, ci fa sentire cavalieri dolci
e possenti al tempo stesso, ci dà la sensazione di volare, di sentire
sul volto quel vento che altrimenti non potremmo gustare, ci fa
sentire parte della natura come nessun altro mezzo al mondo. Il
vento, il sole, il freddo, il caldo parlano al motociclista in una
lingua tutta loro ed anche la pioggia ha un modo tutto suo di colloquiare
con noi: in quale altro modo potremmo provare quel leggero dolorino
sulla pelle del volto quando le gocce arrivano a sferzarci? La moto
per il motociclista è tutto un idillio, c'è poco da dire!
E così partiamo e seguiamo un lungo tratto di una "carretera en
mal estado" che a noi enduristi appare molto bella e che segue un
fiume tortuoso, gonfio d'acqua rossastra, tanto da venire da noi
soprannominato il Rio Colorado Andaluso. Lo osserviamo rimpicciolire
sempre più mano a mano che saliamo verso l'alto, finché, tornante
dopo tornante, entriamo nel parco naturale della Sierra Norte.
Il tempo peggiora con il precedere delle ore ed ora siamo anche
immersi nella nebbia, addio panorama. In un paesino facciamo una
sosta per bere una cioccolata fumante, scaldarci e fare un po' di
manutenzione alla Scorpa. Il problema che si presenta oggi è legato
alla catena che, montata nuova prima della partenza, versa già in
condizioni critiche: tirata al massimo risulta infatti troppo lenta
e rischia di saltare giù ad ogni buco; adottiamo una soluzione drastica,
eliminando due maglie. Si riparte.
Due ore e trenta litri d'acqua più tardi ci fermiamo a pranzare
in un bar di El Pedrito; le ottime tapas ci danno l'energia
per affrontare un altro pomeriggio di pioggia. Ghiaiata larga prima
e piste strette poi, risaliamo le pendici di una montagna ricca
di sempreverdi, svalichiamo e quindi scendiamo sul versante opposto;
una volta tornati a valle ci si presentano diversi guadi piuttosto
profondi e dal fondo ora di terra ora di grosse pietre mobili; in
uno di questi Taddy, convinto da me ad assaggiare la profondità
a piedi prima di entrare con la moto, scivola, annaspa e poi precipita
in un buco immergendosi fino al collo!
La pista ora entra in un bosco e le gomme scavalcano ballonzolando
decine di rami a terra; quando usciamo all'aperto ci aspetta una
pista con molto fango poco profondo che ci porta fino all'asfalto.
Dopo qualche minuto su di esso tentiamo di percorrere una nuova
pista ma le ruote della Scorpa si impappinano quasi subito ed il
procedere diventa penoso; pur avendo infatti alzato di qualche centimetro
il parafango anteriore, resta pur sempre una moto da trial e dunque
non adatta al fango. Mi fermo di continuo per togliere grossi pezzi
di fango appiccicoso dalla gomma per riuscire ad avanzare, resto
indietro rispetto all'XR che corre via veloce scodinzolando e nel
frattempo il buio incombe. Fortunatamente siamo ormai nei pressi
di Siviglia, dove giungiamo dopo una decina di chilometri
di asfalto.
Giunti alla periferia della città prendiamo una stanza nel primo
hotel che incontriamo e ci infiliamo in fretta nella vasca dove
un'acqua bollente rilassa i nostri muscoli e rallenta la nostra
attività cerebrale. Quando usciamo sembriamo due zombie ma siamo
felici perché anche oggi abbiamo percorso 164 km, portando avanti
il nostro progetto senza perderci d'animo! E' l'ultimo giorno dell'anno
e scopriamo che gli spagnoli, tutti con nessuna eccezione, amano
passare questa particolare serata in famiglia, questo significa
che non c'è un, dico un, locale aperto dopo le ore 20. All'una di
notte apriranno i disco pub, ma noi a quell'ora contiamo di essere
già immersi in un sonno profondo senza sogni, il problema è trovare
qualcosa che riempia il nostro stomaco ora. Finisce che il nostro
cenone sarà rappresentato da due bocadillos (panini) presso l'unico
piccolo negozio di alimentari che ha tardato a chiudere quei due
minuti sufficienti a noi per entrare e supplicare il proprietario
di darci qualcosa da mangiare!
Al mattino ritiriamo i calzini dalle grate dell'aria calda, dal
momento che non ci sono né termosifoni né stufe elettriche, ci rivestiamo
coi soliti vestiti bagnati e freddi e partiamo in direzione di Granada.
Il Gps ci conduce nelle periferie povere di Siviglia, dove uomini
dai volti segnati tentano di scaldarsi per strada accanto a bidoni
incendiati, l'asfalto sotto le gomme versa in condizioni paurose
e ai lati scorrono baracche che sembrano nascere dalla stessa immondizia
che invade i marciapiedi. Gli uomini si bloccano al nostro passaggio
e ci osservano con sguardi truci, tanto da far nascere in noi il
sospetto che abbiano tutti quanti una voglia matta di fermarci per
derubarci di tutto e così, con un'auto sospetta che ci segue da
diversi minuti e nella furia di lasciare questi posti, finiamo in
una strada senza uscita che porta niente meno che davanti al carcere
di Siviglia! Ridendo fra i denti per l'assurdità della situazione,
imbocchiamo finalmente una cavedagna fangosissima, lungo
la quale incrociamo due cacciatori con fucili che da lontano parevano
banditi, attraversiamo una strana zona di villette servite solo
da una sterrata dai mille profondi buchi ed entriamo in un paesino,
dove un gruppetto di giovani travestiti da puffi sta ancora smaltendo
la sbornia della nottata. Ci inoltriamo su un "camino de tierra"
che però precipita qualche metro più avanti in una recente frana.
Scegliamo allora una ghiaiata poco più a valle e la seguiamo lesti
fino ad una zona industriale; è importante aver studiato a priori
le alternative a tutte le tracce, altrimenti avremmo dovuto a questo
punto ripiegare sull'asfalto. Tentiamo una cavedagna fra i campi
ma io inizio subito ad avere problemi: il fango profondo intrappola
le ruote della Scorpa, io scendo, spingo, tiro, annaspo, sbuffo,
sudo, nuoto fino alla ghiaiata successiva, dove giungo con la moto
che pesa 800 chili e i piedi che ne pesano 50 l'uno!
Altre piste più tranquille ci conducono lungo una vallata dove un
susseguirsi di campi arati un po' monotono ci spinge ancora più
a sud, dove speriamo di trovare un clima più mite e soprattutto
di poter rivedere il sole. A proposito: sta ricominciando a piovere.
La tantissima acqua ed il fango degli ultimi giorni determinano
un'usura notevole anche alla catena dell'XR e durante questa giornata
in particolare ci fermeremo almeno una dozzina di volte per stringerla,
allentarla, ungerla, ristringerla, riallentarla, riungerla. Anche
il tendicatena della Scorpa fa i capricci e resta continuamente
incastrato alla catena, emettendo tonfi sordi ogni volta che accelero
o scalo. Siamo proprio ridotti maluccio, ma andiamo avanti, chi
si ferma è perduto!
Pranzo a base di tapas per interrompere l'umidità che ormai ci è
entrata nelle ossa e poi un altro pomeriggio sotto l'acqua: il paesaggio
scompare nel grigiore e nelle mille gocce che rivestono le nostre
mascherine.
Dopo 240 km, stanchi morti e a buio fatto, raggiungiamo Granada
e troviamo alloggio in un hotel molto bello ed economico; mentre
ci togliamo di dosso i mille strati sudati e bagnati osserviamo
con sguardo languido le palme a bordo piscina del cortile interno…
peccato non poterne usufruire!
Dopo la doccia decidiamo di fare i turisti e ce ne andiamo in autobus
in centro città, dove veniamo allegramente spennati in uno dei mille
ristorantini per turisti che i locali si guardano bene dal frequentare.
L'alba ci accoglie con un cielo grigio ma il fatto che non piove
è già una gioia; uscire da Granada è un'impresa incredibile, mille
semafori tutti ovviamente rossi e lunghissimi e decine di auto guidate
da spagnoli sonnambuli. Finalmente, superato il parcheggio del bellissimo
complesso dell'Alhambra, imbocchiamo una pista forestale
aperta a tutti e risaliamo le pendici di un colle che sovrasta Granada,
passando accanto ad un'antica cisterna per la raccolta dell'acqua
piovana. Nel frattempo spunta anche un bel sole e il nostro umore
migliora col passare dei minuti. Superato un campo da football e
salutati diversi bikers, ci lanciamo per una bellissima pista che
scende e sale su crinali fangosi, circondata da miriadi di cespugli
carichi di fiorellini gialli e viola. I panorami a destra e a sinistra
sono grandiosi: gli edifici di Granada si appoggiano come onde bianche
sui fianchi della montagna e arriviamo a vedere addirittura le cime
innevate della Sierra Nevada. Siamo diretti proprio là: abbiamo
optato per un tracciato diverso da quello di David, che correva
ben più in alto e che in questi giorni giace sotto la neve; lo studio
particolareggiato della zona e la scelta di seguire la pista dove
ora ci troviamo ci ha fatto vedere giusto, la presenza del tassello
a terra ce lo conferma!
Mentre siamo fermi a contemplare le vette, udiamo l'inconfondibile
e bellissimo rombo di moto da enduro e in breve veniamo raggiunti
e circondati da una ventina di enduristi locali: scambio di battute,
foto di rito e poi li guardiamo allontanarsi in piedi sulle loro
colorate due ruote. Proseguiamo su sentieri di terra e roccia che
sfiorano precipizi da brivido e osserviamo incuriositi come la conformazione
del terreno ricordi da vicino quella dei nostri calanchi. Proseguiamo
per altre due ore fra scenari dalla grande bellezza e panorami aperti
come piacciono a noi, fino a giungere su una lunga forestale ghiaiata,
con la quale entriamo a La Peza. Pranziamo in un bar dove
ci servono un piatto di "patè de cerdo", che si rivela
essere un mucchio di ossa ricoperte di uno spesso strato di grasso:
che si mangia? Finisce che tocciamo il pane nel sughetto e dopo
aver speso un sacco di soldi e non aver mangiato praticamente nulla,
riprendiamo le nostre piste di montagna.
Terra e fango ci accompagnano in un sali e scendi divertente fin
dentro un canyon dalle alte pareti rossastre e acqua corrente sul
fondo. Entriamo senza esitazione nel fiume, che rappresenta la nostra
strada, e lo seguiamo per un lunghissimo tratto, spostando il peso
del corpo indietro in modo da alleggerire l'anteriore e "volare"
così sulle pietre immerse nell'acqua. Usciti dal canyon il letto
del fiume si allarga notevolmente e seguiamo una pista molto divertente
di ghiaino scuro che entra ed esce di continuo dal fiume; alla fine
lo abbandoniamo definitivamente per correre su una pista di terra
ancor più divertente, con traiettorie paraboliche per evitare le
gigantesche pozze color arancione che si sono formate con le ultime
piogge. Lunga pista dritta e veloce poi l'asfalto, che ci conduce
al paese di La Calahorra, sovrastato da una collinetta su
cui si erge fiero un piccolo e perfetto castello. Dato che il sole
è già tramontato ed è quasi buio, rimandiamo a domani la visita
al medesimo e ci concentriamo invece sulla ricerca di una stanza.
La troviamo quasi subito all'hotel ristorante Labella, dove gli
ultimi avventori del pranzo stanno salutandosi sulla soglia quando
per noi è vicina l'ora della cena.
Al mattino assistiamo ad una meravigliosa alba: siamo sulle nostre
moto ai piedi del castello, cui si giunge mediante una piccola pista
che parte proprio dal villaggio. In lontananza la neve della Sierra
Nevada si tinge lentamente di rosa e sopra di noi il cielo è finalmente
limpido e privo di nubi! Scattiamo diverse foto e poi riprendiamo
la strada. Sottili piste campestri corrono fra i campi unendo fra
loro diversi piccoli e bianchissimi villaggi, che attraversiamo
sotto lo sguardo interrogativo di alcuni nonni mattinieri. In uno
di essi facciamo benzina, in un secondo facciamo bancomat, in un
terzo restiamo incastrati tra le bancarelle di un mercato ambulante.
Un campo arato di fresco si trova proprio lungo la nostra traccia
e non essendoci alternative lo seguiamo in punta di gomme per scendere
il versante della collina e raggiungere a valle il letto di un fiume
piuttosto vasto; lo seguiamo, col riflesso nell'acqua del sole basso
all'orizzonte che ci acceca e procediamo così a lungo, finché un
salto di cemento ci costringe ad uscire sull'asfalto.
Mangiamo pane e formaggio seduti al sole su una panchina di un villaggio,
mentre tre nonnetti si avvicinano alle moto, punzecchiano coi loro
bastoni le gomme e sbiascicano incomprensibili dialetti spagnoli.
Subito dopo imbocchiamo una splendida forestale di libero accesso:
siamo entrati nel parco della Sierra Nevada! Saliamo di quota ad
ogni tornante mentre alla nostra sinistra si apre un panorama strepitoso,
con l'ampio vallone del fiume seguito poco fa e l'incredibile deserto
di Tabernas con le sue frastagliate montuosità.
Incontriamo un serpente che si scalda al sole della pista e lo seguiamo
con lo sguardo mentre si allontana soffiando fra i cespugli. Iniziamo
quindi la discesa che ci porta in una valle meravigliosa dai rilievi
tinti di rosa, grigio, rosso, giallo ed in canyon rossi che ci ricordano
lo Utah. La pista termina in un fiume, in prossimità di una cascata
che prende il nome di "salto del cavallo", ora cementata e quindi
poco poetica. Torniamo indietro fino ad una deviazione che imbocchiamo
decisi: in breve scendiamo fino ad una valle segnata da un fiume
in cui scorre moltissima acqua, impossibile da percorrere con le
moto. Scegliamo perciò di seguire l'asfalto per un tratto, fino
al punto in cui detto fiume ne incontra un altro, per fortuna in
secca. Il primo, infatti, raccoglie le acque provenienti dalla Sierra
Nevada, mentre il secondo raccoglie quelle del deserto di Tabernas,
uno dei posti più aridi della Spagna se non di tutta Europa. Per
giungere a questo secondo fiume, però, dobbiamo guadare per tre
volte il fiume gonfio, che compie diverse anse proprio in prossimità
della giunzione. I sassi grossi sul fondo e la forte corrente rappresentano
una sfida, che però vinciamo senza troppe cerimonie. Beh ecco… quasi!
Nella realtà dei fatti, devo ammettere che io per poco non atterro
l'XR ferma sulla sponda opposta, che mi trascino dietro Taddy a
mo' di bandiera perché lui mi era venuto accanto per evitare che
la corrente mi portasse via e io continuavo ad accelerare finché
i suoi passi diventavano enormi falcate… insomma, un vero disastro!
Però è stato tutto così divertente che i minuti successivi non riuscivo
a smettere di ridere ripensando alla scena!
Finalmente all'asciutto filiamo via verso il mitico deserto dei
film di Sergio Leone: secondo i nostri piani, infatti, da qui parte
un tracciato che ci dovrebbe condurre fino a Tabernas e noi siamo
qui ora per verificarne la percorribilità.
Il fiume penetra fra strette pareti di terra e roccia, in un susseguirsi
di curve a destra e a sinistra e di incroci con affluenti minori,
dando vita ad un labirinto fantastico che ci divertiamo ad immaginare
dall'alto. Abbandoniamo il fiume per risalire la sommità di una
montagnetta, dove una stazione in disuso riposa coi sue edifici
diroccati su due file di rotaie. Dall'altra parte il sentiero non
è adatto alle moto; i tracciati che abbiamo di questa zona sono
infatti stati trovati in un sito di mountanbike, speravamo che potessero
essere adatti anche a noi ma sapevamo che potevano anche non esserlo.
Torniamo nel fiume e lo seguiamo ancora in direzione ovest: poco
oltre un lungo salitone ripidissimo ci premette di lasciare la valle
scavata dal fiume e ci conduce in alto regalandoci una visione struggente
dell'orografia di quest'area. Una terra chiara cosparsa di cespugli
rotondeggianti forma grandi e piccole colline dal profilo morbido,
mentre in lontananza si erge un'altura più spigolosa che chiude
la valle. Tutto attorno a noi ci sono tantissime piste che si intrecciano
e salgono e scendono dalle alture, si intuisce come gli enduristi
locali trovino divertente venire fin qua con le loro moto. Noi seguiamo
una pista ben marcata e il segno nitido del tassello ci fa ben sperare;
poi però la pista diventa un sentiero sempre più sottile finché,
giunti su una sella, ci rendiamo conto che proseguire diventa pericoloso.
La parete davanti a noi è quasi verticale, il terreno è friabile
e il tassello è sparito. Da qui in avanti si avventurano solo i
piedi o al massimo le sottili gomme di una bicicletta. Tentiamo
furiosamente di trovare valide alternative che ci portino in direzione
di Tabernas, il Gps ci mostra che a poche centinaia di metri in
linea d'aria si trova una pista senza dubbio percorribile, giriamo
come trottole fra diverse piste, studiamo dall'alto la conformazione
del terreno per trovare un possibile passaggio, ma imbocchiamo sempre
piste che terminano nel nulla o che ancora diventano troppe sottili
ed esposte. Sta anche velocemente scendendo il buio e siamo così
costretti ad arrenderci all'evidenza: da questa parte Tabernas non
la raggiungeremo. Torniamo indietro velocemente, fino quasi alla
giunzione dei due fiumi, uscendo però prima dei guadi su un asfalto
a sinistra. Cerchiamo alloggio nel paese più vicino e questo ci
costringe ad una deviazione notevole dal nostro itinerario ideale,
ma non abbiamo molte alternative: avremmo potuto aprire la tenda
da qualche parte, ma è troppa la voglia di mangiare qualcosa di
diverso dalle semplici barrette che abbiamo nello zaino e così entriamo
e usciamo da alcuni paesini dove non c'è alcuna possibilità di dormire,
finché ad Alhama de Almeria troviamo l'hotel San Nicolas
con camere a 40 euro e garage. Finalmente vestiti "civili" usciamo
a comprare qualcosa per la colazione di domani e per concederci
un'ottima cena consolatoria a base di squisite tapas presso il cafè
bar La Nina.
Il
giorno successivo ci vede correre spediti verso l'agognato deserto
di Tabernas, rappresentato da un groviglio di stretti canyon utilizzati
dalla gente del posto come normalissime strade. Ci arriviamo seguendo
il letto di un fiume situato più a ovest rispetto a quello tentato
ieri pomeriggio; la bellezza del paesaggio ci avvolge subito sotto
un cielo limpidissimo. Riusciamo a raggiungere un paio di siti con
ricostruzioni cinematografiche usate da Sergio Leone per i suoi
western all'italiana, sul terreno leggermente rialzato rispetto
al fondo del canyon; presso la prima restiamo delusi dallo scoprire
che un sacco di polistirolo giace a terra alla mercé del vento e
che le facciate delle case versano in condizioni penose. Nei pressi
della seconda invece, circondata da una rete che impedisce di avvicinarci,
restiamo incantati dall'udire aleggiare nell'aria una delle famosissime
musiche di Ennio Morricone: dal momento che il luogo è assolutamente
deserto e che pare non esserci nessuno oltre a noi due nel raggio
di chilometri, la cosa è parecchio suggestiva! Ce la gustiamo tutta
ad occhi chiusi e poi riaccendiamo il motore, altre cavalcate ci
attendono!
Tornati al letto del fiume lo percorriamo veloci ed arriviamo a
Fort Bravo, gli studios veri e propri che organizzano visite guidate
fra saloon, banche, diligenze e sparatorie. Tiriamo dritto e ci
allontaniamo progressivamente dal deserto roccioso in direzione
del mare. Il letto del fiume che seguiamo si fa sempre più sassoso
e la temperatura sale fino al punto che, giunti in un paesino, finalmente
per la prima volta riusciamo a pranzare all'aperto.
Nel pomeriggio percorriamo un asfalto panoramico, che lasciamo però
quasi subito per alcune piste di terra che uniscono diversi gruppetti
isolati di case dalle pareti di un bianco abbagliante; quando arriviamo
su una pista che corre in alto scorgiamo dietro di noi la Sierra
Nevada e il deserto di Tabernas, mentre di fianco a noi campi arati
in pendenza ci incantano con i loro colori sfumati. Una comoda ghiaiata
corre a cengia sul fianco di una serie di colline fino a scendere
in una vasta valle dove ancora percorriamo piste in direzione est.
Sempre off road passiamo accanto ad un magnifico giardino
di agrumi e mentre siamo fermi per scattare alcune foto ci raggiunge
di corsa il proprietario... ops! penserà che gli stiamo rubando
le arance... e invece lui ne raccoglie qualcuna e spontaneamente
ce le dona! Ci racconta che vive un po' qui in Spagna e un po' in
Francia, sotto i Pirenei, dove noleggia moto e camper fuoristrada;
ci scambiamo i biglietti da visita, chissà che non sia la base per
un nuovo progetto off road? Infiliamo i frutti in tasca, ripromettendoci
di mangiarli non appena arriveremo in vista del mare, quindi proseguiamo.
Ci ritroviamo in breve su un vasto altopiano e seguiamo piste di
terra e roccia fino a trovarci di fronte una bella torre che spunta
sulla sommità di un colle coltivato ad insalata, il verde interrotto
da una pista a zig zag che crea una geometria molto fotogenica.
Mezz'ora dopo siamo fermi, i caschi appesi agli specchietti, il
succo dolce delle arance che ci scivola in gola: ai nostri piedi
si stende una campagna rigogliosa, arricchita da alcuni paesini
bianche su alture scure e laggiù, proprio davanti a noi, il nastro
blu del mare! Ci rivestiamo in fretta e riprendiamo la marcia quasi
con ansia, vogliosi di arrivare a vedere da vicino l'immensità del
Mediterraneo; improvvisiamo una serie di piste fino a raggiungere
la strada asfaltata che ci conduce in breve a Mojacar, in
provincia di Almeria. Qui, con la luce del sole che stampa
ombre lunghissime sul suolo, mettiamo finalmente le ruote sulla
sabbia della spiaggia, non frequentata da bagnanti in questa stagione.
Ci spingiamo con le moto fin sulla battigia, dove scendiamo per
contemplare le nostre fedeli compagne che sembrano quasi contrariate
dal fatto di non poter proseguire sull'acqua! E' esaltante: dopo
campagna, montagna, fiumi, neve, ghiaccio, fango e deserto… ora
siamo di fronte al mare!
Il buio avanza veloce e dobbiamo trovare un posto per la notte,
così lasciamo la spiaggia e percorriamo il lungomare fino a Garrucha
de Almeria, dove sistemiamo le moto nel garage dell'hotel Oasis.
Dopo il bagno, Taddy esce per comprare la terza bomboletta di lubrificante
per catene e torna in garage per effettuare un po' di manutenzione
ad entrambe le moto. Quando finisce usciamo per la cena: ristorante
cinese!
Il giorno dopo torniamo nell'entroterra ed attraversiamo una zona
di allevamenti con greggi che invadono la strada; una pista ci porta
a seguire dall'alto un ampio canale asciutto, entro cui è proibito
entrare perché, cita un cartello, sono possibili inondazioni. Qualche
chilometro oltre, però, proprio dentro al canale troviamo due bellissimi
campi da calcio, incorniciati dall'immancabile anello per l'atletica
leggera! SPQS! (Sono Pazzi Questi Spagnoli!). Dopo un breve tratto
di asfalto entriamo in una zona molto bella ma misteriosa: dovrebbe
infatti essere un parco ma troviamo un cartello che sostiene che
la zona è proprietà di una miniera e che è chiusa con catena. In
realtà di catene non c'è ombra e noi entriamo; dovrebbe essere attraversata
da una strada sterrata che invece risulta essere mista cemento e
asfalto ma ormai siamo qui e non ci sono alternative possibili perciò
proseguiamo.
Si sale dapprima una montagna ricca di sempreverdi bassi, poi il
panorama si apre su vette più basse rispetto a noi, quindi si raggiunge
la sommità e qui inizia una sterrata che ci accompagna fino a valle,
dove seguiamo un lunghissimo tratto del letto in secca di un ampio
fiume, con piante grasse ad abbellire le pareti terrose. Restando
dentro al fiume fino all'ultimo entriamo in un paese dove sostiamo
per un pranzo veloce; successivamente ci portiamo verso l'ingresso
di un'area protetta (con nessun divieto di accesso) percorrendo
una pista meravigliosa che si avvicina magicamente alle prime alture
del parco, attraversando campi dalla terra così incredibilmente
bianca che quasi ci acceca.
Infine entriamo nel parco naturale Maria Los Velez, bellissimo,
selvaggio ed enorme: impiegheremo tutto il pomeriggio per attraversarlo
e ci regalerà grandi emozioni e un pizzico di ansia! Iniziamo con
un sali e scendi poco impegnativo e molto appagante che ci permette
di godere appieno degli scenari selvaggi dell'area di riserva. Proseguiamo
per decine di chilometri senza incontrare assolutamente nessuno,
su e giù per valli e sierre, un intrico da sogno di piste e sentieri.
Panorami da urlo su distese di terra multicolore e boschi, un mondo
primordiale di terra e roccia ed un silenzio che ci urla nelle orecchie
quando spegniamo le moto. Neanche un insetto in giro.
Ad un certo punto un dubbio ci assale: da quando non facciamo benzina?
L'ultima volta risale alla mattina, sul mare. Da allora abbiamo
percorso più di 100 chilometri, la Scorpa dovrebbe dunque entrare
in riserva tra poco. D'accordo, abbiamo un tubicino di gomma per
portare un po' di benzina dal serbatoio più capiente dell'XR a quello
della Scorpa… ma l'XR consuma di più e allora… ce la faremo? Decidiamo
di spegnere il motore ogni volta che ci si presenta una discesa
e la cosa risulta anche divertente poiché udiamo solo il vento che
entra di rabbia nel casco e ci sentiamo più a contatto con questa
natura fantastica. Ore dopo usciamo dal parco e approfittiamo dell'unica
presenza umana dell'intero pomeriggio (contadino su trattore) per
informarci circa il benzinaio più vicino; 10 chilometri dopo arriviamo
alla pompa, dove faccio un semplice calcolo e resto di stucco: 160
km con 4 litri = 40 km al litro! Mitica Scorpetta!
C'è una luce splendida sulla campagna e il colore della terra diventa
quasi alieno: ci fermiamo in prossimità di una piramide naturale
che nasce come per incanto sul vasto pianoro e scattiamo alcune
foto mentre le nostre ombre si allungano sempre più ed entrano prepotentemente
in ogni inquadratura. E'
tempo di cercare da dormire, oggi sarà un'impresa. Questa zona non
è affatto turistica e i pochi alberghi che incontriamo trovano tutti
una scusa per non farci fermare. Nel primo ci dicono che il proprietario
è nei campi, che solo lui ha le chiavi e chissà quando torna. Nel
secondo ci viene detto che le stanze non sono pronte e neppure riscaldate
e quindi nulla da fare. Nel terzo torna la storia del proprietario
nei campi. Nel quarto il padrone semplicemente scuote la testa e
non apre bocca. Ormai è buio e siamo stanchissimi, continuiamo ad
entrare e uscire da paesi davvero poco accoglienti e il freddo inizia
a farsi pungente. Finalmente, alle porte di Caravaca de la Cruz,
l'hotel Malena è aperto, ha le stanze pronte, non ha il proprietario
nei campi e ci dà una stanza… peccato che non funzioni il riscaldamento!
Ci sveglieranno a mezzanotte (giuro!) per dirci che l'impianto è
stato riparato! Dato che il ristorante dell'hotel oggi è chiuso,
per cena la soluzione più vicina è rappresentata dall'hotel del
padrone che scuoteva la testa: quando entriamo - siamo gli unici
avventori - alla nostra domanda di poter cenare risponde con una
smorfia che, tradotta, sta per "… se è proprio necessario…". Ci
porta due birre e un piattino di olive e subito ci chiede se vogliamo
altro perché deve chiudere; dopo quindici minuti inizia (giuro!)
a sbuffare rumorosamente e a tamburellare con le dita sul bancone
tenendosi su la testa con l'altra mano. Vabbè, ce ne andiamo a dormire:
d'altra parte sono già le otto e dieci… Come mettiamo piede all'aperto,
tutte le luci si spengono di colpo e la porta viene chiusa a chiave
dall'interno… non si sa mai che questi due cambino idea!
Dato che per trovare da dormire ci siamo allontanati notevolmente
dalle tracce del nostro progetto, questa mattina iniziamo a percorrere
alcune piste che Taddy ha studiato ieri sera per collegarci a quelle
da fare oggi. Guidiamo così lungo comode piste di campagna, passando
vicino a molte vecchie case in grave stato di abbandono; ricominciano
a vedersi i campi di vite incontrati i primi giorni, i frutteti
dagli alberi privi di foglie e la terra di quel bel colore rosso
scuro che ci aveva impressionato dieci giorni fa. Questa terra ci
segue fin dentro un breve canyon, sul fondo del quale leggiamo il
passaggio di altre moto da trial, e poi, quasi di colpo, cede il
passo alla terra grigio chiaro che ci terrà compagnia fino al paese
di Calasparra, dove pranziamo.
Ripresa la strada, ben presto ci incastriamo in una zona un po'
"balorda", ricca di recinti, sbarre e proprietà private che non
lasciano alcuna possibilità di passaggio. Finora ci è andata benissimo,
abbiamo trovato davvero pochi ostacoli al nostro procedere, ci eravamo
abituati alle proprietà private non recintate attraversate da strade
aperte a tutti e ora siamo quasi vinti dallo sconforto… quando ecco
che, anche questa volta, riusciamo a scovare una pista alternativa
che ci porta comunque nella direzione giusta! Felici e accaldati
- la temperatura è meravigliosa in questi giorni - ci esaltiamo
togliendoci le maniche delle giacche e indossando, sebbene per poco
tempo, addirittura i sottili guanti estivi!
Torniamo sulle montagne correndo su piste di terra battuta davvero
panoramiche, poi torniamo a valle e seguiamo il corso di un fiume
gonfio che attraversiamo mediante un piccolo ponte. Di nuovo campagna,
ancora frutteti, quindi un po' di asfalto, poi altre piste fino
ad una statale che ci porta a Hellin, dove dormiamo in un
albergo a tre stelle.
Siamo giunti all'ultimo giorno del nostro viaggio che, essendo un
giro ad anello, ci ripropone oggi panorami ovviamente simili a quelli
dei primi giorni: pale eoliche, sempre più frutteti e viti, piste
dritte in pianura. Due cose rappresentano una novità: un lago dove
dovrebbero esserci dei fenicotteri rosa (noi non li vediamo ma c'è
una famiglia che indica qualche punto lontano sull'acqua) e un mulino
a vento, a ricordarci che questa è la terra di Don Chisciotte e
Sancho Panza, cavalieri erranti un po' fuori di senno che in sella
ai loro ronzini vagavano per il mondo in cerca di avventure... noi
due, insomma!!
Il paese che incontriamo strada facendo, Hoya Gonzalo, ha
una cosa interessante e decidiamo di andare a cercarla: si tratta
di una delle web-cam che abbiamo consultato da casa e quando la
troviamo, appesa al portico di una casetta in periferia, mandiamo
un sms a mia sorella e ai miei genitori dicendo loro di connettersi
alla pagina web.
E mentre arrivano sms del tipo "Vi stiamo vedendo!!", noi ci lanciamo
felici in una specie di balletto, ci sbracciamo, salutiamo, saltiamo,
piroettiamo, facciamo smorfie... quando all'improvviso la porta
della villetta si apre ed esce il proprietario della web-cam! Ci
viene incontro e noi gli spieghiamo che siamo italiani, che stiamo
compiendo "una vuelta en el sud de la Espana por caminos", che i
nostri parenti ci stanno guardando da casa e che la sua telecamera
ci è stata molto utile prima di partire. Tutto soddisfatto lui ci
saluta e se ne va a mangiare qualche tapasitas.
E' ora di riprendere la strada: siamo ancora lontani da Valencia
e vogliamo arrivare prima che il buio ci inghiottisca, così partiamo
decisi, ancora emozionati per il contatto virtuale con i nostri
familiari che si trovano a centinaia di chilometri da qui. Purtroppo
ci imbattiamo quasi subito nei cancelli e nelle recinzioni interminabili
di una nuovissima area militare che praticamente si è impossessata
di tutte le terre qui intorno. La nostra traccia attraversa di netto
l'area chiusa che però risulta assolutamente invalicabile. Giriamo
per un'ora buona sulla lunga pista che corre parallela alla rete
di quella che molti cartelli definiscono "area de intereses por
la difesa nacional" ma non riusciamo mai a trovare un modo per andare
verso la direzione giusta. Stanchi, delusi e affamati, optiamo infine
per prendere una strada asfaltata che permette di lasciarci alle
spalle questa maledetta zona militare, quindi imbocchiamo una pista
che attraversa un'area di addestramento cani, fortunatamente non
recintata e non interdetta alla circolazione, e con essa entriamo
in un anonimo paesino dove pranziamo in un bar.
Pomeriggio piovoso, grigio e freddo: seguiamo piste di campagna
per ore e ore senza come al solito incontrare anima viva, fatta
eccezione per il solito contadino sul solito trattore che arriva
ovviamente mentre sto facendo pipì.
Verso le quattro imbocchiamo una pista erbosa costellata di rocce
bagnate che le gomme scavalcano senza scivolare; procediamo dapprima
in pianura poi lievemente in discesa, quindi, superata una curva,
ci appare davanti una paese arroccato. Non ci possiamo credere…
è proprio Jorquera! Col cuore in gola per l'emozione seguiamo
la pista che si avvicina ad un precipizio, dal bordo del quale possiamo
scorgere il fiume sottostante con le sue incredibili acque color
verde-azzurro. E' un momento magico, siamo felicissimi, stiamo chiudendo
il giro, ancora pochi minuti ed arriveremo al punto in cui Taddy
disse "ricordati"! Dopo alcune foto scendiamo decisamente sulla
pista che nel frattempo si è trasformata in una mulattiera rocciosa…
ed eccoci al mitico incrocio del primo giorno: braccia alzate in
segno di vittoria, possiamo davvero ritenerci soddisfatti! L'impresa
è riuscita, il progetto è stato portato a termine, i "ronzini" si
sono comportati egregiamente, noi abbiamo qualche acciacco ma tutto
sommato siamo ancora interi. E' stata un'esperienza grandiosa, abbiamo
assaggiato diversi tipi di terreno con le più svariate condizioni
meteorologiche, mantenendo ritmi serrati e concedendoci pause sempre
troppo brevi. Un viaggio duro ma davvero molto intenso. Un viaggio
studiato e progettato interamente da noi, ovviamente sulla base
importantissima delle tracce di David che ringraziamo ancora. Una
volta rientrati a casa e avergli scritto che tutto era andato bene,
lui ci ha emozionato rispondendoci, in un simpatico italiano: "Niente
grazie: sarete siempre i benvenuti a la España".
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