Da diversi mesi stiamo
portando avanti con passione un progetto a dir poco ambizioso: un
vero e proprio Giro d'Italia
Enduro con le nostre due moto, una enduro leggera e una
trial-alpinismo. Indispensabile a questo fine è lo studio
approfondito delle tappe nelle diverse regioni che attraverseremo,
molte ore sui nostri PC e tantissime ore in sella, a valutare di
persona la fattibilità delle tracce preparate "a tavolino".
Arrivati al Molise, ora dobbiamo studiare i percorsi in Puglia e
Basilicata; due intere settimane di ferie a cavallo delle festività
Natalizie ci permettono di considerare fattibile questo nuovo viaggio
ed è così che partiamo il giorno della Vigilia con
auto e carrello alla volta del sud. Le moto sono pronte da giorni,
gli zaini anche, niente tenda questa volta poichè siamo riusciti
a prenotare alberghi e B&B lungo tutto l'itinerario; pantaloni
e giacche anti-pioggia, qualche barretta energetica d'emergenza,
un litro d'olio motore, spray lubrificante per la catena, qualche
pezzo di ricambio e tanta voglia di partire, di dare gas e di scoprire
nuovi paesaggi, nuovi cibi, nuovi dialetti!
La sera del 24 dicembre
dormiamo sul confine fra Molise e Puglia, in un piccolo hotel situato
lungo una strada provinciale per nulla trafficata e gestito da una
gentilissima coppia di anziani; cena e poi subito a letto perchè
domani contiamo di partire all'alba. La stanzetta è ghiacciata
e presto i nostri respiri condensano in mille goccioline fredde
che non aiutano certo il sonno... inoltre fuori dalla finestra sta
succedendo qualcosa che non ci garba per nulla: piove a dirotto...
iniziamo bene!
Al mattino piove ancora che è uno spettacolo, il terreno
è tutto allagato, il cielo è grigio e basso, fa freddo...
ma noi dobbiamo partire e così facciamo colazione in fretta,
ci vestiamo di tutto punto, indossiamo subito l'abbigliamento anti-pioggia
e tiriamo le moto giù dal carrello. Il padrone dell'hotel
segue tutti i nostri movimenti, ci guarda scuotendo più volte
la testa, ci domanda se siamo proprio intenzionati a partire e alla
fine, vedendoci decisissimi, tutto sconsolato fa un ultimo estremo
tentativo "...ma che c'avete la macchina... ma prendete quella!!!".
Ah ah ah... ridiamo noi da dentro i caschi... e mentre le mascherine
iniziano ad appannarsi tiriamo l'aria delle moto ed ingraniamo la
prima. Si parte: pioggia o no abbiamo un obiettivo da raggiungere!
Poche centinaia di metri di asfalto ed imbocchiamo l'oggi fangosissimo
tratturo Celano-Foggia; enormi pozze invadono la pista ed
in breve abbiamo già i piedi bagnati. Il fango inizia subito
ad aggrapparsi alle ruote e rende difficile e lenta la marcia. Cerchiamo
il più possibile di procedere sull'erba in mezzo o di lato
alla pista nel tentativo di "pulire" i tasselli ma presto
questo stratagemma si rivela inutile. L'unico modo è fermarsi
al centro delle pozze con fondo di roccia e far girare la ruota
posteriore dando gas e tirando il freno, ma come ripartiamo si ricomicia
da capo. Dobbiamo rinunciare spesso e optare per stradine asfaltate,
almeno fino a quando il fondo del tratturo diventa di pietrisco.
Finalmente, anche se continua a piovere, riusciamo a mantenere una
velocità migliore ed arriviamo presto in vista del Tavoliere
delle Puglie e del promontorio del Gargano, nascosto in parte dalla
nebbia.
Sosta per un pranzo veloce a Porto Maggiore, dove il ragazzo
che ci serve ci racconta che anche lui ha una moto da enduro, che
la tira fuori solo per andare al mare... dove però s'annoia
e dunque torna subito indietro!
Al pomeriggio riprendiamo a lottare col fango; decidiamo di togliere
il parafango alla Scorpa perchè è troppo vicino alla
gomma e si impasta subito impedendo alla ruota di girare; fortunatamente
esce un po' di sole così ci sentiamo più allegri!
I panorami non sono degni di particolare nota. Seguiamo alcune ghiaiate
che ci permettono di pulire un po' le gomme e di avanzare più
lesti.
Sul far della sera giungiamo a Lucera, dove abbiamo prenotato
una stanza all'hotel Villa Imperiale, un intero palazzo adibito
ad albergo, all'interno del quale aleggia una terrificante musichetta
natalizia ma anche un buon profumino di pizza cotta nel forno a
legna.
Dopo una bella doccia calda usciamo a fare due passi nel centro
di Lucera; c'è molta gente per strada, le lucine colorate
illuminano ogni angolo, le vetrine dei negozi sono tutte addobbate,
un vento gelido ci fa aumentare sempre più il passo alla
ricerca di un locale in cui trovare un caldo rifugio... ma ahimè
scopriamo che tutti aprono alle otto e trenta... Entriamo così
nella grande Cattedrale, costruita sulle rovine di un'antica moschea,
ne visitiamo il presepe, percorriamo più volte la navata
centrale ammirando gli affreschi e restiamo interi minuti col naso
per aria in contemplazione di un organo davvero mastodontico alloggiato
sul soppalco.
Quindi arriva il momento per una birra ed una pizza, condite con
un'altra terrifcante sequenza di canzoncine natalizie...
Il mattino del 26 partiamo, dopo un'abbondante colazione, alla scoperta
del Subappennino Dauno. Subito incontriamo moltissimo fango,
ma poi ci rilassiamo seguendo una ghiaiata che passa accanto ad
imponenti pale eoliche.
Verso metà mattina, mentre seguiamo una cavedagna sorprendentemente
poco fangosa, Taddy davanti a me fa un volo spettacolare... tanto
che, dopo essermi sincerata che fosse ancora tutto intero, non ho
potuto trattenere le risa fino alle lacrime, dal momento che è
"inciampato" in un grosso cesto di vimini, quello di Cappucetto
Rosso per intenderci... bellissimo!!
Sul finire della mattinata esce un bel sole ed attraversiamo una
zona finalmente graziosa: alla nostra destra corrono infatti file
di morbide colline dalla terra chiara, tanto che potrebbero essere
scambiate tranquillamente per vere dune di sabbia! Ma la gioia dura
poco... la Scorpa infatti inizia ad accusare problemi alla leva
del cambio. Ci fermiamo ad Orsara di Puglia, dove c'è
uno dei migliori ristoranti delle Puglie ma dove il nostro umore
non è al momento quello giusto per questo genere di cose.
Un gentilissimo Antonio ci assiste mentre cerchiamo di analizzare
il problema: la sospettata numero uno è la molla di ritorno
della leva del cambio, dal momento che la leva non ritorna mai nella
posizione centrale; ogni volta che cambio marcia devo muovere leggermente
la leva fino a riportarla al centro, operazione al quanto complessa
dato che nelle moto da trial la leva si trova così distante
dal pedalino che si è costretti ogni volta a sollevare il
piede dall'appoggio, dare un piccolo colpetto alla leva e poi tornare
in appoggio. Finchè sono sull'asfalto si tratta solo di una
seccatura, ma quando mi trovo off road diventa un problema; quando
si affrontano certi tipi di terreno e di difficoltà c'è
bisogno di una moto "pronta", che reagisca istantaneamente
al nostro comando, mentre ora risulta tutto più lento e spesso
capita di ingranare una marcia non desiderata anzichè riportare
semplicemente la leva in posizione centrale. Così non si
va avanti... e siamo solo al secondo giorno di viaggio...
Optiamo, dopo una serie di telefonate ad amici di Foggia, di portare
domani mattina la Scorpa presso un meccanico: a seconda di quello
che ci dirà decideremo il da farsi.
Tutto rimandato al giorno seguente dunque, per ora salutiamo Antonio
e seguendo l'asfalto transitiamo per Troia, dove sostiamo
in una calda trattoria per rifocillare anima e corpo, quindi ripartiamo
in direzione di Lucera, dove giungiamo che il sole sta tramontando.
Alloggiamo nuovamente alla Villa Imperiale, e dopo la doccia torniamo
in centro, in un locale ovviamente diverso da quello di ieri. Due
ragazzi svegli, cordiali e molto disponibili ci regalano una bella
serata e ceniamo molto bene con carne alla griglia ed ottima birra
belga.
Il 27 dicembre ci vede impegnati nell'avvicinamento su asfalto alla
città di Foggia, dove giungiamo verso le dieci. Andiamo
direttamente da Antonio Colecchia, il miglior mecca che potessimo
trovare a Foggia e sono certa non solo! Persona squisita, dopo aver
compreso la nostra situazione ci prende immediatamente in simpatia
e molla qualsiasi lavoro inziato per dedicarsi unicamente a noi!
Pulisce dal fango il motore poi apre il carter sul lato destro,
noi sbirciamo curiosi pensando di trovare frammenti della molla
sparsi qui e là... ed invece la molla è lì,
davanti al nostro naso, nera e lucida, perfettamente integra. Antonio
capisce subito qual'è il reale problema, prendendo fra le
dita un frammento di alluminio: si è rotto il carter, nel
punto in cui una sorta di "vulcanello" di fusione teneva
in sede il perno che si va a collocare al centro della molla; non
essendo più nella sua sede questo perno, la molla non riesce
a tornare nella posizione centrale. Accidenti, il guaio è
addirittura più grave di quello che avevamo pronosticato;
se infatti era impossibile trovare la molla di ricambio - a Foggia
non si trovano pezzi di ricambio, parola di mecca - ora ci troviamo
di fronte ad un'altra spinosa questione: a Foggia nessuno salda
l'alluminio... Come fare dunque? Si richiude tutto e si torna a
Bologna? Fine dell'avventura? Oppure si prosegue scancherando con
la leva che non rientra mai in posizione? Non sia mai detto che
si lascia a piedi un motociclista... Antonio ci stupisce esclamando
senza esitare: "In qualche modo dobbiamo risolvere". Sfida
accettata dunque... via! si parte con la ricerca di un'idea che
sia il più possibile definitiva, senza ricorrere a saldatori.
Nel giro di qualche minuto questo mecca davvero speciale escogita
un modo per sistemare la Scorpa e farci ripartire con il nostro
progetto di viaggio: fora il centro del vulcanello rotto, poi attraverso
il foro situato a fianco, dove passa il perno della leva del cambio,
fa passare un filo di ferro con incollato in cima un dado, attraverso
il foro centrale al vulcanello fa passare una vite dopo aver naturalmente
filettato il carter nello stesso punto, sistema un secondo dado
esternamente e dentro di esso alloggia un perno più lungo
rispetto all'originale, affinchè vada in battuta sulla parete
del carter quando lo andrà a chiudere. L'idea è geniale
ma la procedura per concretizzarla è lunghissima e delicata
e deve essere portata avanti con una precisione quasi centesimale.
Infatti, dopo quasi sei ore ininterrotte di lavoro - Antonio non
si è allontanato dalla mia moto praticamente mai, non ha
nè bevuto nè mangiato nulla - i primi due tentativi
risultano non precisi, per via dell'allineamento non perfetto del
perno. Ma Antonio non si perde certo d'animo e con la sua grinta
pacata, la passione e la determinazione che ne completano il carattere,
alla fine ottiene il risultato sperato e finalmente si richiude
il carter, si rimette l'olio e si prova la moto per una Foggia ormai
buia. Sono infatti trascore ben otto ore da quando Antonio ci ha
detto che potevamo contare sul suo aiuto... noi siamo felici come
bambini e restiamo allibiti dalla cifra veramente bassa che Antonio
ci chiede per un'intera giornata di lavoro!! Mitico mecca, non ti
scorderemo mai... averne di meccanici così anche a Bologna...
dove l'unica soluzione che siamo certi ci avrebbero prospettato
sarebbe stata quella di sostituire l'intero carter, se non addirittura
la moto!!!
Un abbraccio affettuoso ad Antonio ed una stretta di mano alla decina
di persone occorse per curiosare o dare una mano... e siamo pronti
per una bella serata serena coi nostri amici foggiani! Grandi risate
e spassosi racconti intorno ad una tavola riccamente imbandita in
nostro onore, un'ospitalità clamorosa, momenti sinceramente
impagabili!!
La mattina del 28 dicembre ci vede in marcia su fangosissimi tratti
di campagna; dobbiamo rinunciare spesso e tornare indietro, ma fortunatamente
splende un magnifico sole anche se la temperatura resta molto bassa.
Siamo letteralmente ricoperti di fango, noi e le moto: i colori
di sella, serbatoio e abbigliamento si celano ormai sotto uno spesso
strato di fanghiglia marrone, i guanti scivolano sulle manopole,
gli stivali scivolano sulle pedane, il sedere scivola sulla sella,
le gomme scivolano sul terreno. In un paesino una signora anziana
dice al nostro passaggio: "Ma quei due sono andati a fare la
guerra?"... e perchè mai... siamo solo un pochino infangati
signora, ah ah ah...
Pranziamo in un anonimo bar a Rionero in Volture, vicino
a Venosa, dove mi straffogo di cornetti caldi alla nutella,
da urlo! Quando ripartiamo, un signore ride: "Ma quelle non
sono moto... sono rottami!!"... Poco dopo, mentre facciamo
rifornimento alle moto, un altro signore ci guarda perplesso e poi
chiede: "Se vi attacco l'aratro... mi andate ad arare il campo??"
Nel pomeriggio, poi, un ragazzetto ciccione si ferma davanti alla
Scorpa e, con la bocca tutta storta, inorridito dice: "...sta
cosa fa schifo..."... ehi ragazzi, ora basta coi complimenti,
altrimenti ci montiamo la testa!!!!!
Nel pomeriggio le piste si fanno più scorrevoli e grazie
al cielo incontriamo qualche bella mulattierina rocciosa. Verso
le sedici e trenta, quando il cielo si sta lentamente tingendo di
un rosso spettacolare, entriamo nella piccola e graziosa Spinazzola,
dove il gentilissimo gestore del bar Saraceno ci apre la porta di
fronte al bar stesso... e fa accomodare i nostri ronzini direttamente
in casa! Che bello dormire con le moto di fianco!
Dopo la doccia usciamo a passeggiare per le stradine della parte
vecchia del paese, tutti stretti nelle nostre giacche a vento, perdendoci
apposta fra i vicoli... e ritrovandoci comunque sempre di fronte
al fotografo! Birrozza in un bel pub poi ottima cena al bar Saraceno,
con spaghetti agli scampi davvero speciali.
Al mattino, quando ancora il sole non è comparso all'orizzonte,
mentre ci prepariamo per partire il gestore del bar ci fa una proposta:
essere intervistati per il sito spinazzola.online.it che lui stesso
gestisce. E perchè no... per noi è una novità,
e se può servire a far capire alla gente che l'enduro può
rappresentare anche una forma di turismo per questi paesi, ci sentiamo
utili oltre che lusingati! Così parliamo, raccontiamo e scherziamo
davanti alla telecamera mentre finiamo di vestirci, poi accendiamo
le moto (per fortuna la Scorpa, che fa sempre una fatica micidiale
a partire quando è fredda, oggi non fa troppe storie) e partiamo
dando qualche sgasatina, come espressamente richiestoci dal piccolo
pubblico che si è raccolto nel frattempo intorno a noi!
Si parte dunque, sotto un cielo che si fa progressivamente più
chiaro, ed incontriamo subito belle ghiaiate scorrevoli. Ci avviciniamo
ad un lago che costeggiamo seguendo tracce di altri enduristi ed
osservando incantati le colline specchiarsi in modo molto nitido
sulla superficie calmissima dell'acqua. Lasciatoci alle spalle il
lago proseguiamo in direzione del confine con la Basilicata, regione
che ci accoglie con un'immensa distesa di campi coltivati a perdita
d'occhio, adagiati su un numero infinito di morbide colline solcate
da belle piste, sul fondo delle quali si legge il passaggio continuo
dei mezzi agricoli. Questa campagna è cosparsa di una miriade
di casette tutte assolutamente identiche, a due piani, con un balconcino
ed un portichetto, tutte rigorosamente abbandonate. E' incredibile,
non sembra vero, queste case sono davvero tutte identiche, sembrano
fatte con uno stampino; ci proponiamo di chiedere spiegazioni al
primo paese che incontreremo e nel frattempo apriamo il gas e ci
divertiamo fra mille curve e mille drittoni in salita e in discesa.
Lungo il percorso veniamo superati da due enduristi che corrono
come matti, manco avessero il diavolo alle calcagna... ma li perdoniamo
perchè comprendiamo che quasi sicuramente si stanno allenando
per qualche gara; questa zona si presta infatti molto bene a questo
genere di sport, poichè essendo praticamente disabitata non
si corre il rischio di disturbare anima viva! Li incontriamo di
nuovo dieci minuti dopo, all'unico bar di Taccone, dove scambiamo
due chiacchiere con il barista e naturalemnete anche coi "colleghi".
I due sono di Andria e si scusano per non averci salutato
in pista e per averci superato così frettolosamente; il barista
invece ci racconta che le case che abbiamo visto sono state costruite
durante il governo De Gasperi, nel dopoguerra, per la campagna di
Riforma Fondiaria che toglieva i terreni ai latifondisti per consegnarli
ai contadini. Ma aggiunge anche che ora sono tutte abbandonate perchè
la gente della Basilicata, se non la si tiene sotto mira col fucile,
non fa quello che le si chiede di fare. Restiamo perplessi nell'udire
tale dura affermazione, domandandoci naturalmente dove stia la verità
in questa faccenda e valutando comunque che non deve essere semplice
vivere in luoghi così isolati ai giorni nostri. Considerate
che noi abbiamo impiegato quasi due ore per arrivare fino a qui,
ovvero al primo centro abitato; là in mezzo non c'è
veramente nulla, solo campi coltivati e basta. Sfido chiunque, fucile
o no, a vivere là oggi. Ovviamente i contadini hanno preferito
trasferirsi nei centri abitati dove almeno c'è un qualche
sentore di vita, di comunità, di società, e poi si
recano a lavorare i campi come veri e propri pendolari. Forse in
un futuro, al momento ancora lontano, ci sarà un ritorno
alla campagna, una sorta di fuga dalle città, un po' come
è successo nelle regioni più a nord, basti pensare
alla Toscana, ma per ora la situazione è questa, un angolo
di mondo perso nel tempo e nello spazio, dove l'unico rumore è
quello del vento e il solo movimento quello delle ali di uccelli
rapaci che si librano leggeri sopra di noi.
Riprendiamo la strada e ci fermiamo a Tricarico, dove pranziamo
sui tavolini all'aperto di uno dei bar della piazzetta; la giovane
barista sospira e dice che verrebbe tanto volentieri via con noi,
un giovane cliente ci racconta che stanno costruendo una pista da
cross lì vicino e che l'anno prossimo se tutta andrà
bene si comprerà anche lui la moto ed un secondo ancor più
giovane cliente ci rattrista con la sua storia: era un trialista
ed ha smesso il giorno in cui si è fratturato bacino e femore;
il vedere le nostre moto gli fa male perchè il fuoco della
passione in lui è ancora acceso... coraggio, lo consoliamo
noi, sei ancora molto giovane e hai tutta la vita davanti, ricordati
che "volere è potere"... E con questa meravigliosa
perla di saggezza che ancora ci aleggia attorno, buttiamo la gamba
oltre la sella della moto e con un ultimo saluto da "chi ha
ormai fatto il proprio tempo" partiamo verso nuove avventure...
ma imbocchiamo subito una pista sbagliata... e dopo pochi minuti
torniamo verso la piazzetta con la coda fra le gambe... facendo
meno rumore possibile per passare inosservati. Bene, nessuno in
vista, siamo salvi!! Ora non sbagliamo ed una bella pista ci conduce
sempre più in basso verso un fiume. Dopo una curva incontriamo
un'automobile della forestale con tre guardie: grandi saluti, sorrisi
e complimenti e ci indicano la strada migliore per arrivare dove
ci proponiamo! Ci incastriamo in un uliveto tagliato a metà
da un torrente ma poi finalmente raggiungiamo un cancello che richiede
tutto il nostro sforzo mentale per essere aperto... un ingegnere
nucleare ci voleva... e poi che serve solo a non fare uscire le
bestie, mah...
Sul far della sera arriviamo in vista delle appuntite guglie delle
Dolomiti Lucane, le propaggini meridionali dell'Appennino,
un insieme di antichissime arenarie che accolgono incantevoli villaggi
come quello cui siamo ora diretti, Castelmezzano. Vi giungiamo
seguendo l'asfalto, ma la vista che ci accoglie ci lascia senza
fiato: le case sono così "accucciate" fra le rocce
che danno l'impressione di essere tanti bambini che si fanno piccini
piccini in grembo ad una mamma grande e protettiva. Le luci del
paese si stanno accendendo proprio ora e la grande stella cometa
illuminata, appesa a metà fra due picchi, aggiunge un'altra
immagine suggestiva, quella di un grande presepe. Il nostro corpo
è infreddolito, ma non altrettanto il nostro cuore, che di
fronte ad uno spettacolo simile è caldo e sereno.
Alloggiamo in un bell'albergo dall'altisonante nome di Locanda del
Castromediano, annesso all'ottimo e ricercato ristorante Il Becco
della Civetta, dove naturalmente ceniamo dopo una passeggiata fino
al castello arroccato nel punto più alto del paese. Superato
il castello si sale su un roccione illuminato e da qui si gode dello
spettacolo magico sul paesino ai nostri piedi. Da qui parte il "volo
dell'angelo" per coloro che in estate hanno voglia di sfidare
le vertigini attaccati ad un cavo d'acciaio che collega Castelmezzano
a Pietrapertosa, appena visibile al di là della valle.
Fa molto freddo e soffia un vento gelido, così lesti scendiamo
per rifugiarci in un bar dove bere un aperitivo. Il locale è
molto frequentato dalla gente del posto che, incuriosita dai due
forestieri, ci riempie di domande; pare che ognuno di loro abbia
almeno un parente a Bologna ed anche la barista, che trova il tempo
per scambiare qualche parola con noi, ha una sorella nella nostra
città.
A cena siamo soli in una bella saletta molto intima; il ragazzo
che ci serve non porta mai via le posate ogni qualvolta cambia i
piatti, ed è così che quando arriviamo ai contorni
contiamo qualcosa come sette forchette e quattro coltelli sul tovagliolo!
La cosa incredibile è che lui non se ne accorge mai e noi
fatichiamo terribilmente a non scoppiare a ridere di fronte a lui...
cosa che regolarmente facciamo appena ci lascia soli, con le lacrime
agli occhi!
Il mattino successivo, a causa del freddo e del ghiaccio che ricopre
ogni cosa, riusciamo a partire solo verso le otto e trenta. Le nostre
moto sono parcheggiate all'aperto, sotto uno splendido cartello
"obbligo di catene a bordo". Senza catene e battendo i
denti mettiamo in moto e ci dirigiamo decisi verso una mulattiera
alle porte del paese: si chiama "la via delle sette pietre"
e dopo il nostro passaggio diventerà "e dei mille nomi".
Splendida nei mesi estivi, queste curve di insidiosi gradoni in
discesa completamente ricoperti di ghiaccio ci fanno vedere oggi
i sorci verdi... per fortuna a metà optiamo per girare le
moto e risalire, anche perchè non sappiamo cosa ci aspetta
più giù e dunque è meglio non rischiare!
L'asfalto ci porta a valle e qui imbocchaimo un torrente che ci
porta esattamente sotto la via delle sette pietre, che impariamo
chiamarsi così per la presenza nel bosco di un cerchio di
pietre poste verticalmente sul terreno, quasi fossero un moderno
dolmen esoterico. A questo punto percorriamo alcuni campi restandone
ovviamente ai bordi, nel tentativo vano di raggiungere Pietrapertosa.
Torniamo dunque al torrente, lo seguiamo per un altro tratto e poi
salitone fangoso fino alle porte del nuovo paese. Da qui prendiamo
una splendida pista che ci porta verso Accettura. Il panorama
vastissimo si fa all'improvviso anche candido, c'è neve qui!
Lungo tutto il crinale troviamo uno strato di neve fresca che rende
difficile l'arrampicata, specie per le gomme poco tassellate della
Scorpa. Il panorama è magnifico, accanto alle tracce delle
nostre gomme i segni delle zampe di qualche animaletto passato in
precedenza, il silenzio tipico dei luoghi innevati. Ma dopo aver
seguito un discreto tratto purtroppo dobbiamo rinunciare perchè
le salite si fanno più ripide e la moto da trial non ce la
fa, ed è così con grande rammarico che dobbiamo oggi
cambiare ancora una volta il nostro programma. Breve tratto di asfalto
poi per fortuna di nuovo sulla terra, anzi sul fango, in discesa,
quindi su fondo più solido fino ad Accettura. Qui pranziamo
con un prodotto per noi davvero nuovo: una focaccia con le cicciole
spolverata di zucchero... strana ma gustosa! Quando torniamo in
sella il cielo è tutto coperto ma per fortuna fa meno freddo.
Facciamo molti tentativi per cercare di raggiungere il fiume che
si trova nella vallata ma altrettante sono le rinunce, o per troppo
fango o perchè le piste non esistono più. Restiamo
sempre in sella, zero riposo fino al mare, a Scanzano Ionico,
dove alloggiamo all'hotel Miceneo Palace, enorme e vuoto. Arriviamo
col buio e dopo un bagno bollente e ristoratore tentiamo un giretto
in paese, ma il gelo e la desolazione della stagione invernale ci
raffreddano l'animo così corriamo di nuovo all'albergo per
la cena e poi ci infiliamo veloci sotto le coperte!
L'ultimo giorno dell'anno, dopo le foto di rito sulla spiaggia,
ci vede corerre spensierati su ampi ghiaiatoni lungo il fiume: sole,
ghiaia e pietrisco, enormi pozze che Taddy prende sempre nel mezzo
mentre io tento di evitare con delicate onde, e migliaia di fichi
d'india che tanto ci ricordano la Spagna del sud. Entriamo così
nel Pollino, seguendo piste scorrevoli con viste mozzafiato
prima su un lago e poi sulle cime innevate. Attraversiamo un'ampia
vallata seguendo un ponte semi crollato e la suggestione del luogo
ci affascina; sostiamo sul ponte ammirando il letto del fiume sul
fondo del quale giacciono molti ruderi di case, il terreno crepato
come se fossimo in un deserto.
Mentre percorriamo strade campestri in un'area dedicata agli allevamenti
ovini, ad un certo punto mi accorgo che la leva della messa in moto
della Scorpa non viene più verso l'esterno, rendendomi del
tutto impossibile rimettere in moto. Orrore... come faccio adesso?
Taddy dopo qualche tempo torna indietro e mi trova a scancherare
contro la leva, che proprio non ne vuol sapere di spostarsi verso
l'esterno, nè con le buone nè con le cattive. Fortunatamente
ci viene in soccorso un signore timido e gentile: siamo vicini a
casa sua e ci porta un grosso cacciavite con cui fare leva ma niente
da fare. Allora usiamo le maniere forti, come soluzione ultima in
un momento di necessità e urgenza! Prendiamo a mazzate la
pallina con la mollettina che serve a tenere in posizione la leva
stessa, questa esce e finalmente la leva è libera, un po'
sbilenca ma libera... e io posso tornare ad usarla. Metteremo poi
un pezzo di copertone usato come elastico per tenerla solidale al
telaio mentre guido, altrimenti me la ritroverei sempre sul ginocchio.
Il signore gentile ci rimane nel cuore: ci guarda silenzioso mentre
lavoriamo, col sorriso tipico delle persone semplici, e quando gli
chiediamo se passano spesso moto da lì ci intenerisce rispondendoci
"Magari..." Eh sì, vive davvero in un posto desolato,
in compagnia solo delle sue pecore, povera anima, chissà
che voglia ha di un poco di compagnia...
Riprendiamo la strada e lungo un sottile asfalto Taddy si accorge
di aver forato la gomma posteriore dell'XR... oggi non è
proprio giornata! Sosta per riempire di schiuma la camera d'aria
poi si riparte. Dopo qualche metro sempre Taddy, nel tentativo scomposto
di controllare se ha rimesso il tappino sulla valvola, perde l'equilibrio
e sfrombola per terra... oh santo cielo... che giornatina!!
Giunti a San Brancato pranziamo con panini di porchetta e
sono già le tre del pomeriggio. La sosta perciò è
molto breve e ripartiamo seguendo una pista sopraelevata che segue
il corso di un fiumiciattolo, poi una pista così dritta che
io per poco non mi addormento sulle pedane; incontriamo un uomo
a cavallo che per fortuna rappresenta una rottura della monotonia
e dunque mi sveglia, quindi attraversiamo pozze melmose e scivolose
che destano del tutto i nostri sensi. Dopo alcune rinunce per piste
che finiscono in campi o per la presenza di sbarre, col buio che
ormai inghiotte ogni cosa riusciamo ad arrivare a Tursi.
Al benzinaio dove sostiamo per fare il pieno alle moto io sono così
stremata che la moto mi cade per terra da ferma non una... non due...
bensì tre volte.... sotto lo sguardo allibito di una decina
di persone che sono certa starà pensando "Ah, le donne...
vogliono fare come gli uomini e poi guarda lì... manco la
riescono a tenere in piedi la moto..." oddio che figuraccia!!!
Vabbè, la sola cosa importante ora è riuscire a tenere
botta per qualche chilometro ancora, poi il riposo e domani sarò
come nuova! Ed è così che risalgo in sella e metto
in moto tutta cattiva, poi faccio per partire, dò gas ma
il motore ha un vuoto improvviso e perdo l'equilibrio rischiando
di cadere per la quarta volta... non ne può più neanche
la povera Scorpa!
Con le ultime forze giungiamo infine nel piccolo e graziosissimo
Borgo Rabatana, proprio sopra a Tursi: parcheggiamo le moto
appoggiandole al muro del Palazzo dei Poeti, l'unico albergo del
borgo, quasi un albergo diffuso dal momento che il proprietario
sta cercando di comprare vari appartamenti da annettere al suo complesso
turistico. Il luogo è incantevole ma io dopo la doccia mi
accuccio sotto le coperte nella stanza gelata. Devo riprendere un
po' le forze, questa sera ci sarà il cenone dunque dovremo
aspettare che arrivino gli altri ospiti e non si inizierà
la serata prima delle nove... notte fonda per noi, abituati come
siamo a cenare presto ed andare a letto prestissimo!
Fortunatamente il gestore dell'albergo ci ha concesso un menù
per una persona da dividere in due, perchè non siamo grandi
mangiatori e infatti a metà della cena siamo comunque costretti
a dire basta e a rinunciare alle altre portate! La serata ad ogni
modo è molto piacevole, davvero degna di un posto come questo:
abbiamo una bella nicchia tutta per noi, intimissima e a lume di
candela, le luci sono soffuse in tutto il locale e sebbene ci sia
parecchia gente il brusio non è fastidioso. Un oratore molto
bravo cita versi in dialetto che vengono poi tradotti, narra storie
di questa terra, di questo borgo e noi tutti lo ascoltiamo assorti,
fra una portata e l'altra. Ricordo in modo particolare il piccolo
ma delizioso spiedino di baccalà con tortino di patate, la
lonza di maiale, il risotto gamberi e arancia, l'orata in crosta
di melanzane con tortino di spinaci e carote... giunti al sorbetto
stiamo per scoppiare e ci fermiamo! Gli altri ospiti proseguiranno
con cotecchino e lenticchie, torta e panettone. A mezzanotte usciamo
nelle vie del borgo per qualche piccolissimo e silenzioso fuocherello
artificiale, un brindisi veloce per il freddo birichino e poi noi
andiamo a dormire mentre la festa prosegue senza disturbarci troppo.
Il primo giorno del 2012 ci vede nuovamente in sella alle nostre
fedeli moto; alle sette in punto, dopo una breve colazione fredda
sotto le coperte, ci spostiamo un poco dall'abitato ed eseguiamo
la manutenzione ordinaria alle moto. Poi seguiamo lunghe piste in
collina con bellissimi panorami fino al borgo disabitato di Craco,
un villaggio fantasma molto suggestivo, che sorge sulla sommità
di una collina che sta lentamente franando. Splende un bellissimo
sole e l'aria si scalda percettibilmente.
Una lunga pista larga ci accompagna fino a Ferrandina, dove
prenziamo velocemente in un bar che ci offre le rimamenze di ieri;
oggi infatti i locali sono e resteranno chiusi, questo è
il solo bar aperto e ci dobbiamo accontentare di tre pastine salate
in due! Compriamo anche un ulteriore litro d'olio motore per le
moto, che purtroppo hanno i motori che ne consumano parecchio; terminato
questo giro andranno entrambe dal meccanico per un assolutamente
necessario "ringiovanimento"!
Splendide piste scorrevoli nel sottobosco prima e in aperta campagna
poi ci conducono decise verso Matera, la famosa ed unica
città dei Sassi, patrimonio dell'umanità e pregevole
esempio di trasformazione urbana, da povera e vergognosa a ricca
ed orgogliosa!
Arriviamo in vista della parte vecchia della città sul far
della sera, quando la luce del tramonto dipinge di rosso le abitazioni,
le mura e le chiese. C'è poca gente in giro e si respira
un'aria tranquilla. Cerchiamo la Locanda di San Martino, un albergo
costruito nel tufo, un esempio sorprendente di come le antiche abitazioni
in cui un tempo vivevano a stretto contatto uomini e bestie sia
potuto diventare un apprezzato e lussuoso insieme di camere per
i turisti esigenti di oggi. Ogni camera affaccia su un corridoio
esterno che si arrampica con brevi scalinate sul fianco della collina,
bordato da un muretto che dà direttamente su un angolo suggestivo
dei Sassi; restiamo incantati qualche minuto affacciati al muretto
prima di spogliarci, lo spettacolo della luce del giorno che muore
e delle luci artificiali che si accendono è fantastico, Matera
si trasforma lentamente in un grande presepe vivente!
Quando ci decidiamo ad entrare nella camera che ci è stata
assegnata, restiamo incantati: che meraviglia! Si tratta di una
piccola camera col soffitto e le pareti di tufo grezzo, arredamento
semplice ed essenziale ma di grande effetto, sulle pareti sono state
ricavate delle nicchie irregolari che accolgono l'armadio, i comodini
e delle mensoline per le lampade. La stanza da bagno è enorme,
grande quasi quanto la camera e ci abbaglia la visione di una vasca
da bagno dove ci immergiamo felici spogliandoci in fretta per entrare
per primi nell'acqua calda!! Qui immersi, la tensione del viaggio
ed il freddo accumulato lentamente scemano e lasciano posto ad uno
straordinario rilassamento. Ora che siamo puliti ci concediamo una
chicca offerta dall'albergo: la sauna e le vasche idromassaggio
ricavate dalle cisterne di raccolta dell'acqua piovana dell'antica
Matera, vasche che fanno parte di un immane ed incredibile sistema
di raccolta delle acque che la città vanta come retaggio
storico culturale da custodire con cura e da far conoscere a tutti.
L'atmosfera qui sotto è dolce e surreale, le luci colorate
donano un tocco di fantasia all'ambiente antico e saturo di vapore,
nuotare o semplicemente lasciarsi massaggiare dai getti in queste
acque limpidissime ci rimbambisce completamente e quando usciamo
sembriamo due zombie... ma come stiamo bene.......
Pronti per una bella cena! Usciamo a piedi e camminiamo a lungo
sulle vie ciottolate della parte più antica della città
vecchia, il Sasso Caveoso, in salita e in discesa stando
bene attenti a non scivolare sulle pietre levigate da decenni di
passaggio; scorriamo sotto torri e chiese, case in via di ritrutturazione,
ponticelli, archi in un susseguirsi incantevole di antri e piazzette
che non stanca mai. Alla fine però ci stanchiamo per davvero
e decidiamo di bere una birra in un locale abbastanza moderno, poi
ci concediamo una pizza in un locale caratteristico, costruito naturalmente
nel tufo, uno splendido intrico di stanze e stanzette con pareti
rotondeggianti, nicchie, finestrelle, soffitto altissimo, scalette
in miniatura ed una pizza squisita! Il locale si chiama O'Mami ed
è gestito da napoletani.
Il giorno successivo ci serve per ridare una forma rotonda al nostro
sedere, diventato quadrato dopo tanti giorni in sella!! Sveglia
con calma quindi, ottima ed abbondante colazione con mille sfizioserie
locali, come gli spicchi di ricotta salata con confettura dolce.
In seguito usciamo nella splendida luce del giorno e sotto un sole
abbagliante ci apprestiamo a scendere nel canyon scavato nei millenni
dal fiume che vi scorre dentro e che risulta oggi bello pienotto
in diversi punti. La vista sui Sassi dal fondo del canyon è
meravigliosa; la posizione della città è davvero strategica
e il colore delle abitazioni la mimetizza completamente nella natura
circostante. Tentiamo il guado del fiume per risalire il canyon
sul lato opposto e godere così di una vista nuova sulla città,
ma l'acqua è profonda e c'è parecchia corrente perciò
desistiamo. Tornati all'albrego prendiamo l'XR e ci dirigiamo verso
un parcheggio situato proprio alla fine del sentiero che avremmo
voluto seguire risalendo dal fiume. Lasciata la moto camminiamo
sul sentiero a ritroso verso il fiume fino a raggiungere alcuni
grottoni che accolgono chiese rupestri: da qui la vista sui Sassi
Caveoso e Barisano è qualcosa di emozionante...
Tornati poi a Matera visitiamo la zona dei Sassi dove sono state
mantenute inalterate le condizioni delle grotte dove uomini e animali
vivevano insieme fino agli anni cinquanta. Rivisitando brevemente
la storia di Matera, si nota in realtà come essa fosse fin
dall'antichità una città ricca e fiorente, dove la
popolazione viveva sì in grotte ma trasformate sapientemente
in vere e proprie case, arricchite da piccoli giardini pensili e
altresì munite di una rete idrica e fognaria di tutto rispetto.
Era talmente prospera che fu addirittura capoluogo della Basilicata
per ben 140 anni. Ma poi la popolazione iniziò a crescere
in modo spropositato e le famiglie si ritrovarono a vivere nelle
stesse grotte in numero sempre più elevato, finchè
la gente dovette iniziare ad occupare anche le grotte inizialmente
destinate agli animali. Matera inziò il suo declino che la
portò a divenire uno dei luoghi più miseri dell'intera
pensiola. Fu grazie alla denuncia di Carlo Levi che le autorità
negli anni cinquanta presero seri provvedimenti per trasformare
quella che era considerata una vera vergogna per l'Italia in una
città che potesse tornare bella e vivibile. 15000 persone
furono spostate dalle grotte ad abitazioni costruite dallo Stato
e nel 1993 i Sassi furono proclamati patrimonio dell'umanità
dall'Unesco. Passando accanto alle grotte oggi non è facile
immaginare lo stato di immensa povertà in cui le famiglie
che le abitavano versavano una volta; oggi sono infatti illuminate
da un bel sole, vuote, pulite, con una vista splendida e danno l'impressione
di essere tutto sommato un buon posto dove vivere. Ma la storia
non deve essere dimenticata...
Il 3 gennaio montiamo di nuovo in sella e mentre ci allontaniamo
lentamente da Matera ne abbiamo già grande nostalgia. Abbandoniamo
in breve l'insipida Matera moderna e percorriamo a ritroso la bella
pista che ci ha condotto qui due giorni fa, un ultimo sguardo alla
gravina con i Sassi sulla sinistra e poi ci lanciamo lungo belle
piste scorrevoli dove finalmente apriamo un po' il gas: fondo di
terra secca e di roccia, salite tutte curve con le moto sempre in
tiro, divertimento a mille! La nostra attenzione torna vigile ogni
volta che ci si presenta una curva in ombra, dove l'insidiosissimo
fango è sempre in agguato: allora si scalano un paio di marce,
si contrae la muscolatura di braccia e spalle per meglio controllare
l'anteriore, ci si lascia scivolare elegantemente sul fango, quindi
si dà gas di nuovo, si tira la marcia, si sale di una poi
di un'altra e si torna a correre e volare sulle pietre! Che adrenalina,
che spettacolo, questo sì che è enduro... noi e la
nostra moto, noi che siamo la nostra moto... lei che obbedisce docilmente
ai nostri comandi, che traduce in energia cinetica ogni più
piccolo spostamento del nostro corpo. A noi la bravura, dettata
soprattutto dall'esperienza, di condurla sempre lungo la traiettoria
migliore... o perchè no... talvolta anche lungo quella peggiore...
se ciò che andiamo cercando è una sfida per noi o
per lei!!!
Siamo entrati in Puglia e le nostre quattro ruote percorrono piste
che lambiscono splendide masserie, dove pastori gentili ci salutano
con le braccia alzate e bellissimi esemplari di cane pastore ci
rincorrono abbaiando sonoramente e mordicchiando adorevolmente i
nostri stivali!
Attraversato il piccolo abitato di Ginosa troviamo subito
il viottolo che ci conduce direttamente nel letto del fiume; questo
ha scavato nei secoli un canyon profondo le cui pareti sono in taluni
punti spettacolarmente a picco, levigatissime e con spaccature verticali
davvero pittoresche. Le casette di Ginosa si affacciano spesso sul
fiume e guardandole dal basso percorriamo lunghi tratti di sassi
e grosse pietre che ci rallentano ma ci divertono, poi di ghiaino
veloce, quindi guadagnamo l'asfalto. Nuove piste ci accolgono presto,
nella campagna cosparsa di ulivi ed enormi fichi d'India; ancora
lungo un fiume a bordo campo, quindi bellissima mulattierina in
salita sotto un bosco, infine una serie di piste con impressa a
terra l'inconfondibile traccia del tassello. In un punto siamo obbligati
a sostare qualche tempo per ricostruire un saltone che si farebbe
abbastanza agevolmente in discesa ma che in salita risulta ostico
specie per l'XR così carica.
Ci concediamo un pranzo frugale in un bar di Palagianello
dove alcuni passanti si fermano incuriositi da questi due strani
e sporchissimi pellegrini. Sorsi ghiacciati di ottima birra Raffo,
di produzione pugliese, scendono a rinfrescarci la gola. Il clima
in effetti oggi è eccezionale: siamo seduti all'aperto e
ci godiamo il soave tepore invernale del sud!
Nel pomeriggio percorriamo piste campestri fiancheggiate senza quasi
soluzione di continuità dai tipici muretti a secco che rendono
unico questo paesaggio. Poi, all'improvviso, ecco comparire ai nostri
occhi avidi di novità i primi dolcissimi trulli, costruzioni
tipiche della zona intorno alla famosissima Alberobello.
Costruiti interamente a secco, i trulli sono formati da un muro
a base circolare o quadrangolare che racchiude una camera, sormontata
da un tetto a forma di cupola (dal greco trùlos); in essi
trovavano rifugio i fattori che coltivavano la terra. Sono spesso
sormontati da pinnacoli che riproducono simboli ancora oggi immersi
nel mistero: secondo alcuni sarebbero simboli magici ed esoterici
legati al culto del Sole, secondo altri sarebbero semplici ornamenti
o ancora il marchio del maestro trullaro che ha eseguito l'opera.
I primi che incontriamo lungo il nostro percorso ci emozionano al
punto che facciamo soste piuttosto lunghe per fotografarli: li riprendiamo
da diverse angolazioni, con le moto, senza le moto, dal basso, di
fronte... sbizzarendoci come bambini golosi di fronte ad un bel
gelato. Ma la giornata volge quasi al termine e la meta serale è
ancora lungi dall'essere vicina, dobbiamo muoverci! Guidiamo con
gli occhi fissi ai lati delle piccole ma graziosissime piste sterrate
che tappezzano inaspettatamente questa zona. Entrambi siamo daccordo
sul fatto che i trulli più incantevoli sono quelli mezzi
diroccati e semi distrutti, immersi in una vegetazione esuberante
che tende a ricoprirli, mentre loro continuano impassibili ad allungare
verso il cielo i loro tetti appuntiti. Notiamo che alcuni di essi
recano un disegno a calce che, scopriremo più tardi, potrebbe
rappresentare il frutto di uno degli antichi riti (addirittura primitivi)
tramandati di padre in figlio e per questo giunti sino a noi.
Mentre le nostre ombre inziano ad allungarsi e i colori dei mille
fiori bianchi, arancio e gialli si fanno via via più intensi,
continuiamo a macinare chilometri fino a giungere nel bel mezzo
di un complesso di trulli a dir poco sbalorditivo. I trulli sono
disposti in fila, uniti fra loro a disegnare una sola struttura
lunga e favolosa; parlando con la sola persona che si aggira da
queste parti impariamo che è in vendita! Aggirandoci a piedi
fra le varie costruzioni che completano il complesso, fantastichiamo
sulla possibilità di comprare insieme ad amici la struttura
e trasformarla in uno splendido agri-endurismo dove accogliere turisti
amanti della natura e dell'enduro... ma come impariamo che la cifra
richiesta è pari a un milione di euro il sogno svanisce in
un "puff"... Risaliamo allora sulle piccole moto, direzione:
Alberobello!
Divincolandoci in un susseguirsi labirintico di piccole piste erbose
strette fra muretti a secco sempre più presenti, entriamo
finalmente ad Alberobello, dove restiamo subito abbagliati dal candore
delle case e del fondo stradale del Largo Martellotto. Dopo le brevi
pratiche presso l'ufficio di Trullidea, sistemiamo le moto sotto
il trullino numero 19 ed entriamo nella penombra della cameretta.
E' spartana e fredda ma siamo emozionati all'idea di poter dormire
in una struttura tanto antica! Ci spogliamo, facciamo una doccia
tiepida e ci infiliamo sotto le coperte per riposare un po' aspettando
l'ora giusta per la cena.
Quando usciamo le stradine sono tutte bagnate per l'umidità
che sta velocemente scendendo e laddove la pietra viva non ha ancora
ceduto il passo allo sgradevole asfalto il rischio di scivolare
è davvero alto! Siamo molto stanchi e rimandiamo a domani
la visita al paese, optando per cenare nel locale Miseria e Nobiltà
che sorge sulla piazzetta della parte nuova di Alberobello: taralli
sfiziosi, burratina che si scioglie in bocca e risotto con seppioline
e curry speziato e piccantino.
Il giorno successivo ci vede girovagare nelle stradine fra i trulli,
salendo e scendendo nei rioni dei Monti e Aia Piccola; molti dei
trulli sono ancora in ombra mentre i negozietti per turisti iniziano
ad aprire. Alberobello nacque grazie al coraggio di alcuni fattori
che decisero di costruire i loro trulli in un agglomerato anche
se questo era proibito dalle leggi in vigore; i fattori infatti
erano autorizzati a costruire i trulli a patto che questi rimanessero
isolati gli uni dagli altri per non incorrere nel pagamento da parte
dei signori della terra (gli Acquaviva, Conti di Conversano) del
tributo previsto dalla Prammatica dei Baronibus. Nel 1797 alcuni
alberobellesi si recarono presso Ferdinando IV di Borbone che diede
loro ascolto e proclamò il villaggio finalmente "libero".
Oggi questa magica distesa di trulli è considerata patrimonio
dell'umanità dall'Unesco!
Adoriamo l'idea di trovarci qui... ma nel nostro cuore rimpiangiamo
i trullini "selvaggi" della campagna attraversata ieri
sera. E' quello il ricordo più dolce che ci porteremo dentro
della Puglia di Alberobello...
Assaporiamo delle mozzarelline seduti al sole su una panchina, compriamo
taralli e amaretti morbidi poi rientriamo al nostro trullino dove
saliamo entrambi sull'XR. Ci facciamo un giretto nel circondario,
fermandoci qualche tempo a Locorotondo, chiamata così
per via della sua pianta circolare, e a Cisternino, candido
agglomerato che si affaccia sull'ampia Valle d'Itria. Qui,
mentre un vento gelido spazza le vie e ci fa alzare i colletti delle
giacche a vento, passiamo accanto alla Taverna della Torre che ci
attira al suo interno come il canto delle Sirene. Ottima scelta!
Ambiente caldo e familiare, ospitalità cortese e mai invadente,
cibo sopraffino e buon vino... e la giornata si scalda all'improvviso!
Il 5 gennaio riprendiamo la strada. Subito ci incastriamo fra le
bancarelle del mercato del giovedì, dove uno degli espositori
ci grida dietro "ma guarda quanto sono zozzi questi qua...ah
zozzoniiiiiiiii" quindi ci aspetta un lungo trasferimento su
asfalto verso il materano. Quando però sulla sinistra si
profila la spaccatura della gravina con le casette di Matera, prendiamo
una pista sulla destra che si rivela bella e scorrevole. Attraversiamo
un'estesa campagna movimentata da morbide colline; una serie di
casette solitarie in vario stato d'abbandono concorre a rendere
leggermente malinconico il paesaggio.
Arriviamo in vista di Gravina in Puglia ed entriamo in paese
in modo spettacolare. Dapprima seguiamo in discesa una lunga ed
antica mulattiera ottimamente conservata, con la quale attraversiamo
una coppia di binari non protetta da sbarre o segnalatori, quindi
giungiamo sul bordo del canyon che ci separa dal paese; qui sostiamo
per ammirare la vista dall'alto sul paese stesso e sullo splendido
ponte in tufo che poi percorriamo per entrare direttamente in paese.
Proseguiamo quindi verso nord, nel nostro lento rientro verso il
punto da dove tutto cominciò undici giorni fa. Seguiamo piste
ben tenute perchè regolarmente frequentate dai mezzi agricoli
e dagli enduristi locali, lo si evince naturalmente dai segni impressi
sul terreno morbido. Incontriamo molti gruppetti di case tutte uguali,
con porticato ed arco, scorrendo sui poderi San Paolo, San Salvatore,
San Domenico... come lo sappiamo? sul muro della maggior parte di
queste casette resiste ancora la scritta a caratteri cubitali RIFORMA
FONDIARIA PODERE S. PAOLO seguita da un numero che probabilmente
fa riferimento ad un censimento, per esempio 164/2751. La Riforma
a cui si fa riferimento è naturalmente ancora quella De Gasperi
del primo dopoguerra.
Oggi il freddo è pungente anche se il sole ci tiene costantemente
compagnia; il terreno si fa via via più duro e possiamo così
mantenere andature più allegre. A Poggiorsini sostiamo
per il pranzo: braciole e parmigiana di melanzane da leccarsi i
baffi!
Nel pomeriggio, sotto un cielo che si sta velocemente coprendo di
grossi e minacciosi nuvoloni neri, saliamo sul magico altopiano
delle Murge che percorriamo in lungo e in largo divertendoci
molto su piste scorrevoli dove poter aprire il gas, gettando il
corpo ora internamente - da crossisti - ora esternamente - da trialisti
- alle frequenti curve. Le piste interrompono immense distese di
campi che si allungano a perdita d'occhio, dalla loro terra scura
spunta una tenera erba color verde smeraldo e sopra di essa giacciono
piccoli frammenti di roccia bianca. E' questa una delle caratteristiche
sostanziali dell'altopiano delle Murge, una terra battuta da un
vento freddo e costante, costituita da campi coltivati, pascoli,
boschi di sempreverdi ed enormi pietroni chiari. Unico rimpianto
quello di non aver mai avvistato il cavallo murgese, la razza equina
che fra tutte prediligo: splendidi esemplari dal manto nero così
lucido e intenso da sembrare blu, dall'altezza imponente che può
arrivare facilmente ai due metri al garrese e dall'indole così
docile che è possibile cavalcarne anche gli stalloni...
Dopo circa due ore di Murge, come per incantesimo spunta verso oriente
l'incredibile struttura ottagonale di Castel del Monte, il
misterioso ed affascinante castello voluto da Federico II, lo stesso
che troviamo sulle monete da un centesimo di euro. Svetta dalla
cima di una collina interamente ricoperta di pini; ai suoi piedi
ci sono alcuni esemplari di pino marittimo dal fusto così
esile che svanisce nella bruma della lontananza, mentre la chioma
si allarga orizzontalmente e sembra sospesa, tanto che si ha la
netta sensazione di trovarsi di fronte ad un miraggio: BELLISSIMO!
Arriviamo al parcheggio off road, seguendo le tracce lasciate sul
terreno da altri enduristi, uscendo con un saltino dalla pineta
direttamente sui piedi del parcheggiatore! Purtroppo le condizioni
metereologiche non sono favorevoli, c'è poca luce perchè
il cielo è completamente coperto e lo splendido castello
non brilla come nelle immagini più famose che lo ritraggono
ma sorge severo e arcigno in cima alla scalinata. Una volta ai suoi
piedi si respira un'aria strana, un misto di sacro e profano, di
magia e concretezza. Una volta entrati nelle prime sale, ricche
di materiale informativo e di guide che si propongono di accompagnarci,
l'atmosfera si rovina leggermente, ma poi tutto torna fantastico
come si esce all'aperto nel piccolo cortile interno e si guarda
verso l'alto o come si entra nelle sale al secondo piano, immerse
nella semi oscurità, appena rischiarata da una sapiente illuminazione
che ne mette in risalto i particolari architettonici. Castel del
Monte mantiene dentro di sè il segreto del motivo per cui
fu costruito; pare infatti che non potesse in alcun modo assolvere
alle più semplici esigenze di difesa o di abitabilià,
tanto che furono prese in considerazione le teorie più diverse,
ognuna delle quali considera le molte passioni dell'imperatore:
la magia, l'astronomia, la matematica. Di certo oggi Castel del
Monte appare ai nostri occhi come un imponente e squisito simbolo
del potere imperiale.
Quando usciamo soffia un vento molto forte che ci spinge giù
dalla gradinata rischiando di farci inciampare ad ogni passo, mentre
il cappellino di una signora svolazza allegramente per finire chissà
dove. Recuperate le moto ci dirigiamo in fretta all'hotel qui vicino,
il Castel del Monte Park Hotel, dove siamo gli unici ospiti e il
riscaldamento nella nostra stanza non ha voglia di partire. Cena
abbondante e deliziosa (ricordo il pesce al cartoccio) e poi dritti
sotto le coperte!
Le prime luci dell'alba ci trovano già svegli a guardare
sconsolati fuori dalla finestra: piove a dirotto e il vento soffia
ancora più forte di ieri. Optiamo per attendere un po' prima
di partire, sperando in un cambiamento che però non arriverà,
così alle dieci e trenta ci vestiamo e partiamo sotto l'acqua
in direzione di Trani. Percorriamo senza scomporci piste
su piste, procedendo con cautela per non scivolare sulle rocce bagnate
e scivolose. Incontriamo molte costruzioni simili ai trulli ma più
arrotondate e con elaborati pinnacoli sommitali. Galleggiamo sul
fango e in alcuni casi ci scomponiamo allegramente su di esso, lanciando
le gambe ai quattro venti nel disperato tentativo di mantenere l'equilibrio.
Sul far del mezzogiorno il maltempo ci delizia con una rumorosa
grandinata, ma dato che non troviamo alcun rifugio e che siamo abbastanza
vicini a Trani proseguiamo comunque il nostro viaggio. Entriamo
così in città, zuppi fino al midollo, e ne percorriamo
le vie alluvionate fino a raggiungere il mare sulla Piazza del Duomo,
dove sorge la maestosa candida cattedrale; ci fermiamo a fotografarla
sfidando la violenta pioggia e la furia del vento che soffia furibondo,
gonfiando il mare che appare talmente tempestoso da mettere paura
solo a guardarlo.
Troviamo rifugio in un ristorante sciccosissimo proprio sulla piazza
e ci rimpinziamo di ottimo pesce senza pensare agli indumenti fradici
che fra poco saremo costretti ad indossare nuovamente. Telefoniamo
ai nostri amici di Foggia e ci accordiamo per trascorrere la serata
assieme a loro. Nel pomeriggio ci attende un lungo, noioso e bagnatissimo
trasferimento su asfalto fino a Foggia, dove parcheggiamo le moto
nel parcheggio dell'Hotel Europa vicino alla stazione dei treni.
Dopo una doccia calda raggiungiamo gli amici e diamo inizio alle
danze: aperitivo fra noi e poi mitica cena in famiglia assaporando
ancora meravigliose pietanze cucinate con arte e passione tipiche
pugliesi!
Al mattino fortunatamente splende il sole, ma il terreno è
fradicio e il vento non accenna a scemare. Partiamo verso le otto
e trenta e subito cominciamo a lottare contro una specie di bora:
le campagne attorno a Foggia sono sferzate da folate lunghe e micidiali,
io mi diverto ad osservare il mio compagno di viaggio davanti a
me, inclinato di 45 gradi rispetto alla strada e mi viene da ridere
pensando che se per un qualche motivo il vento dovesse cessare all'improvviso
un bel tonfo per terra sarebbe inevitabile!
Se l'esperienza risulta divertente sull'asfalto, la cosa cambia
decisamente sulle piste dove veniamo regolarmente sospinti lungo
traiettorie improbabili, per esempio proprio al centro di enormi
pozze, con l'acqua che ci arriva comodamente fino alle ginocchia!
Escogito allora un modo per evitare di bagnarmi ogni volta come
un pulcino, alzando le gambe e tenendole larghe e sospese mentre
supero le pozze... ottenendo come risultato che oltre ai piedi ora
mi bagno anche l'interno delle cosce... un genio! Tento allora in
modo diverso: quando entro nelle pozze tendo le braccia, butto indietro
la schiena, sollevo le gambe e le chiudo, appoggiando i piedi sul
serbatoio e le ginocchia sotto al mento... in effetti più
che una motociclista sembro la cavallerizza di un circo in procinto
di eseguire un salto mortale per poi atterrare nuovamente sulla
sella... ma almeno così non mi bagno e dunque mi ritengo
soddisfatta!
Lottiamo col vento tutta la mattina e pranziamo in un pub a Santa
Croce di Magliano.
Nel pomeriggio ci attendono altri cinquanta chilometri misti asfalto
e sterrato e poi giungiamo infreddoliti e completamente fradici
all'hotel dove è parcheggiata la nostra auto. Carichiamo
le moto sul carrello dopo averle immortalate con la macchina fotografica...
poverette, sono a pezzi ma si sono comportate bene! Quindi ci cambiamo
gli abiti sotto l'acqua ed entriamo in auto. Prima di girare la
chiave, una volta chiusi gli sportelli, restiamo alcuni minuti in
silenzio a ripensare a questo grande viaggio enduro, felici, soddisfatti
e orgogliosi di aver portato a termine un altro importante tassello
esplorativo per il nostro futuro e grandioso Giro
d'Italia Enduro...
E' a vostra disposizione
il file Gps di questo Viaggio Enduro, con tutti i
punti di interesse e i contatti degli Alberghi per i viaggi
di piu' giorni, i waypoint dei bar o dei ristoranti
per i pranzi di mezzogiorno e dei benzinai per i rifornimenti
sul percorso. Una volta che avete prenotato gli alloggi e caricato
i waypoint e i percorsi sul vostro gps non dovrete piu' pensare
a nulla, dovete solo recarvi con il carrello o furgone nel parcheggio
indicato con un waypoint, scaricare le moto e seguire il tracciato
gps enduro di ciascuna tappa che vi portera' davanti ai benzinai,
ai locali per pranzare e infine all'albergo o agriturismo per dormire,
insomma dovete solo dare gas, controllare il gps e godervi il vostro
Viaggio Enduro.
Se sei interessato Contattaci
indicandoci il viaggio enduro desiderato e ti daremo tutte le informazioni
utili come il chilometraggio, percentuale offroad,
mappa indicativa della zona, difficolta', istruzioni e costi per effettuare il download del file
gps.
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Regionali Gratuite e dei CD
Gps-Utility con i percorsi di alcune Province. Se sei interessato
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