I viaggi di Taddy e Gloria - Home
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I Nostri Viaggi Enduro - Spagna Enduro - TransIberica 2010
   
 
 
Spagna Enduro - TransIberica 2010
Dicembre 2010

Da qualche tempo ci interrogavamo su cosa fare questo Natale, noi che da anni non riusciamo a stare a casa durante le feste, ansiosi come siamo di andare sempre alla scoperta di posti nuovi e di nuove emozioni. Poi, grazie al progetto che proponiamo sul nostro sito di scambio di tracciati enduro, ecco che ci arrivano una bellissima mappa topografica della Spagna e alcuni tracciati Gps di traversate enduro nel sud della Spagna, ognuna delle quali è chiamata dagli enduristi locali "TransIberica"; ce li invia un ragazzo di Barcellona, David, che alla domanda "In questi tracciati c'è molto asfalto?" risponde sarcastico "Mira hombre: nosotros somos gente de off-road!!". La scintilla esplode: sarà una piccola impresa la nostra! Marito e moglie, con una leggera moto da enduro (Honda XR 250 Dall'Ara) ed una leggerissima moto da trial alpinismo (Scorpa Long Ride 125), un percorso ad anello che si snoderà fra le province di Mancia, Murcia e Andalusia, 13 giorni effettivi di viaggio. Trascorriamo molte ore a studiare il percorso, scambiamo di continuo e-mail con David per sempre nuovi aggiornamenti circa i tracciati, osserviamo molte volte le web-cam per controllare l'eventuale presenza di neve nelle zone che visiteremo. Grazie ad uno studio maniacale di Taddy sulle mappe, su Google Earth e Google Street View, il giro si amplia ogni giorno che passa e quando alla fine avrà preso corpo arriverà a coprire qualcosa come 2000 km, più del 90% off road. Terminata la fase di progetto, inizia la corsa ai preparativi delle moto e degli zaini. Alla fine è tutto pronto: siamo elettrizzati! Partiamo con l'auto e il carrello con le moto sopra, in direzione delle montagne ad ovest di Valencia; qui lasceremo auto e carrello in un campeggio e saliremo in sella. Porteremo con noi il minimo indispensabile: un solo cambio per la sera, qualche calzetto in più perché contiamo di bagnarci, tenda e sacchi a pelo nel caso in cui non si trovi alloggio, olio motore, lubrificante catena, qualche attrezzo, qualche pezzo di ricambio e una decina di barrette energetiche. Due zainetti sul codino dell'XR ed un terzo sul portapacchi anteriore costruito da noi, uno zaino in spalla a me. E' tutto, si dia il via alle danze!

La mattina del 26 dicembre ci svegliamo nel campeggio Kikopark, appena fuori dal paese di Villargordo del Cabriel; usciamo dalla tenda, siamo ghiacciati, ci sono 2 gradi sotto zero… capiamo che il viaggio sarà duro! Incuranti del gelo che ci morde le chiappe ci vestiamo e saliamo sulle moto, l'avventura può cominciare! Nonostante lo splendido sole soffriamo molto il freddo; mani e piedi diventano in brevissimo tempo duri e insensibili, ci fermiamo spesso per scaldarli col gas di scarico. Per fortuna la varietà e la bellezza del paesaggio ci distraggono e il terreno, duro e compatto, ci permette di mantenere un'andatura abbastanza veloce.
Mentre il ghiaccio crocchia sotto i nostri tasselli attraversiamo distese immense di campi dalla terra color rosso sangue su piste larghe e dritte, risaliamo canyon dalle variopinte pareti, incrociamo minuscoli paeselli candidi e deserti, percorriamo stretti sentieri dal fondo ora d'erba, ora di terra, ora di sassi. Incontriamo solo qualche cacciatore con i cani e qualche pastore con le pecore, per il resto siamo soli e immersi in una natura strepitosa. La cosa che più ci colpisce è che gran parte delle zone che attraversiamo non è mai interrotta da recinzioni, catene o cancelli: una vera gioia per gli occhi, la mente e la manopola del gas.
Ad un certo punto, mentre ci siamo appena lasciati alle spalle il paesino arroccato di Jorquera e percorriamo un canyon roccioso, Taddy si ferma in prossimità dell'incrocio con una mulattiera che sale alla nostra sinistra, consulta il Gps e dice: "Ricordati questo punto, perché se tutto andrà bene fra esattamente 13 giorni chiuderemo l'anello scendendo proprio questa mula". E' presto per pensarci, siamo solo al primo giorno, ma sarebbe veramente bellissimo se ciò si avverasse! Per il momento tiriamo dritto nel canyon.
La prima sera dormiamo in un albergo con garage ad Albacete dove arriviamo, intirizziti, all'imbrunire. Alcuni passanti si fermano incuriositi e, indicando la Scorpa, commentano "Sì sì, è una moto da trial… però è un po' strana… ha la sella"!
Dopo la doccia usciamo a cercare qualcosa da mettere sotto ai denti e la gente per strada, vestita con piumini e scarponi pesanti, ci osserva incredula mentre procediamo baldanzosi con ai piedi due splendide paia di sandali… le scarpe non entravano negli zaini! Il mattino successivo adottiamo un sistema per proteggere dal freddo le nostre dita: sacchetti di plastica attorno ai piedi e sopra ai guanti. Certamente la pelle non respirerà… ma ci consoliamo pensando che per 13 giorni non succederà nulla! Lo stratagemma funziona e non ci fermiamo più tanto spesso per scaldarci; il paesaggio assomiglia a quello di ieri, lunghe piste in campagna con lo sguardo che si perde sulla linea dell'orizzonte.
Fiancheggiamo lunghi campi di vite con le piante ridotte a bassi e miseri grovigli scuri, in attesa di lanciare verso il cielo i loro germogli ad aprile. Poi vediamo avvicinarsi le ombre scure dei Monti Harinuela, che raggiungiamo e risaliamo percorrendo piste forestali non interdette al traffico: arriviamo fino a quota 1330 m ed incontriamo neve e ghiaccio. Finché si resta sulla terra tutto va bene, basta non andare forte e non inclinare troppo le moto, ma quando arriviamo sull'asfalto sono dolori, specie per l'XR che ha il tassello da enduro: un bel volo sul ghiaccio senza conseguenze per Taddy movimenta la mattina! Procediamo lungo piste ricoperte di neve fresca per quasi un'ora, sul versante in ombra della montagna, sotto le fronde di decine di alberi ad alto fusto e guadando alcuni torrenti ghiacciati. Raggiunta una vallata esposta al sole pranziamo sull'erba con un salamino e delle fettine di banana disidratata, poi riprendiamo la strada. Il sole ci tiene sempre compagnia, non riesce ad asciugare i nostri piedi, fradici negli stivali per i vari torrenti che guadiamo, ma in compenso scioglie lentamente il ghiaccio e la terra dura si trasforma in un ammasso informe di fango. La nostra andatura si fa più lenta ma non importa, la guida sul fango è divertente… finché arriva il mio turno di movimentare la scena e mi spiattello in curva proprio sul fango!
Continuiamo fino a buio, su e giù per piccole vallette di terra rossa e poi attraversando immensi pascoli verdi ricchi di laghetti azzurri, fino ad Alcaraz, dove dormiamo in un ostello su una bella piazzetta. Le moto vengono fatte accomodare niente meno che nella sala del ristorante, dove riempiranno il pavimento fra i tavoli di acqua e fango sotto lo sguardo impassibile del proprietario! Il giorno seguente ci attendono altri pascoli vastissimi, seguiti da enormi distese selvagge su cui spesso incontriamo malinconiche case diroccate. Sono davvero tantissimi gli incroci con altre piste di terra che muovono la nostra curiosità: ci piacerebbe esplorarle tutte ma dobbiamo rimanere fedeli al nostro progetto originario, così proseguiamo ignorandole. Resto incantata ogni volta che imbocchiamo con decisione la strada giusta ad ogni incrocio che ci si presenta: pare che Taddy, che naviga grazie al suo fedele Gps, conosca questi posti da sempre. Quando spegniamo il motore il silenzio assoluto ci avvolge e la sensazione è quella di trovarci in mezzo ad un vero deserto. In diversi momenti riflettiamo che per fortuna siamo con due moto, poiché se una delle due dovesse restare a piedi sarebbe un vero problema: le distanze sono esagerate, il paese più vicino si trova ad ore di marcia e non c'è nessuno in giro a parte noi. Il terreno si alza gradualmente sotto le nostre gomme e ci ritroviamo a superare una piccola sierra su piste miste di terra, acqua e sassi: sono le "coladas", ovvero i torrenti che separano i campi e che gli spagnoli utilizzano legalmente come vere e proprie strade. Restare nell'acqua è la soluzione migliore perché le gomme si puliscono dal fango permettendo andature più allegre. Una bella mulattiera tutta curve, asciutta e in salita ci conduce su un ampio crinale erboso, sotto imponenti pale eoliche che ci appaiono splendide alla luce magica del tramonto imminente.
Questa notte dormiremo vicino ad Almagro, in un bungalow del campeggio Los Arenales, appendendo calzini e guanti bagnati alla cappa aspirante della cucina con le piastre elettriche accese sotto!
Alle prime luci dell'alba usciamo a controllare le moto: uno strato insistente di ghiaccio le ricopre e usiamo l'acqua calda per sgelare almeno le selle. La campagna oggi dorme sotto una fitta nebbia e quando i primi raggi arrivano a tagliare le spesse coltri noi siamo già in moto: lo spettacolo è affascinante. C'è molta acqua lungo le piste, guadiamo fin dalle prime ore ampi tratti allagati e quando ci si para innanzi un punto non superabile in moto, optiamo per intrufolarci in una bassa condotta che passa sotto la superstrada. Anche al di là c'è molta acqua ma riusciamo a superarla e a proseguire. Lasciatoci alle spalle il minuscolo villaggio di Valenzuela de Calatrava imbocchiamo una larga ghiaiata, i prati ai lati sono ricoperti da una tenera erba dal colore verde quasi fosforescente, la nebbia è completamente sparita e fa quasi caldo. Corriamo veloci e beati quando, improvvisamente, la Scorpa ha dei vuoti, scoppietta, sussulta e poi si spegne. Segue una lunga sosta forzata per capire cosa è successo: candela? filtro dell'aria intasato? problema al carburatore? benzina sporca? Scartata ogni ipotesi, quando la delusione ci stringe il petto al pensiero che è impossibile trovare una centralina o uno statore quaggiù e ormai ci stiamo rassegnando a considerare miseramente fallita la nostra impresa, ecco che, ascoltando bene i singulti della moto e toccando qua e là le sue parti "vitali", scopriamo che il fastom di un cavo che arriva alla bobina è lentissimo: basta una stretta di pinza e la Scorpa riprende vita all'istante, rombando allegra e disinvolta! Si riparte dunque e se qualcuno ci avesse visto in quel momento, affiancati, in piedi sulle pedane, il sorriso stampato in volto mentre con le mani ci battevamo un bel cinque, avrebbe pensato "quei due devono aver vinto qualche grossa somma!". La serenità e il sollievo che proviamo nei minuti successivi sono ancora freschissimi nella nostra mente, l'idea di non dover gettare al vento ore e ore di lavoro e di occhi crepati davanti allo schermo del PC è dolcissima.
Superiamo un'altra sierra su piste di pietre ed acqua corrente; sul culmine della montagna c'è un vasto allevamento con pascoli a perdita d'occhio. Segue un'altra sierra con tanti torrenti gonfi da guadare; un po' di asfalto e poi ancora piste, questa volta larghe, veloci e abbastanza asciutte. Nel tardo pomeriggio ci ritroviamo a seguire una bella pista sopraelevata che sembra coincidere con un'antica via ferroviaria e lentamente ci avviciniamo al paese di Villanueva de Cordoba, dove tra le strette viuzze troviamo una pensione per la notte; le moto vengono accolte addirittura nella hall, sotto il banco della reception!
Il mattino successivo ci regala una sorpresa non proprio gradita: piove. Oltre a tutti gli strati che abbiamo normalmente addosso, oggi indossiamo anche la giacca antipioggia. A parte il lunghissimo tempo che impieghiamo per vestirci, il risultato finale è sconvolgente: sembriamo due abnormi omini Michelin su due moto ridicole, l'XR schiacciata sotto il peso degli zaini e la Scorpa, snella e magrolina di suo, sembra più una bicicletta che una moto. Così conciati, mentre decine di occhi ci seguono sfilare per le vie, ci fermiamo a fare benzina, ungere le catene, controllare l'olio e poi riprendiamo le piste del nostro progetto. Incuranti dell'acqua che, arrivando da sotto e da sopra, ormai fa parte del nostro abbigliamento, seguiamo divertenti piste fangose strette fra bassi muretti a secco, oltre i quali grufolano e si rincorrono branchi di maialini infangati. Come al solito non incontriamo altre persone. Ci fermiamo a pranzare con tubi di birra e tapas in un bar di Espiel, dove un'orrenda musica a tutto volume ci fa venire voglia di ripartire sotto il diluvio. Il primo pomeriggio ci vede salire e scendere lungo belle mulattiere, mentre nel tardo pomeriggio cerchiamo di spingerci avanti il più velocemente possibile poiché il panorama si fa decisamente monotono. Verso l'imbrunire l'acqua stagnante da ore negli stivali rende difficile cambiare marcia mentre le mani ritornate dure e gelate fanno fatica a tirare le leve di frizione e freno: guidare diventa una sofferenza ma per fortuna entriamo nel paesino di Fuente Obijuna, dove troviamo alloggio presso la pensione Trinidad Agredano Cabezas, a gestione familiare. Una bella signora andalusa, dalla fluente chioma corvina e dalla chiacchiera allegra, ci fa sistemare le moto in un piccolo cortile e fa accomodare due mostri grondanti e puzzolenti in un piccolo soggiorno. E' allora che la cosa più bella che potessimo vedere ci si para innanzi: una tavola rotonda con al centro un grande fornello alimentato a gas, che sparge tutto attorno un fantastico tepore e sopra la quale sistemare le nostre cose fradice che, sapientemente disposte, hanno così qualche speranza di asciugarsi! Vano tentativo il nostro: il mattino dopo piove ancora! Indossare indumenti bagnati è una delle cose che bisogna provare nella vita: dopo aver provato questo, ogni volta che indosseremo abiti asciutti sarà un'esperienza fantastica… Ad ogni modo, anche se si prova fastidio al contatto con i vestiti bagnati, è un fatto appurato che, appena si sale in moto, niente conta più della gioia di essere di nuovo in sella. I motociclisti possono capire queste parole, che senz'altro appariranno incomprensibili a chi non ha la passione per le due ruote... la moto dona un senso di libertà unico, ci fa sentire cavalieri dolci e possenti al tempo stesso, ci dà la sensazione di volare, di sentire sul volto quel vento che altrimenti non potremmo gustare, ci fa sentire parte della natura come nessun altro mezzo al mondo. Il vento, il sole, il freddo, il caldo parlano al motociclista in una lingua tutta loro ed anche la pioggia ha un modo tutto suo di colloquiare con noi: in quale altro modo potremmo provare quel leggero dolorino sulla pelle del volto quando le gocce arrivano a sferzarci? La moto per il motociclista è tutto un idillio, c'è poco da dire!
E così partiamo e seguiamo un lungo tratto di una "carretera en mal estado" che a noi enduristi appare molto bella e che segue un fiume tortuoso, gonfio d'acqua rossastra, tanto da venire da noi soprannominato il Rio Colorado Andaluso. Lo osserviamo rimpicciolire sempre più mano a mano che saliamo verso l'alto, finché, tornante dopo tornante, entriamo nel parco naturale della Sierra Norte. Il tempo peggiora con il precedere delle ore ed ora siamo anche immersi nella nebbia, addio panorama. In un paesino facciamo una sosta per bere una cioccolata fumante, scaldarci e fare un po' di manutenzione alla Scorpa. Il problema che si presenta oggi è legato alla catena che, montata nuova prima della partenza, versa già in condizioni critiche: tirata al massimo risulta infatti troppo lenta e rischia di saltare giù ad ogni buco; adottiamo una soluzione drastica, eliminando due maglie. Si riparte. Due ore e trenta litri d'acqua più tardi ci fermiamo a pranzare in un bar di El Pedrito; le ottime tapas ci danno l'energia per affrontare un altro pomeriggio di pioggia. Ghiaiata larga prima e piste strette poi, risaliamo le pendici di una montagna ricca di sempreverdi, svalichiamo e quindi scendiamo sul versante opposto; una volta tornati a valle ci si presentano diversi guadi piuttosto profondi e dal fondo ora di terra ora di grosse pietre mobili; in uno di questi Taddy, convinto da me ad assaggiare la profondità a piedi prima di entrare con la moto, scivola, annaspa e poi precipita in un buco immergendosi fino al collo!
La pista ora entra in un bosco e le gomme scavalcano ballonzolando decine di rami a terra; quando usciamo all'aperto ci aspetta una pista con molto fango poco profondo che ci porta fino all'asfalto. Dopo qualche minuto su di esso tentiamo di percorrere una nuova pista ma le ruote della Scorpa si impappinano quasi subito ed il procedere diventa penoso; pur avendo infatti alzato di qualche centimetro il parafango anteriore, resta pur sempre una moto da trial e dunque non adatta al fango. Mi fermo di continuo per togliere grossi pezzi di fango appiccicoso dalla gomma per riuscire ad avanzare, resto indietro rispetto all'XR che corre via veloce scodinzolando e nel frattempo il buio incombe. Fortunatamente siamo ormai nei pressi di Siviglia, dove giungiamo dopo una decina di chilometri di asfalto.
Giunti alla periferia della città prendiamo una stanza nel primo hotel che incontriamo e ci infiliamo in fretta nella vasca dove un'acqua bollente rilassa i nostri muscoli e rallenta la nostra attività cerebrale. Quando usciamo sembriamo due zombie ma siamo felici perché anche oggi abbiamo percorso 164 km, portando avanti il nostro progetto senza perderci d'animo! E' l'ultimo giorno dell'anno e scopriamo che gli spagnoli, tutti con nessuna eccezione, amano passare questa particolare serata in famiglia, questo significa che non c'è un, dico un, locale aperto dopo le ore 20. All'una di notte apriranno i disco pub, ma noi a quell'ora contiamo di essere già immersi in un sonno profondo senza sogni, il problema è trovare qualcosa che riempia il nostro stomaco ora. Finisce che il nostro cenone sarà rappresentato da due bocadillos (panini) presso l'unico piccolo negozio di alimentari che ha tardato a chiudere quei due minuti sufficienti a noi per entrare e supplicare il proprietario di darci qualcosa da mangiare!
Al mattino ritiriamo i calzini dalle grate dell'aria calda, dal momento che non ci sono né termosifoni né stufe elettriche, ci rivestiamo coi soliti vestiti bagnati e freddi e partiamo in direzione di Granada. Il Gps ci conduce nelle periferie povere di Siviglia, dove uomini dai volti segnati tentano di scaldarsi per strada accanto a bidoni incendiati, l'asfalto sotto le gomme versa in condizioni paurose e ai lati scorrono baracche che sembrano nascere dalla stessa immondizia che invade i marciapiedi. Gli uomini si bloccano al nostro passaggio e ci osservano con sguardi truci, tanto da far nascere in noi il sospetto che abbiano tutti quanti una voglia matta di fermarci per derubarci di tutto e così, con un'auto sospetta che ci segue da diversi minuti e nella furia di lasciare questi posti, finiamo in una strada senza uscita che porta niente meno che davanti al carcere di Siviglia! Ridendo fra i denti per l'assurdità della situazione, imbocchiamo finalmente una cavedagna fangosissima, lungo la quale incrociamo due cacciatori con fucili che da lontano parevano banditi, attraversiamo una strana zona di villette servite solo da una sterrata dai mille profondi buchi ed entriamo in un paesino, dove un gruppetto di giovani travestiti da puffi sta ancora smaltendo la sbornia della nottata. Ci inoltriamo su un "camino de tierra" che però precipita qualche metro più avanti in una recente frana. Scegliamo allora una ghiaiata poco più a valle e la seguiamo lesti fino ad una zona industriale; è importante aver studiato a priori le alternative a tutte le tracce, altrimenti avremmo dovuto a questo punto ripiegare sull'asfalto. Tentiamo una cavedagna fra i campi ma io inizio subito ad avere problemi: il fango profondo intrappola le ruote della Scorpa, io scendo, spingo, tiro, annaspo, sbuffo, sudo, nuoto fino alla ghiaiata successiva, dove giungo con la moto che pesa 800 chili e i piedi che ne pesano 50 l'uno!
Altre piste più tranquille ci conducono lungo una vallata dove un susseguirsi di campi arati un po' monotono ci spinge ancora più a sud, dove speriamo di trovare un clima più mite e soprattutto di poter rivedere il sole. A proposito: sta ricominciando a piovere.
La tantissima acqua ed il fango degli ultimi giorni determinano un'usura notevole anche alla catena dell'XR e durante questa giornata in particolare ci fermeremo almeno una dozzina di volte per stringerla, allentarla, ungerla, ristringerla, riallentarla, riungerla. Anche il tendicatena della Scorpa fa i capricci e resta continuamente incastrato alla catena, emettendo tonfi sordi ogni volta che accelero o scalo. Siamo proprio ridotti maluccio, ma andiamo avanti, chi si ferma è perduto!
Pranzo a base di tapas per interrompere l'umidità che ormai ci è entrata nelle ossa e poi un altro pomeriggio sotto l'acqua: il paesaggio scompare nel grigiore e nelle mille gocce che rivestono le nostre mascherine.
Dopo 240 km, stanchi morti e a buio fatto, raggiungiamo Granada e troviamo alloggio in un hotel molto bello ed economico; mentre ci togliamo di dosso i mille strati sudati e bagnati osserviamo con sguardo languido le palme a bordo piscina del cortile interno… peccato non poterne usufruire!
Dopo la doccia decidiamo di fare i turisti e ce ne andiamo in autobus in centro città, dove veniamo allegramente spennati in uno dei mille ristorantini per turisti che i locali si guardano bene dal frequentare.
L'alba ci accoglie con un cielo grigio ma il fatto che non piove è già una gioia; uscire da Granada è un'impresa incredibile, mille semafori tutti ovviamente rossi e lunghissimi e decine di auto guidate da spagnoli sonnambuli. Finalmente, superato il parcheggio del bellissimo complesso dell'Alhambra, imbocchiamo una pista forestale aperta a tutti e risaliamo le pendici di un colle che sovrasta Granada, passando accanto ad un'antica cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Nel frattempo spunta anche un bel sole e il nostro umore migliora col passare dei minuti. Superato un campo da football e salutati diversi bikers, ci lanciamo per una bellissima pista che scende e sale su crinali fangosi, circondata da miriadi di cespugli carichi di fiorellini gialli e viola. I panorami a destra e a sinistra sono grandiosi: gli edifici di Granada si appoggiano come onde bianche sui fianchi della montagna e arriviamo a vedere addirittura le cime innevate della Sierra Nevada. Siamo diretti proprio là: abbiamo optato per un tracciato diverso da quello di David, che correva ben più in alto e che in questi giorni giace sotto la neve; lo studio particolareggiato della zona e la scelta di seguire la pista dove ora ci troviamo ci ha fatto vedere giusto, la presenza del tassello a terra ce lo conferma!
Mentre siamo fermi a contemplare le vette, udiamo l'inconfondibile e bellissimo rombo di moto da enduro e in breve veniamo raggiunti e circondati da una ventina di enduristi locali: scambio di battute, foto di rito e poi li guardiamo allontanarsi in piedi sulle loro colorate due ruote. Proseguiamo su sentieri di terra e roccia che sfiorano precipizi da brivido e osserviamo incuriositi come la conformazione del terreno ricordi da vicino quella dei nostri calanchi. Proseguiamo per altre due ore fra scenari dalla grande bellezza e panorami aperti come piacciono a noi, fino a giungere su una lunga forestale ghiaiata, con la quale entriamo a La Peza. Pranziamo in un bar dove ci servono un piatto di "patè de cerdo", che si rivela essere un mucchio di ossa ricoperte di uno spesso strato di grasso: che si mangia? Finisce che tocciamo il pane nel sughetto e dopo aver speso un sacco di soldi e non aver mangiato praticamente nulla, riprendiamo le nostre piste di montagna.
Terra e fango ci accompagnano in un sali e scendi divertente fin dentro un canyon dalle alte pareti rossastre e acqua corrente sul fondo. Entriamo senza esitazione nel fiume, che rappresenta la nostra strada, e lo seguiamo per un lunghissimo tratto, spostando il peso del corpo indietro in modo da alleggerire l'anteriore e "volare" così sulle pietre immerse nell'acqua. Usciti dal canyon il letto del fiume si allarga notevolmente e seguiamo una pista molto divertente di ghiaino scuro che entra ed esce di continuo dal fiume; alla fine lo abbandoniamo definitivamente per correre su una pista di terra ancor più divertente, con traiettorie paraboliche per evitare le gigantesche pozze color arancione che si sono formate con le ultime piogge. Lunga pista dritta e veloce poi l'asfalto, che ci conduce al paese di La Calahorra, sovrastato da una collinetta su cui si erge fiero un piccolo e perfetto castello. Dato che il sole è già tramontato ed è quasi buio, rimandiamo a domani la visita al medesimo e ci concentriamo invece sulla ricerca di una stanza. La troviamo quasi subito all'hotel ristorante Labella, dove gli ultimi avventori del pranzo stanno salutandosi sulla soglia quando per noi è vicina l'ora della cena.
Al mattino assistiamo ad una meravigliosa alba: siamo sulle nostre moto ai piedi del castello, cui si giunge mediante una piccola pista che parte proprio dal villaggio. In lontananza la neve della Sierra Nevada si tinge lentamente di rosa e sopra di noi il cielo è finalmente limpido e privo di nubi! Scattiamo diverse foto e poi riprendiamo la strada. Sottili piste campestri corrono fra i campi unendo fra loro diversi piccoli e bianchissimi villaggi, che attraversiamo sotto lo sguardo interrogativo di alcuni nonni mattinieri. In uno di essi facciamo benzina, in un secondo facciamo bancomat, in un terzo restiamo incastrati tra le bancarelle di un mercato ambulante.
Un campo arato di fresco si trova proprio lungo la nostra traccia e non essendoci alternative lo seguiamo in punta di gomme per scendere il versante della collina e raggiungere a valle il letto di un fiume piuttosto vasto; lo seguiamo, col riflesso nell'acqua del sole basso all'orizzonte che ci acceca e procediamo così a lungo, finché un salto di cemento ci costringe ad uscire sull'asfalto.
Mangiamo pane e formaggio seduti al sole su una panchina di un villaggio, mentre tre nonnetti si avvicinano alle moto, punzecchiano coi loro bastoni le gomme e sbiascicano incomprensibili dialetti spagnoli. Subito dopo imbocchiamo una splendida forestale di libero accesso: siamo entrati nel parco della Sierra Nevada! Saliamo di quota ad ogni tornante mentre alla nostra sinistra si apre un panorama strepitoso, con l'ampio vallone del fiume seguito poco fa e l'incredibile deserto di Tabernas con le sue frastagliate montuosità.
Incontriamo un serpente che si scalda al sole della pista e lo seguiamo con lo sguardo mentre si allontana soffiando fra i cespugli. Iniziamo quindi la discesa che ci porta in una valle meravigliosa dai rilievi tinti di rosa, grigio, rosso, giallo ed in canyon rossi che ci ricordano lo Utah. La pista termina in un fiume, in prossimità di una cascata che prende il nome di "salto del cavallo", ora cementata e quindi poco poetica. Torniamo indietro fino ad una deviazione che imbocchiamo decisi: in breve scendiamo fino ad una valle segnata da un fiume in cui scorre moltissima acqua, impossibile da percorrere con le moto. Scegliamo perciò di seguire l'asfalto per un tratto, fino al punto in cui detto fiume ne incontra un altro, per fortuna in secca. Il primo, infatti, raccoglie le acque provenienti dalla Sierra Nevada, mentre il secondo raccoglie quelle del deserto di Tabernas, uno dei posti più aridi della Spagna se non di tutta Europa. Per giungere a questo secondo fiume, però, dobbiamo guadare per tre volte il fiume gonfio, che compie diverse anse proprio in prossimità della giunzione. I sassi grossi sul fondo e la forte corrente rappresentano una sfida, che però vinciamo senza troppe cerimonie. Beh ecco… quasi! Nella realtà dei fatti, devo ammettere che io per poco non atterro l'XR ferma sulla sponda opposta, che mi trascino dietro Taddy a mo' di bandiera perché lui mi era venuto accanto per evitare che la corrente mi portasse via e io continuavo ad accelerare finché i suoi passi diventavano enormi falcate… insomma, un vero disastro! Però è stato tutto così divertente che i minuti successivi non riuscivo a smettere di ridere ripensando alla scena!
Finalmente all'asciutto filiamo via verso il mitico deserto dei film di Sergio Leone: secondo i nostri piani, infatti, da qui parte un tracciato che ci dovrebbe condurre fino a Tabernas e noi siamo qui ora per verificarne la percorribilità. Il fiume penetra fra strette pareti di terra e roccia, in un susseguirsi di curve a destra e a sinistra e di incroci con affluenti minori, dando vita ad un labirinto fantastico che ci divertiamo ad immaginare dall'alto. Abbandoniamo il fiume per risalire la sommità di una montagnetta, dove una stazione in disuso riposa coi sue edifici diroccati su due file di rotaie. Dall'altra parte il sentiero non è adatto alle moto; i tracciati che abbiamo di questa zona sono infatti stati trovati in un sito di mountanbike, speravamo che potessero essere adatti anche a noi ma sapevamo che potevano anche non esserlo. Torniamo nel fiume e lo seguiamo ancora in direzione ovest: poco oltre un lungo salitone ripidissimo ci premette di lasciare la valle scavata dal fiume e ci conduce in alto regalandoci una visione struggente dell'orografia di quest'area. Una terra chiara cosparsa di cespugli rotondeggianti forma grandi e piccole colline dal profilo morbido, mentre in lontananza si erge un'altura più spigolosa che chiude la valle. Tutto attorno a noi ci sono tantissime piste che si intrecciano e salgono e scendono dalle alture, si intuisce come gli enduristi locali trovino divertente venire fin qua con le loro moto. Noi seguiamo una pista ben marcata e il segno nitido del tassello ci fa ben sperare; poi però la pista diventa un sentiero sempre più sottile finché, giunti su una sella, ci rendiamo conto che proseguire diventa pericoloso. La parete davanti a noi è quasi verticale, il terreno è friabile e il tassello è sparito. Da qui in avanti si avventurano solo i piedi o al massimo le sottili gomme di una bicicletta. Tentiamo furiosamente di trovare valide alternative che ci portino in direzione di Tabernas, il Gps ci mostra che a poche centinaia di metri in linea d'aria si trova una pista senza dubbio percorribile, giriamo come trottole fra diverse piste, studiamo dall'alto la conformazione del terreno per trovare un possibile passaggio, ma imbocchiamo sempre piste che terminano nel nulla o che ancora diventano troppe sottili ed esposte. Sta anche velocemente scendendo il buio e siamo così costretti ad arrenderci all'evidenza: da questa parte Tabernas non la raggiungeremo. Torniamo indietro velocemente, fino quasi alla giunzione dei due fiumi, uscendo però prima dei guadi su un asfalto a sinistra. Cerchiamo alloggio nel paese più vicino e questo ci costringe ad una deviazione notevole dal nostro itinerario ideale, ma non abbiamo molte alternative: avremmo potuto aprire la tenda da qualche parte, ma è troppa la voglia di mangiare qualcosa di diverso dalle semplici barrette che abbiamo nello zaino e così entriamo e usciamo da alcuni paesini dove non c'è alcuna possibilità di dormire, finché ad Alhama de Almeria troviamo l'hotel San Nicolas con camere a 40 euro e garage. Finalmente vestiti "civili" usciamo a comprare qualcosa per la colazione di domani e per concederci un'ottima cena consolatoria a base di squisite tapas presso il cafè bar La Nina.
Il giorno successivo ci vede correre spediti verso l'agognato deserto di Tabernas, rappresentato da un groviglio di stretti canyon utilizzati dalla gente del posto come normalissime strade. Ci arriviamo seguendo il letto di un fiume situato più a ovest rispetto a quello tentato ieri pomeriggio; la bellezza del paesaggio ci avvolge subito sotto un cielo limpidissimo. Riusciamo a raggiungere un paio di siti con ricostruzioni cinematografiche usate da Sergio Leone per i suoi western all'italiana, sul terreno leggermente rialzato rispetto al fondo del canyon; presso la prima restiamo delusi dallo scoprire che un sacco di polistirolo giace a terra alla mercé del vento e che le facciate delle case versano in condizioni penose. Nei pressi della seconda invece, circondata da una rete che impedisce di avvicinarci, restiamo incantati dall'udire aleggiare nell'aria una delle famosissime musiche di Ennio Morricone: dal momento che il luogo è assolutamente deserto e che pare non esserci nessuno oltre a noi due nel raggio di chilometri, la cosa è parecchio suggestiva! Ce la gustiamo tutta ad occhi chiusi e poi riaccendiamo il motore, altre cavalcate ci attendono!
Tornati al letto del fiume lo percorriamo veloci ed arriviamo a Fort Bravo, gli studios veri e propri che organizzano visite guidate fra saloon, banche, diligenze e sparatorie. Tiriamo dritto e ci allontaniamo progressivamente dal deserto roccioso in direzione del mare. Il letto del fiume che seguiamo si fa sempre più sassoso e la temperatura sale fino al punto che, giunti in un paesino, finalmente per la prima volta riusciamo a pranzare all'aperto.
Nel pomeriggio percorriamo un asfalto panoramico, che lasciamo però quasi subito per alcune piste di terra che uniscono diversi gruppetti isolati di case dalle pareti di un bianco abbagliante; quando arriviamo su una pista che corre in alto scorgiamo dietro di noi la Sierra Nevada e il deserto di Tabernas, mentre di fianco a noi campi arati in pendenza ci incantano con i loro colori sfumati. Una comoda ghiaiata corre a cengia sul fianco di una serie di colline fino a scendere in una vasta valle dove ancora percorriamo piste in direzione est. Sempre off road passiamo accanto ad un magnifico giardino di agrumi e mentre siamo fermi per scattare alcune foto ci raggiunge di corsa il proprietario... ops! penserà che gli stiamo rubando le arance... e invece lui ne raccoglie qualcuna e spontaneamente ce le dona! Ci racconta che vive un po' qui in Spagna e un po' in Francia, sotto i Pirenei, dove noleggia moto e camper fuoristrada; ci scambiamo i biglietti da visita, chissà che non sia la base per un nuovo progetto off road? Infiliamo i frutti in tasca, ripromettendoci di mangiarli non appena arriveremo in vista del mare, quindi proseguiamo. Ci ritroviamo in breve su un vasto altopiano e seguiamo piste di terra e roccia fino a trovarci di fronte una bella torre che spunta sulla sommità di un colle coltivato ad insalata, il verde interrotto da una pista a zig zag che crea una geometria molto fotogenica.
Mezz'ora dopo siamo fermi, i caschi appesi agli specchietti, il succo dolce delle arance che ci scivola in gola: ai nostri piedi si stende una campagna rigogliosa, arricchita da alcuni paesini bianche su alture scure e laggiù, proprio davanti a noi, il nastro blu del mare! Ci rivestiamo in fretta e riprendiamo la marcia quasi con ansia, vogliosi di arrivare a vedere da vicino l'immensità del Mediterraneo; improvvisiamo una serie di piste fino a raggiungere la strada asfaltata che ci conduce in breve a Mojacar, in provincia di Almeria. Qui, con la luce del sole che stampa ombre lunghissime sul suolo, mettiamo finalmente le ruote sulla sabbia della spiaggia, non frequentata da bagnanti in questa stagione. Ci spingiamo con le moto fin sulla battigia, dove scendiamo per contemplare le nostre fedeli compagne che sembrano quasi contrariate dal fatto di non poter proseguire sull'acqua! E' esaltante: dopo campagna, montagna, fiumi, neve, ghiaccio, fango e deserto… ora siamo di fronte al mare!
Il buio avanza veloce e dobbiamo trovare un posto per la notte, così lasciamo la spiaggia e percorriamo il lungomare fino a Garrucha de Almeria, dove sistemiamo le moto nel garage dell'hotel Oasis. Dopo il bagno, Taddy esce per comprare la terza bomboletta di lubrificante per catene e torna in garage per effettuare un po' di manutenzione ad entrambe le moto. Quando finisce usciamo per la cena: ristorante cinese!
Il giorno dopo torniamo nell'entroterra ed attraversiamo una zona di allevamenti con greggi che invadono la strada; una pista ci porta a seguire dall'alto un ampio canale asciutto, entro cui è proibito entrare perché, cita un cartello, sono possibili inondazioni. Qualche chilometro oltre, però, proprio dentro al canale troviamo due bellissimi campi da calcio, incorniciati dall'immancabile anello per l'atletica leggera! SPQS! (Sono Pazzi Questi Spagnoli!). Dopo un breve tratto di asfalto entriamo in una zona molto bella ma misteriosa: dovrebbe infatti essere un parco ma troviamo un cartello che sostiene che la zona è proprietà di una miniera e che è chiusa con catena. In realtà di catene non c'è ombra e noi entriamo; dovrebbe essere attraversata da una strada sterrata che invece risulta essere mista cemento e asfalto ma ormai siamo qui e non ci sono alternative possibili perciò proseguiamo. Si sale dapprima una montagna ricca di sempreverdi bassi, poi il panorama si apre su vette più basse rispetto a noi, quindi si raggiunge la sommità e qui inizia una sterrata che ci accompagna fino a valle, dove seguiamo un lunghissimo tratto del letto in secca di un ampio fiume, con piante grasse ad abbellire le pareti terrose. Restando dentro al fiume fino all'ultimo entriamo in un paese dove sostiamo per un pranzo veloce; successivamente ci portiamo verso l'ingresso di un'area protetta (con nessun divieto di accesso) percorrendo una pista meravigliosa che si avvicina magicamente alle prime alture del parco, attraversando campi dalla terra così incredibilmente bianca che quasi ci acceca.
Infine entriamo nel parco naturale Maria Los Velez, bellissimo, selvaggio ed enorme: impiegheremo tutto il pomeriggio per attraversarlo e ci regalerà grandi emozioni e un pizzico di ansia! Iniziamo con un sali e scendi poco impegnativo e molto appagante che ci permette di godere appieno degli scenari selvaggi dell'area di riserva. Proseguiamo per decine di chilometri senza incontrare assolutamente nessuno, su e giù per valli e sierre, un intrico da sogno di piste e sentieri. Panorami da urlo su distese di terra multicolore e boschi, un mondo primordiale di terra e roccia ed un silenzio che ci urla nelle orecchie quando spegniamo le moto. Neanche un insetto in giro.
Ad un certo punto un dubbio ci assale: da quando non facciamo benzina? L'ultima volta risale alla mattina, sul mare. Da allora abbiamo percorso più di 100 chilometri, la Scorpa dovrebbe dunque entrare in riserva tra poco. D'accordo, abbiamo un tubicino di gomma per portare un po' di benzina dal serbatoio più capiente dell'XR a quello della Scorpa… ma l'XR consuma di più e allora… ce la faremo? Decidiamo di spegnere il motore ogni volta che ci si presenta una discesa e la cosa risulta anche divertente poiché udiamo solo il vento che entra di rabbia nel casco e ci sentiamo più a contatto con questa natura fantastica. Ore dopo usciamo dal parco e approfittiamo dell'unica presenza umana dell'intero pomeriggio (contadino su trattore) per informarci circa il benzinaio più vicino; 10 chilometri dopo arriviamo alla pompa, dove faccio un semplice calcolo e resto di stucco: 160 km con 4 litri = 40 km al litro! Mitica Scorpetta!
C'è una luce splendida sulla campagna e il colore della terra diventa quasi alieno: ci fermiamo in prossimità di una piramide naturale che nasce come per incanto sul vasto pianoro e scattiamo alcune foto mentre le nostre ombre si allungano sempre più ed entrano prepotentemente in ogni inquadratura. E' tempo di cercare da dormire, oggi sarà un'impresa. Questa zona non è affatto turistica e i pochi alberghi che incontriamo trovano tutti una scusa per non farci fermare. Nel primo ci dicono che il proprietario è nei campi, che solo lui ha le chiavi e chissà quando torna. Nel secondo ci viene detto che le stanze non sono pronte e neppure riscaldate e quindi nulla da fare. Nel terzo torna la storia del proprietario nei campi. Nel quarto il padrone semplicemente scuote la testa e non apre bocca. Ormai è buio e siamo stanchissimi, continuiamo ad entrare e uscire da paesi davvero poco accoglienti e il freddo inizia a farsi pungente. Finalmente, alle porte di Caravaca de la Cruz, l'hotel Malena è aperto, ha le stanze pronte, non ha il proprietario nei campi e ci dà una stanza… peccato che non funzioni il riscaldamento! Ci sveglieranno a mezzanotte (giuro!) per dirci che l'impianto è stato riparato! Dato che il ristorante dell'hotel oggi è chiuso, per cena la soluzione più vicina è rappresentata dall'hotel del padrone che scuoteva la testa: quando entriamo - siamo gli unici avventori - alla nostra domanda di poter cenare risponde con una smorfia che, tradotta, sta per "… se è proprio necessario…". Ci porta due birre e un piattino di olive e subito ci chiede se vogliamo altro perché deve chiudere; dopo quindici minuti inizia (giuro!) a sbuffare rumorosamente e a tamburellare con le dita sul bancone tenendosi su la testa con l'altra mano. Vabbè, ce ne andiamo a dormire: d'altra parte sono già le otto e dieci… Come mettiamo piede all'aperto, tutte le luci si spengono di colpo e la porta viene chiusa a chiave dall'interno… non si sa mai che questi due cambino idea!
Dato che per trovare da dormire ci siamo allontanati notevolmente dalle tracce del nostro progetto, questa mattina iniziamo a percorrere alcune piste che Taddy ha studiato ieri sera per collegarci a quelle da fare oggi. Guidiamo così lungo comode piste di campagna, passando vicino a molte vecchie case in grave stato di abbandono; ricominciano a vedersi i campi di vite incontrati i primi giorni, i frutteti dagli alberi privi di foglie e la terra di quel bel colore rosso scuro che ci aveva impressionato dieci giorni fa. Questa terra ci segue fin dentro un breve canyon, sul fondo del quale leggiamo il passaggio di altre moto da trial, e poi, quasi di colpo, cede il passo alla terra grigio chiaro che ci terrà compagnia fino al paese di Calasparra, dove pranziamo.
Ripresa la strada, ben presto ci incastriamo in una zona un po' "balorda", ricca di recinti, sbarre e proprietà private che non lasciano alcuna possibilità di passaggio. Finora ci è andata benissimo, abbiamo trovato davvero pochi ostacoli al nostro procedere, ci eravamo abituati alle proprietà private non recintate attraversate da strade aperte a tutti e ora siamo quasi vinti dallo sconforto… quando ecco che, anche questa volta, riusciamo a scovare una pista alternativa che ci porta comunque nella direzione giusta! Felici e accaldati - la temperatura è meravigliosa in questi giorni - ci esaltiamo togliendoci le maniche delle giacche e indossando, sebbene per poco tempo, addirittura i sottili guanti estivi!
Torniamo sulle montagne correndo su piste di terra battuta davvero panoramiche, poi torniamo a valle e seguiamo il corso di un fiume gonfio che attraversiamo mediante un piccolo ponte. Di nuovo campagna, ancora frutteti, quindi un po' di asfalto, poi altre piste fino ad una statale che ci porta a Hellin, dove dormiamo in un albergo a tre stelle.
Siamo giunti all'ultimo giorno del nostro viaggio che, essendo un giro ad anello, ci ripropone oggi panorami ovviamente simili a quelli dei primi giorni: pale eoliche, sempre più frutteti e viti, piste dritte in pianura. Due cose rappresentano una novità: un lago dove dovrebbero esserci dei fenicotteri rosa (noi non li vediamo ma c'è una famiglia che indica qualche punto lontano sull'acqua) e un mulino a vento, a ricordarci che questa è la terra di Don Chisciotte e Sancho Panza, cavalieri erranti un po' fuori di senno che in sella ai loro ronzini vagavano per il mondo in cerca di avventure... noi due, insomma!!
Il paese che incontriamo strada facendo, Hoya Gonzalo, ha una cosa interessante e decidiamo di andare a cercarla: si tratta di una delle web-cam che abbiamo consultato da casa e quando la troviamo, appesa al portico di una casetta in periferia, mandiamo un sms a mia sorella e ai miei genitori dicendo loro di connettersi alla pagina web. E mentre arrivano sms del tipo "Vi stiamo vedendo!!", noi ci lanciamo felici in una specie di balletto, ci sbracciamo, salutiamo, saltiamo, piroettiamo, facciamo smorfie... quando all'improvviso la porta della villetta si apre ed esce il proprietario della web-cam! Ci viene incontro e noi gli spieghiamo che siamo italiani, che stiamo compiendo "una vuelta en el sud de la Espana por caminos", che i nostri parenti ci stanno guardando da casa e che la sua telecamera ci è stata molto utile prima di partire. Tutto soddisfatto lui ci saluta e se ne va a mangiare qualche tapasitas.
E' ora di riprendere la strada: siamo ancora lontani da Valencia e vogliamo arrivare prima che il buio ci inghiottisca, così partiamo decisi, ancora emozionati per il contatto virtuale con i nostri familiari che si trovano a centinaia di chilometri da qui. Purtroppo ci imbattiamo quasi subito nei cancelli e nelle recinzioni interminabili di una nuovissima area militare che praticamente si è impossessata di tutte le terre qui intorno. La nostra traccia attraversa di netto l'area chiusa che però risulta assolutamente invalicabile. Giriamo per un'ora buona sulla lunga pista che corre parallela alla rete di quella che molti cartelli definiscono "area de intereses por la difesa nacional" ma non riusciamo mai a trovare un modo per andare verso la direzione giusta. Stanchi, delusi e affamati, optiamo infine per prendere una strada asfaltata che permette di lasciarci alle spalle questa maledetta zona militare, quindi imbocchiamo una pista che attraversa un'area di addestramento cani, fortunatamente non recintata e non interdetta alla circolazione, e con essa entriamo in un anonimo paesino dove pranziamo in un bar.
Pomeriggio piovoso, grigio e freddo: seguiamo piste di campagna per ore e ore senza come al solito incontrare anima viva, fatta eccezione per il solito contadino sul solito trattore che arriva ovviamente mentre sto facendo pipì.
Verso le quattro imbocchiamo una pista erbosa costellata di rocce bagnate che le gomme scavalcano senza scivolare; procediamo dapprima in pianura poi lievemente in discesa, quindi, superata una curva, ci appare davanti una paese arroccato. Non ci possiamo credere… è proprio Jorquera! Col cuore in gola per l'emozione seguiamo la pista che si avvicina ad un precipizio, dal bordo del quale possiamo scorgere il fiume sottostante con le sue incredibili acque color verde-azzurro. E' un momento magico, siamo felicissimi, stiamo chiudendo il giro, ancora pochi minuti ed arriveremo al punto in cui Taddy disse "ricordati"! Dopo alcune foto scendiamo decisamente sulla pista che nel frattempo si è trasformata in una mulattiera rocciosa… ed eccoci al mitico incrocio del primo giorno: braccia alzate in segno di vittoria, possiamo davvero ritenerci soddisfatti! L'impresa è riuscita, il progetto è stato portato a termine, i "ronzini" si sono comportati egregiamente, noi abbiamo qualche acciacco ma tutto sommato siamo ancora interi. E' stata un'esperienza grandiosa, abbiamo assaggiato diversi tipi di terreno con le più svariate condizioni meteorologiche, mantenendo ritmi serrati e concedendoci pause sempre troppo brevi. Un viaggio duro ma davvero molto intenso. Un viaggio studiato e progettato interamente da noi, ovviamente sulla base importantissima delle tracce di David che ringraziamo ancora. Una volta rientrati a casa e avergli scritto che tutto era andato bene, lui ci ha emozionato rispondendoci, in un simpatico italiano: "Niente grazie: sarete siempre i benvenuti a la España".

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